Sì, sono ancora io. Nessuna intenzione di monopolizzare il Morgana, anzi. Ma negli ultimi tempi ho parlato solo e sempre di Notte, e quindi mi sembrava giusto bilanciare un po’ la cosa.
Non che sia successo niente di che, oggi. Solita sbobba, con l’aggiunta di tre ore e mezza buttate in una sala d’attesa. Il fango è ancora sotto casa mia, ammucchiato ai lati della strada. Il mondo non è cambiato.
Però oggi ho finito il libro. Sì, quel libro con cui vi ho rotto la testa sul Morgana (e non solo) per tutto questo tempo.
Ma oggi è finito. Mi erano rimaste due piccole parti da modificare, due minuscoli frammenti in quel torrente di 130mila parole. Sembra una stramberia, una finezza, una cazzata. Chiaro che l’ostacolo non erano quei due pezzetti. E’ che io, questo libro, non lo volevo finire.
Di ragioni ne avevo diverse. Una è che mi sono divertito a scriverlo –e quando uno si diverte, poi non vuole smettere più. Un’altra, che sembra opposta, è che questo libro l’ho odiato. Ce l’avevo davanti giorno e notte, anche quando facevo in modo di stare lontano dal computer. Correggevo mentalmente interi paragrafi, inventavo passaggi e storie, cancellavo personaggi. Alla fine non ne potevo davvero più. Non volevo rileggerne nemmeno un po’, nemmeno quei due pezzetti.
Un’altra ragione è che nella mia vita non ho mai portato un cazzo a termine –figuriamoci un primo romanzo. No, non sarebbe da me.
Un’altra ragione è che questo libro mi ha riportato in Australia. Si basa sulle mie storie di quei tre anni folli e santi, e scrivere mi ha riportato quelle storie, quelle persone, perfino gli odori e i sapori che avevo quasi dimenticato. E di questo sono grato a questo giochino chiamato scrivere. A volte è stata pesante, specie quando le cose intorno si facevano toste, ma poi mi bastava spegnere tutte le luci, accendere quella qui accanto allo schermo e cominciare a fare tictictic sulla tastiera. I problemi, la stanza, la stessa città... tutto scompariva, ed io ero di nuovo a Sydney, o nella giungla, o sulla barriera corallina. Ho rivisto facce conosciute solo per un giorno, ho risentito voci che mi raccontavano tutta una vita in due battute divertite e amare. Ho rifatto quelle strade che conoscevo così bene, ho bevuto di nuovo in quei pub, mi sono innamorato di quegli occhi chiari ancora una volta.
Finire il libro avrebbe voluto dire anche chiudere quei due anni in un grande album, per poi lasciare che prendesse polvere giù in cantina. Non mi sembrava giusto, mettere la parola fine a qualcosa di così bello e vivo.
Un’altra ragione è che non sapevo cosa sarebbe successo. Avrei cercato di pubblicare questo libro? E se sì, avrebbero capito?
Era forse questo che mi faceva paura più di tutto. Non si trattava solo dello sforzo mio e di tutti quelli che mi hanno aiutato a editare, correggere, tagliare, aggiustare (a proposito, vi devo una birra, fanciulli), per tutto questo tempo. Era la storia in sè. Perchè di questo libro si può dire di tutto, che è lungo, che qualche volta è lento o che dico “cazzo” troppo spesso, però è scritto col cuore e con l’anima, per quello che vuol dire. Ci sono tutto io, ci sono quelle persone che so, ci sono quei tre anni. Senza scuse e senza nascondersi. Trovatemelo, qualcun altro che scrive con le budella come ho provato a fare io.
Questo libro è stato scritto per farvi ridere, per farvi incazzare, qualche volta perfino eccitare. L’ho scritto per prendervi dalla vostra poltrona a Vattelapesca City e portarvi dall’altra parte del mondo, dove davvero cose e persone sono sottosopra. Spero che mentre lo leggete sentiate come se state bevendo una birra con un cazzone che non la smette di blaterare sulla vita, sull’amore, sul lavoro, sull’assurdità di quello che siamo, Australia o no –e che, ogni tanto, le parole di questo cazzone vi restino in testa almeno un po’. Spero che vediate altre vite e altri mondi, così come li ho visti io.
Ma se questo non dovesse succedere, pazienza. Amici come prima. Io ci ho provato. Tutto quello che potevo fare era cominciare un libro del genere, e poi finirlo –e fanculo a tutte le ragioni.
Così ho fatto.
Sollevo la mia birra –ovviamente australiana- e brindo alla vostra.
“Latinoaustraliana” è per voi. Buona lettura.
Il prossimo giro lo pago io.
2 commenti:
Non vorrei essere nei panni di Moccia. Che farà adesso? -.-
Non ho visto le ultime versioni, ma stando a quella che ho io, caro cazzone blaterante, secondo me dici "cazzo" troppo poco.
E ALLOOORA! E mettiamocelo un po' di colore, in questo libro!
Complimenti, AA. E un abbraccio al profumo di Forster.
In attesa di leggerlo e di fare un viaggio mentale in australia in tua compagnia
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