venerdì 27 aprile 2012

I'll get there

Ciao, come va?
Lo so, è da un po’ che non hai mie notizie. Sono rimasto indietro mentre provavo ad andare avanti. Però adesso ho un po’ di tempo e voglio provare a risponderti.

Mi chiedi come sto, e subito mi spiazzi. Non sono abituato –perchè, se sei tu a chiedermelo, so che lo vuoi sapere veramente, che non è per dire.

Come sto? Sto che ho 32 anni, bevo whisky anche se sono mezzo influenzato e non dovrei (ma dicono che fa bene), e mentre scrivo e bevo whisky batto sulla tastiera e guardo il sole tramontare sulle case, in quell’ora dove tutto sembra avere un solo senso, che può essere completamente positivo o negativo.

Sto che ho 32 anni e non molto tempo per rispondere alle lettere e alle telefonate (come sai bene), ma non mi sono mai fatto mancare il tempo per pensare a te e a tutti gli altri che porto con me. Ti sembrerà da paraculo ma credimi, senza di voi non andrei da nessuna parte.

Sto che ho 32 anni e un lavoro che non mi dispiace, e questa è una prima volta. Mi sento strano a dirtelo, perchè so che mi conosci e sai come la penso, eppure stavolta è così. E’ capitato e magari non dura, magari non mi va più bene. O magari finisce, cvisto che da sempre sto lì ad aspettarmi il peggio. E’ un’abitudine innata in me, lo sai. Senza il mio pessimismo non resterebbe molto di me. Magari è quello che mi ha reso capace di resistere alle botte più forti.
O forse è quello che ha reso piu’ vero il mio sorriso.

Sto che ho 32 anni e tra poco saranno 33, e questo pensiero non mi dice niente perchè non me li sento. Non li nego, e anzi me li rivedo in rughe e cicatrici e ricordi che galleggiano sempre nelle stesse pozze, che evaporano sempre nelle stesse nuvole. Ma per me non è importante. Più vicino alla morte? Lo sono sempre stato. Ecco perchè non ho mai smesso il mio irriducibile corteggiamento alla Vita.

Sto che ho 32 anni e ancora alla Vita dedico sonetti e filastrocche, racconti e notti in bianco. Non abbastanza, anzi per ora quasi niente, ma so che il giochetto è sempre lì. Basta stuzzicarlo per causare erezioni e paragrafi. Forse non è il momento. Io non l’ho mai capito, qual’è il momento. Per questo sbaglio e sbatto e torno indietro e ci riprovo. Per questo continuerò ad imparare e poi a sbagliare.
Per questo sono fiero di tutti i miei errori.

Mi chiedi se sono soddisfatto e la risposta è: non so. Che dovrebbe valere come un no, a rigor di logica, ma penso non sarebbe giusto. Mi trovo ancora, a volte, intrappolato nelle stanze dei miei pensieri più scuri, nei corridoi asfittici delle mie abitudini, nelle soffitte polverose dei miei ricordi lontani. Questo, e poi il fatto che sono fisicamente lontano da te, da altre persone che per me vogliono dire qualcosa. Che ho dovuto ridisegnare il mio destino per colpa di altri che me l’hanno deviato e se ne sono lavati le mani. Che non ho il tempo che vorrei per scriverti, per scrivere, per avere ancora quelle meravigliose notti con me stesso, a scazzottarmi, amarmi furiosamente, mandarmi affanculo e parlarmi tutta la notte. Che mi mancano i miei libri, le mie fughe di quaderni e parole. Che mi manca quel certo sole. Quelle stelle vicino alla discarica.
Detta così, sembrerebbe che sono insoddisfatto come pensi. E soddisfatto magari non sono, ma non è tutto qui. Ho i miei giorni, ma cazzo che belli quando capitano. Magari sono arrivati tardi, quando la pelle ha assunto ormai corazze antiche, ma sono arrivati lo stesso. Tu mi conosci da tanto, ma forse non da abbastanza. Ci sono stati tempi in cui i giorni di sole si pagavano un tanto al chilo, e solo io e il compare sappiamo quante cambiali abbiamo firmato.
Adesso mi sembra sia tempo di cominciare a riscuotere.
No, non sono soddisfatto e una parte di me non lo sarà mai, da nessuna parte e in nessuna circostanza. Pago pedaggio per questa vita con incubi notturni e illusioni appese al gancio. Zoppico sulle nuvole ma a volte riesco ancora a correre.
Una parte sarà sempre così, ed è la parte che beve il whisky, che non crede in niente, che ricorda troppo, che cade spesso.
Ma poi ce n’è un’altra. E’ quella che ti sta scrivendo adesso. Non ottimista, ma nemmeno fatta solo di notte. E’ quella che si alza la mattina, si guarda allo specchio, si fa una bella risata e dice, beh vecchio mio, non so come arrivati fin qua, ma proviamoci cazzo. Proviamo a lasciare questo segno, a far ballare il mondo. Proviamo a essere piu’ soddisfatti.
Chissa’, magari ancora non lo sono, ma come dicono in inglese: I’ll get there.
Ora però basta parlare di me.
Tu come stai?

giovedì 26 aprile 2012

Ahi, quanto è duro il passo verso la coscienza sociale!

Ho tardato a scrivere questo post perchè quando inizia qualcosa di nuovo si ha bisogno di tempo per comprenderla, farla propria e dargli una forma. Ho dovuto capire dov'ero, qual è il mio ruolo; in pratica, chi sono. Ma soprattutto se mi ci trovo a fare quello che faccio.
Iniziare a lavorare è traumatico. Diciamocelo. Non fingiamo che non lo sia.
Non voglio dire che non sia una fortuna cominciare a dare un peso alla propria vita_riuscire a poter cominciare a fare dei progetti_avere dei soldi propri in tasca_iniziare a ricevere delle soddisfazioni in un campo in cui ci si è formati per anni. E' un diritto e oggigiorno è diventato quasi assurdamente una "fortuna". Purtroppo, questo lo so bene.
Voglio anche ammettere però che quando si comincia a lavorare, ci si assume una molteplicità di responsabilità, che proprio perchè si è all'inizio pesano. E sembrano pesare come quando si sollevano per la prima volta più Kg di quanto il corpo sia abituato a sostenere. Il muscolo si strappa e poi si ricostruisce più forte di prima. Fatto il primo sforzo, piano piano, il muscolo si prepara a sollevare un peso maggiore.
Ecco, a mio avviso, anche la coscienza di un uomo, quando comincia ad avere sulle spalle delle responsabilità, in qualche modo "si strappa".

Sono stata abituata per anni, parliamoci chiaro, ad organizzarmi le giornate, i mesi, secondo un criterio dettato esclusivamente (o quasi) dalla mia coscienza.
Ora, queste 8 ore al giorno di lavoro dettano al mio essere un sistema di regole, che non ero abituata a sentire.
Quando avevo bisogno di percepire la bellezza nella mia vita quotidiana, mi bastava, spesso, anche prendermi un cappuccino seduta al tavolino di un bar.
Il semplice fatto di sapere di non poterlo fare, nell'eventualità in cui ne abbia bisogno durante le ore lavorative, mi ha un po' scombussolata.
Per ritrovarmi qui a parlare della nuova Cles c'è voluto tempo. Quasi 2 mesi di lavoro.
Quest'ultima settimana ho cominciato ad accettare le piccole, prime responsabilità che ora mi ritrovo ad avere. Ed è stato un sollievo.
Ieri sono uscita dal lavoro con uno strano sorriso sulle labbra. Ho messo in moto, destinazione: casa del mio ragazzo.
E mi sono sentita serena.
Certo, evidentemente perchè era venerdì e avevo il week-end davanti, ma non solo. E' stata una serenità molto più profonda. Di una complessità molto più incisiva. Al di là di quello che comporti entrare nel mondo del lavoro (è un discorso questo che merita sicuramente un post di diverso stampo), la mia percezione di serenità era strettamente connessa alla percezione di utilità che ho sentito di aver prestato.

Resta certo che rimango dell'idea che vivere con soddisfazione dipenda da mille altri fattori.
Godersi la vita nel proprio intimo, al di là del ruolo che si ha in società, resta la cosa più preziosa che esista.
Questa società (italiana) sta per collassare. Io me lo sento. Lo sento nell'aria e lo vedo perchè ogni causa produce un effetto.
Molti italiani hanno perso la vita in questi ultimi mesi perchè hanno perso o non hanno ottenuto un ruolo in società e quindi un reddito.
Ora il discorso prenderebbe una piega ben diversa e non ho il tempo per poterlo fare.
Perchè devo uscire. Perchè le responsabilità quando non si riesce a sostenerle ci uccidono.
Per salvaguardarci, per sopravvivere, bisogna continuare ad avere una coscienza individuale. Sia pure sotto un ponte. Se la società non funziona, pur con amarezza bisognerebbe trovare il coraggio di farsi sentire.
Le rivoluzioni nascono dai singoli individui.
Le libertà sono nate dalle singole rivoluzioni.

venerdì 20 aprile 2012

Lettera ad un concetto di bambino mai nato

Era un periodo in cui il futuro stava davvero esagerando. Mortificava le notti, fustigava le sere, rubava le mattine. No, le mattine le lasciava, ma ero così frustrato dalle notti che non potevo che dormire, era impossibile alzarsi. Strani sogni si insediavano in quelle mattine, sogni agrodolci, spesso grandi racconti condannati all'oblio maledizione se potessi registrare i sogni e i pensieri durante le scopate sarei già un grande scrittore, per quale motivo la fantasia richiede sempre condizioni distorte? Insomma, il futuro intorpidiva anche la fantasia. Un giorno esagerò: mi presentò davanti un pargolo. In potenza, d'accordo, ma era un vero bambino in immagini e ossa. Era piccolo e sorridente, mi stava di fronte. Io ero impassibile, lo osservavo come un paziente in sala d'attesa, ma non quel tipo di sala da ospedale mentre dentro la tua compagna partorisce, e per la verità neanche quel tipo di attesa; era una sala più squallida, e il bambino levitava di fronte alla mia faccia non esattamente sorpresa, un po' indifferente. Un po'. Gli chiesi cosa volesse. Non mi rispose, ovviamente. Era un periodo in cui mi facevo molte domande, ma non di quelle che avevano tormentato gli anni del liceo, niente robe del tipo "Costruisci il tuo Dio con coerenza e ragione" o "Come potrei salvare la terra?", erano domande tipo "come posso procurarmi un po' di soldi?" oppure "che futuro ho? dove lavorerò? sto facendo la cosa giusta?" (cazzo, bisognerà pur imborghesirsi prima o poi) (d'accordo essere antisistema e antitutto, ma è difficile protestare se non si hanno i famosi tetto e pasto)e così questo piccino non mi sorprese, sembrò più che altro il risultato di una congiuntura astrale. Beh, caro mio, se ti aspetti che sia io a darti un futuro ti stai sbagliando, tengono il mio in ostaggio, come potrei dartene un pezzetto? E tu poi ne vorresti ancora e ancora e ancora. Mi spiace piccolo, al momento sei un concetto, forse potrai svilupparti fino a embrione, forse arriverai addirittura a un mese o più probabilmente resterai concetto e terrore per lei e disappunto per me. Ma non devi dolertene, non c'è nulla per te qui e sarebbe una crudeltà scodellarti proprio adesso in questa merda, sarebbe una crudeltà nei confronti di noi stessi e tu ne pagheresti le conseguenze. D'altra parte guardaci: leggi nei miei pensieri, puoi? Cosa te ne sembra della mia anima d'infante? Ci vedi l'innocenza dei piccoli? C'è ancora? Quando tua madre mi stringe al seno non capisco mai se stringe il suo ragazzo indifeso o il suo ragazzo bambino indifeso. I suoi dolci seni di miele sono il rifugio di questo involucro di pensieri tristi al momento, come potrei concederteli? Non possiamo dividerla, non adesso. Lo capisci, vero? Non è una prepotenza nei tuoi confronti, non è egoismo, voglio che un pargolo come te possa far capolino nelle nostre vite. Ma adesso ti sembra il momento? No, piccolo mio, non è ancora il momento. Non siamo pronti e non lo saremo mai. Sei così bello, con le tue guance rosse e il tuo sorriso senza dentini, così piccolo e fragile che nulla ti distingue da papà e mamma, nulla fuorché la purezza. Eh si, anche la mamma, così pura, incantevole, rosa del deserto, è stata corrotta. Perché non si può evitarlo, il peccato è universale, il mondo è una fucina di preghiere e tu hai la fortuna di essere ancora un purissimo concetto, un Dio vigliacco vuole insinuarti su questa terra logorata da una logora umanità e tu mi osservi sorridente da quel punto indefinito dentro il tenero adorato pancino della mamma. Non sai quanto sei fortunato. Lei, la mamma, giace nuda sul letto, le sue morbide forme splendono della tua luce e dai suoi occhi sgorgano lacrime provocate dagli angeli, esse stesse sono angeli che colano sulle sue angeliche guance rosate e il suo triste volto, e io devo proteggerla, mi capisci? Non ci è rimasto che l'amore, sei un altro mattone nel muro, piccolo, ci farai del bene e te ne siamo grati, ma io devo amarla e proteggerla, le ho promesso che potrà contare su di me e tra le mille stupide domande che affollano la mia mente mi sembra l'unico futuro sensato, l'unico futuro che è già presente. Non posso abbandonarla e proteggerla significa doverti costruire un altare di reminescenze, ti amo già piccolo mio, vedo la tua promessa, vedo un uomo affannato tornare a casa stanco ma felice, mi accogli con il tuo sorriso e dietro di te l'alta, maestosa, stupenda figura di madre che le appartiene già, madre PER ME, madre per te, madre di me, madre di te, ma non è ancora tempo piccolo mio.
Ti sono grato per ciò che hai fatto, che farai, e spero di conoscerti un giorno, spero tu abbia la bellezza di tua madre, e anche qualcos'altro. Spero tu sia una piccina. Spero di poterti insegnare qualcosa senza insegnarti nulla, sono poche le cose che devi sapere per cavartela da solo. Ma i tuoi genitori non possono avere paura, non quando ci sarai tu. Per allora le nostre paure saranno confinate nella soffitta dell'anima, ci penserà il cancro a rispolverarle.
Ma fino ad allora, lasciaci aver paura, insieme.
Ti amo già, piccolo, credimi.

domenica 15 aprile 2012

il pranzo della domenica

stamattina mi sveglio alle nove e mezzo...faccio colazione, mi vesto, e...
mia madre fa la fatidica domanda... "che cuciniamo oggi?"
dopo diversi discorsi, i miei un po' sconnessi, si decide...
mia madre comincia a stendere la pasta... abbiamo optato per la c.d. "pasta di casa"
io mi metto, ancora mezzo addormentata, a condire le costolette, tagliare patate, spompare pelati e tagliare cipolla...
è un momento che amo particolarmente... non condire le costolette, ma cucinare il pranzo della domenica con mia madre...

siamo solitamente sole in cucina, con i suoi cd sù...mix di canzoni del secolo scorso e musiche nuove, ascoltate alla radio e riprodotte, in modo direi "particolare", da mia madre stessa per consentirci di interpretarle e scaricargliele (sì lo so che è illegale, lo so, lo so... ma compro anche tanti cd...).
bene musica, odori che si mischiano, insegnamenti sparsi qui e là...

al che ad una mia risposta intelligente ad una sua domanda intelligente quanto incomprensibile, almeno sulle prime...
insomma dopo 'sta risposta da premio nobel per la cucina... mi dice "diventerai una brava cuoca"
non so se esserne felice o meno, però lì per lì sorrido e le dico che da una famiglia di ristoratori o vien fuori una brava cameriera ( e non lo sono di certo) o una brava cuoca...


il pranzo della domenica mi fa sentire vicina a mia madre come mai lo sono in tutti gli altri momenti... vedo mia sorella che la coccola di continuo, mio fratello che fa il ruffiano tutto il tempo...io sto sempre più sulle mie, ma la mattina della domenica ci ritroviamo sole in cucina con la nostra bella musica, con i nostri tegami, con il tavolo macchiato di salsa e succo d'arancia, con il lavandino pieno di diavolerie da lavare...e siamo madre e figlia... la magia svanisce quando abbiamo messo le costolette condite al forno e inizia la giornata degli altri... però quell'oretta insieme ferma il tempo... mi sa di antico, mi sa di riscoperta...

scopro i trucchi tramandati da madre in figlia da generazioni, i piatti misti di Sicilia e Francia... invento  variazioni dei piatti, perchè quelli che mi spiegano non  li so fare... e cerco di sforzarmi di condire la salsa così bene da renderla almeno simile a quella della nonna, perchè la mamma me lo dice "il nostro obiettivo è raggiungere il gusto sopraffino della salsa della nonna... nemmeno la mia è ancora buona come la sua... forse c'è ancora un segreto che non ci ha svelato..." lo aspetto, forse da ragazza d'altri tempi, ma aspetto quel segreto...

tutto questo mi fa sentire più vicina al mondo della mia famiglia... una famiglia che non c'è quando bisognerebbe vederla, ma che nelle piccole cose manifesta la sua grandezza... la mia è una famiglia strana, ma sento di appartenerle... queste mattine sono solo incontri con le altre generazioni...anello di congiunzione tra passato e presente... anello di congiunzione tra me e mia madre...
finito di cucinare torniamo ad essere tipiche madre e figlia dell'era contemporanea.

tenete botta

dal mio mondo

giovedì 12 aprile 2012

Inaspettata

tempo che cambia in una notte
vento di burrasca in coperta
e su me col motorino
il casco come uno
scafandro
mi immergo in un acquario di
nuvole che corrono e
auto ferme agli incroci

da dentro lo scafandro
vedo strane creature
che bevono caffe'
che fissano appuntamenti
che progettano pranzi
credendosi immortali
mentre il mare gonfia e urla
onde di risacca contro il ponte
ed io ci corro dentro
cavalcando il 125 come fosse Ronzinante
come tappeto volante
come la Poderosa del Che e Mial
come nave spaziale
tra il traffico delle otto

dentro quello scafandro
canto seguendo il ritmo dell'oceano
e bestemmio e rido
e penso a giornate di sole evaporate
e penso a quelle ancora non arrivate
e invento storie e
guardo lontano

ben sapendo
che questo e' un tipo di poesia
che mai avrei creduto di
scrivere

che questo e' un tipo di vita
che mai avrei pensato di
vivere

fantasia
fortuna
coraggio
e quella voglia di vivere a bocca aperta
con gli occhi pieni
di sole e vento

Marco Zangari © 2012

martedì 10 aprile 2012

Colui che giudicherà

Giudicami, tra i brividi della notte
dove il calore
vuoto pesante

"Reckoner
You can’t take it with you
Dancing for your pleasure

You are not to blame for
Bittersweet distractor

Dare not speak its name
Dedicated to all you all human beings

Because we separate like
Ripples on a blank shore
(in rainbows)

Because we separate like
Ripples on a blank shore
(in rainbows)

Reckoner

Take me with you
Dedicated to all you all human beings"

Stretti nella morsa del diavolo, ci abbandoniamo per sempre al peccato.

sabato 7 aprile 2012

Santi di Big Sur (anche a Pasqua)





Una volta a Pasquetta eravamo invitati in un posto noioso con gente noiosa, quindi siamo usciti, abbiamo comprato una cassa di Heineken, e tutto quello che ricordiamo è che la padrona di casa aveva fatto sapere che da lei non avremmo più messo piede.
Un’altra volta eravamo vicino al mare, avevamo un frigo con 100 birre e delle ragazze carine che sapevano ballare e avevano culi sodi. Ci siamo divertiti, prima di finire a vomitare nella spiaggia al tramonto. Romantico, a modo suo.
A Roma col mio compare avevamo provato a fare dei burritos, e per restare in tema avevamo preso anche una bottiglia di Jose Cuervo, e mentre cucinavamo facevamo sale&limone e bumbum finchè non abbiamo deciso di lasciar perdere quei fottuti burritos e siamo rimasti a ridere come deficienti.
Non so come sono messi gli altri cristiani, ma noi abbiamo un certo modo di celebrare la Santa Pasqua.

Ma non c’era solo la Pasquetta. Il 25 ci davamo sotto lo stesso. Per noi religione e politica meritavano entrambe.
Una volta abbiamo giocato ad Axis and Allies, un gioco da tavola, per qualcosa come 14 ore, finendo una cassa e mezza di birra, qualcuno che fumava, le ore che gocciolavano via sotto il sole splendido di primavera.
Coi ragazzi dell’Opg nella mia Big Sur sul mare, ad arrostire carne (grazie ad Elisa), a mettere su sempre gli stessi cd, a parlare e finalmente dimenticare e poi passeggiare in riva al mare, stanchi come bambini, pance piene teste vuote niente da fare.
L’anno scorso al mare, poche idee per il futuro, le birre che ci passavamo solo io e Miki mentre gli altri no no, per me basta così, e poi alla fine una carbonara cucinata da un vero chef, che cercavamo invano di mischiare al Tavernello ormai caldo per ridarle dignità.
E poi Simona che mi dice vieni, mi dice esci dai, a me non va ma poi esco lo stesso, ed in macchina mi presenta 3 suoi amici, il Caso lavorava per una volta a nostro favore, e mentre bevevamo il vino forte che aveva portato Manu e ridevamo con Gianka e ricordavamo con Ste, ci sentivamo fortunati per delle mezz’ore intere.

Perchè racconto questo? Perchè Big Sur era anche là, era già là. Erano quelle giornate, quell’aria, quel sole, qualcosa da mangiare, in mano sempre un bicchiere, qualcosa da fumare, chiacchiere sotto il sole, occhiali da sole e pose da duro, bagni prematuri, risate cazzone e a fine serata tutti a casa, e mentre tutti dormivano io scrivevo poesie, scrivevo storie, perchè il vino per me era solo una parte del tutto, scrivevo blues, scrivevo porcate, scrivevo cose eccitanti e mi toccavo pene e anima, scrivevo perchè a Big Sur c’era vita anche quando stavamo morendo, e noi di quella vita avevamo un bisogno disperato, più delle donne che corteggiavamo o del prossimo bicchiere o del sole. Beh, quasi.

Big Sur era allora, Big Sur non è mai finita. Ora che sono fisicamente lontano, ci torno per scrivere. Big Sur è ritmo, è rock, è quella musica da fine di una giornata alla grande. E’ quel tamtam che non ti lascia, che non si può andare a dormire nonostante la sbronza e il sonno, aprire le finestre e gridarlo a tutto il mondo, gridare vaffanculi e rime baciate, girare nudi tra una stella e l’altra.
Perchè la vita si incontra raramente e quando succede te la bevi tutta, e fanculo a quelli che no no, per me basta.

Ma poi c’era la mattina dopo, vero Jack? Ci si svegliava, ci si grattava la testa. E’ successo veramente? Tutto tornava al suo posto. Era un segreto tra te e la notte.
E poi c’era quella cosa che esigeva conto e pazienza, quella cosa con le sue scadenze e i suoi domani e dopodomani, che qualcuno chiamava futuro e per noi era solo malditesta e tristezza.
Eravamo santi, allora? Siamo morti, adesso?
Ci creavamo miti, e su quei miti campavamo per mesi. Rifacciamolo dai! –come a dire, riviviamolo. Ma la vita era già andata via e noi dovevamo badare a quel che c’era da fare. Lavoro università casa famiglia.
Ora che da Big Sur sono lontano, che sono stato nel giardino a prendere il sole e ora mi siedo con un vino che non sappia d’aceto, sembra chiaro a tutti tranne che a me.
Sono santo, adesso? Ero morto, allora?
Il punto, Jack, è che avremo sempre delle risposte che sono quelle giuste finchè non capiamo che sono sbagliate. Ma a quel punto, la domanda non ha più senso.
Qual’è la domanda ora? Qual’era allora? Ora che siamo sparsi per il mondo, che tu ti affacci a Big Sur ed io invece ci sono stato per anni? Che le persone delle mie Pasquette di Big Sur sono da qualche parte, a passare dei giorni che spero alla grande, che tirano avanti e cercano di definire questo futuro senza farsi fottere dalla paura e senza farsi fottere da quelli che glielo definiscono per loro e senza farsi fottere dai ricordi e dal com’eravamo e senza farsi fottere dalla difficoltà a tirarsi fuori dal letto al mattino?
Ci sarà sempre qualcuno pronto a farci i conti in tasca, a dirci come stiamo andando, cosa ancora dovremmo fare, perfino a quando festeggiare.
Per questo il vero Jack era fuggito a Big Sur. Non erano stati i soldi o l’Ikea, ma il fatto che gli altri pensassero che lui era tutto lì. Doveva ricominciare, e per farlo aveva bisogno di quelle giornate.

Il futuro è una brutta rogna e il presente è un lusso. Per questo noi ci beviamo su. Con gli occhiali da sole, in un angolo del giardino, con quell’aria di chi sa tutto quando in realtà non sa un cazzo. Quell’aria divertita perchè ancora non è finita, non è mai finita, e finchè non è finita noi siamo qui a ballare, a palpare baciare succhiare, siamo qui a ridere, a sperare, siamo qui a bestemmiare.
Siamo qui, prima di essere lì.
E’ quello che conta.
Buona giornata, ragazzi.

venerdì 6 aprile 2012

Big Sur Moon...

C'è stato un tempo in cui questa stanza si affacciava su un futuro prossimo fatto di divertimenti e libertà, d'estati passate a costringere le nostre impronte nelle orme dei beat, sognando notti d'ebbrezza in una Big Sur del Tirreno, e questo bastava, il futuro era lontano. Da quella finestra potevi goderti il fascino di questi pazzi bikkhu senza meta se non il paradiso, e tutto era folle e la scrittura era folle e non c'era che un roteare vorticosamente come onde centripete, e sembra incredibile che la stazione radio metta su proprio adesso High hopes con tutto il suo significato e i suoi ricordi. E' una di quelle magiche coincidenze che il buon Kundera avrebbe riversato volentieri sulla sua Tereza, e intanto la spiaggia, il mare, la notte stellata d'estate, Jack e Zango e Stefania ("the artists are present") ( la NOSTRA performance, nostra e nostra soltanto scivolare su di una strada lastricata d'oro e reminescenze, si sa che i ricordi sanno essere dorati) e quella polvere d'amore nell'aria che allora non possedeva ancora il delicato volto di un'amante fragile come le lentiggini del volto di Dio, intanto qualcuno scrive tanti bevono quello stronzo di Ginsberg continua a guardare Hank come a dire "che cazzo ti credi di essere a scrivere in quel modo" e Hank dovrebbe pensare lo stesso ma se ne frega e pennellate, pennellate di luce purissima perché stasera Dio è David, e l'assolo di High hopes trovatemi un fottuto Delacroix che saprebbe fare di meglio, è un orgasmo pennellate di luce che squarciano il petto da cui vomito angeli che volano trapassati dalle magiche pennellate di quel solo... campane in lontananza, suoni lontani, il vociare di un convito di pazzi, era quella la vita che avevo davanti.. Adesso la vedo ancora, stravolta eppure fine a se stessa proprio come dev'essere, senza mobili Ikea, senza Australia, senza università, senza FUTURO. Il futuro è un ciclope idiota, un tarlo cancerogeno, quando abbiamo perso la capacità di fottercene? Diventeremo tutti così, siamo quindi destinati a perdere per sempre la nostra verginità? Perché non posso restare vergine dal futuro, perché devo desiderare qualcosa che vada oltre il presente della mia mente? Non voglio guardare il mio misero futuro, fosse anche la ricchezza, fosse anche la rivoluzione. Voglio osservare il presente tangibile della mia mente, voglio osservare dalla finestra della mia stanza qui, nel Morgana dove in fondo tutto è iniziato, la notte soffusa di Big Sur colare via in un delirio d'estasi come quando leggevo On the road e Angeli di desolazione, come il mio approccio con Hank, come indossare la pelle morta di serate mai realizzate, la gioia è a tre mesi da me e per il breve intervallo di una stagione il futuro sarà il futuro e l'unico futuro autorizzato a guidare i miei passi sarà la dolce madre dal cui seno succhio grandi speranze e l'Eterna Luce della Pietà, quando siamo diventati così pudichi, liberiamoci delle nostre stupide fobie e non ci sarà nulla oltre la nostra danza di piacere nella notte di Big Sur. Questo è ciò che vedo dalla mia finestra. Vado a letto, lei dorme già. Mi rannicchio dietro la sua schiena. Lei era la pioggia mancante, lei era il Bodhisattva che i miei desideri avevano smarrito. Adesso non ci sono più scuse.
Adesso non abbiamo più scuse
futuro
futuro
futuro
or-ro-re fuori
obliare il resto,
adesso non abbiamo più scuse.

Quando arriverà la notte, eseguiremo la nostra performance, intrisi di notte e piacere e dioniso, sarà pura, sarà purezza come d'orgasmo tra le nostre idee, talenti riscattati dall'ortodossia, fosse anche per qualche ora, qualche ora ancora...