domenica 27 marzo 2011

I PREDATORI DEL TEMPO

È un rientro stanco, ma consapevole.

Ti rubano un'ora con la giustificazione che tempo fa te l'avevano data in regalo. Ti concedono una sola possibilità, avanzi di vita ridotti a frammenti che collezioni per anni cercando di incastrarli tra loro, poi te li fanno sparire da sotto il naso come prestigiatori d'alta scuola.

Il tempo è solo tuo. Come la vita, per cui a priori non devi mai nulla a nessuno, nemmeno a chi te l'ha data.

Non fanno paura le luci, non fanno paura i rumori. Non temi la pioggia né gli occhi di uomini che non conosci. E nemmeno hai timore del silenzio al ritorno.
Quando ti senti perso, e sei ubriaco al punto di confondere la quiete con la morte, riflessi di fari lontani prendono a illuminare, negli occhi, angoli così remoti che non sapevi di avere, mentre un inatteso cinguettio di uccelli, che forse chiamano l'alba, riempie il vuoto dei timpani e scaccia il brusio di pensieri malfunzionanti.


martedì 22 marzo 2011

LA VERITÁ

La verità è che il mondo di oggi è così tanto complicato che per risolverlo dobbiamo scegliere soluzioni semplici. Distruggere o costruire? Interesse privato o benessere comune?
Finché si resta su una linea elastica che si muove verso l'uno o l'altro estremo, è impossibile. Si muove la linea elastica, ma noi restiamo immobili.
Scendiamo da quella linea, smettiamo di dondolarci come elefanti sopra un filo di ragnatela.
Muoviamoci noi. Schieriamoci. È la nostra cazzo di vita. E quella dei nostri cuccioli.


lunedì 21 marzo 2011

Armonia, disarmonia

Alla ricerca dell'armonia. Questa magica parola evoca idilli, paradisi, perfezione. Evoca il collassare di più suoni, di più mondi in un' unica frequenza di pensiero e di vita. Evoca l'idea perfetta dell'amore.
Ma cos'è l'armonia? L'armonia non è altro che la sovrapposizione contemporanea di corpi, sonori e non, in un tentativo di fusione universale ed eterotopica.
Sovrapposizione contemporanea. Note che vibrano insieme, semplicemente sovrapposte. Anche la disarmonia è armonia, se governata da talentuose intuizioni.
L'armonia è la metafora di una determinazione d'amore, la sovrapposizione di un intervallo di tempo di dui corpi.

Lei è una melodia moderna, violenta, atipica, una cadenza governata dalle leggi delle ottave e delle alterazioni. Lunghe minime malinconiche lasciano spazio a convulsi saliscendi da bebop parkeriano.
Una montagna russa d'imprevedibili scale.

Ogni persona è, a modo suo, una melodia. La melodia è lo sviluppo orizzontale di una composizione. E' il nostro ego, con i suoi acuti e i suoi gravi, con le sue accelerazioni improvvise e le sue semibrevi di quiete.
L'accordo non è possibile tra due persone se non per qualche intervallo di tempo.

Lei viola il principio di armonia. E' impossibile seguire tutte le sue variazioni. Si può solo ammirarne la bellezza. L'armonia, con lei, è una rimozione del proprio ego in virtù di una contemplazione di sublimi note le cui frequenze s'insinuano nelle tue vene, scorrono nei binari della tua mente, distruggono le tue sicurezze con la loro forza. E' puro desiderio di piovere su quella musica, diventarne parte, aver paura di rovinarla tentando di sovrapporre la nostra, di melodia.

Eppure, per un'armonia irrealizzabile se non per brevi intervalli di tempo, c'è una disarmonia che unisce mondi, note, corpi estranei. Note di parole per determinarne la volontà, note di mondi mai conosciuti in assoluto che corrono insieme nell'immenso reticolo dell'universo, con le loro accezioni.

E' la talentuosa intuizione della disarmonia il sublime dell'amore.

Mondi che cozzano tra loro, un calvario di dissonanze e cacofonie. In mezzo, lei e il suo volto. L'universo è nella nostra mente. Cercando l'universo, scorgo me stesso, dentro i suoi occhi. Mi perdo ancora in quegli atomi di piacere, sento il mio corpo annichilirsi, diventa cenere laddove lei inizia. vedo la sua Aurora nel mio cielo, scorgo frammenti d'identità materializzarsi eterei nel caos calmo dei miei pensieri. Mi ricopre come un sudario. Lame di luce squarciano la notte della desolazione, mi abbandono ancora a quest' illusione.



domenica 20 marzo 2011

sabato 19 marzo 2011

IL PESO DELLA VALIGIA

é troppo presto per dormire..decido di sognare ad occhi aperti questa notte..sono qui con Veronica,quella vera..e Ligabue mi fa compagnia..lascio andare la stessa canzone più e più volte..mi fa sognare..GAMBE PER ANDARE DICE...è quello che spero..io andrò,percorrerò molte strade..anche molto tortuose..ma arriverò a destinazione!non mi accontento della mediocrità che mi circonda! no! di questo ne sono certa...sono cresciuta forse abbastanza in fretta..ma ancora mantengo i sogni di una bambina..quella bambina non morirà mai dentro di me..fin quando farà compagnia ai suoi coetanei!E SOLE PIOGGIA E NEVE E TEMPESTA..SULLA VALIGIA E NELLA TUA TESTA..beh nella mia testa sicuro..si rincorrono come in ogni singola stagione,,e presto spero di prendere la mia valigia..voglio viaggiare,voglio percorrere i sassi della mia vita!!
è triste come raggiunga la profondità solo cn me stessa..ma dov'è la persona più simile a me? ti troverò mai?beh lo spero..voglio amarti,sentirmi amata..capita!voglio nn dover avere un motivo per essere cinica e drastica! voglio alzarmi e sapere che non ho un motivo per essere triste oggi,perchè cmq al mio fianco trovo te..la mia metà,il mio abbraccio,il mio cuore! Lo spero..spero di incontrarti..ma tu sei come un camaleonte..ti mimetizzi perchè sai che non è il momento..
Tutto quello che vedo so che non mi servirà..mi sento come in un labirinto..un labirinto di quelli che non trovi nella settimana enigmistica,sembra creato dal cappallaio matto di alice in wonderland..la fine è difficile da raggiungere,l'USCITA..ma quando la vedrai ti aprirà un mondo nuovo..delle opportunità,la tua VERA VITA,quella che hai sempre sognato,quella che è dentro di te! E LA VALIGIA COMINCIAVA A PESARE..Dovrò fermarmi e aprirla..uscire tutti i tesori ed eliminare la melma..dopo la metterò a posto,nel mio bellissimo appartamento,magari aiutata dal mio coetaneo che sarà il dono più bello mai avuto..HAI FATTO TUTTA QUELLA STRADA PER ARRIVARE FIN QUI,MA ADESSO PUOI RIPOSARE..UN BAGNO CALDO E QUALCOSA DA MANGIARE..TI APRO IO LA VALIGIA,C'ERANO SONO 4 FARFALLE UN Pò PIù DURE A MORIRE..ma le farfalle volano,e se sono le più belle,restano per tutta la vita! andrò a costruire la mia valigia...sarà di cartone,ma molto resistente..

venerdì 18 marzo 2011

ophelia

giovedì 17 marzo 2011

Una giovane vecchietta di 150 anni

Auguri nonna ,Italia!
Oggi compi 150 anni e però devo dire che non li porti mica tanto bene.
Sei forse tra le nazioni europee più giovani, di fatto 150 anni non sono poi molti, però guardati come sei ridotta.
Bhe diciamo che fin da quando sei nata non è che ci fossero i migliori presupposti, una guerra coloniale interna fondata anche allora su falsità e menzogna.
Un regno, quello piemontese senza più una lira nelle casse che va alla conquista di un altro regno, quello borbonico, ricco, evoluto, con ferrovie e gallerie ferroviarie, con industrie e sopratutto con tanti soldi e tante risorse da poter sfruttare. Non mi riferisco solo alle risorse naturali ma sopratutto quelle umane.
Ecco come sei diventata grande, cara vecchietta. Sfruttando il lavoro dei poveracci a scapito dei soliti ricchi che hanno continuato ad arricchirsi deludendo sempre le aspettative di chi ha dato la vita per te.
Oggi la storia ce lo insegna, ma non quella dei libri di scuola, e la storia, si sa, si ripete.
Ed eccoli li tutti i giovani di oggi illusi come quelli di ieri.
In tanti che aspettano un posto di lavoro e chi ce l'ha non sa chi deve ringraziare per potersi spaccare il culo 12 ore al giorno per un pezzo di pane che forse domani non potrà neppure più mangiare grazie al contratto a termine.
Eccoli li i ragazzi del sud sempre screditati e derisi che sono costretti a lasciare la propria terra per arricchire il nord.
Poi guarda caso i maggiori posti di rilievo sono sempre ricoperti da persone del sud.
Ecco come sei vecchietta, sei una mamma che spesso lascia andare via i propri figli, ma la colpa lo so che non è tua.
Tu sei una mamma accogliente, piena di arte e storia e cultura ormai dimenticata, tu sei la terra del sole e della pasta e della pizza, la terra da cui è nata la storia del mondo.
Il problema cara nonna Italia, sono le persone che stanno li, nei posti di potere.
Gente che come allora Cavour e Mazzini speculano e giocano d'azzardo per vincere la propria battaglia personale, non soccombere anche se a scapito di altri.
E allora guardali, tutti questi politici impomatati che stringono mani e sorridono nelle loro belle giacche blu a festeggiarti a festeggiare la propria gloria per aver fottuto una volta di più gli italiani.
Poi, ovviamente la mamma dei cretini è sempre incinta e c'è chi nonostante tutto mangia alle spalle degli italiani si permette pure di criticare il tuo compleanno.
Ma si chissenefrega di una manciata di ignoranti si diceva qualche anno fa, ma adesso hai visto dove stanno? hai visto che ti tengono per i capelli? Perchè non provi tu a spiegargli la storia?
Perchè non gli spieghi che senza il sud 150 anni fa erano ancora longobardi e senza il sud 60 anni fa erano ancora in mezzo alle paludi?
Vabè ma che mi incazzo a fare... tanto cara vecchietta in questi 150 anni non sono per nulla cambiate le cose.
Ci hanno provato. Alcuni ci hanno provato ma sono rimasti schiacciati da un sistemo vecchio quanto te. Però almeno persone come Falcone e Borsellino ci hanno provato a cambiarti e guarda caso anche loro erano siciliani!
No nonna Italia non sono campanilista, a me piaci da nord e sud, ti ho visitata quasi tutta, ti ho vissuta da sud a nord passando dal nord-est leghista al centro.
Però nonna vorrei che cambiassero le cose, vorrei invecchiare come te senza tanti pensieri vivendo felice e sereno in quello che ritengo uno dei posti più belli della terra. Invece mi vedo costretto a guardare il mappamondo e col dito cercare una destinazione nuova, lontana da te dove i giovani vengano valorizzati più di tutte queste mummie che ti governano.
Auguri nonna Italia! Buon compleanno! Prima di spegnere le candeline però, se permetti, esprimo io un desiderio per te...
desidero che cambi un po' tutto e che quando festeggerai i prossimi compleanni tanti giovani come me possano dire di essere orgogliosi di essere italiani e festeggiare davvero!!
E adesso vai, soffia forte, più forte che puoi, che forse qualche mummia ce la leviamo di torno!

150



Dico la verità: mi piacerebbe. Sì, mi piacerebbe prendere una bandierina, scendere in piazza, mettermi una mano sul cuore, unirmi alla retorica, mandare bacetti alle Frecce Tricolori, ricordare e commuovermi. Unirmi in questo grande auto pompino che è la nostra Grandezza Storica, Artistica, Sociale, Civile.
Mi piacerebbe, anche se quando mi sono svegliato non mi ero neanche accorto che era festa. Capita, quando sei disoccupato perché il lavoro non c’è e i giorni sembrano tutti uguali. Ma lo stesso, grazie Italia.
Mi piacerebbe, guardare il tg e bearmi di tutti quei discorsi imparati a memoria, degli immancabili servizi su quei cattivoni della Lega (scopriamo oggi che loro non si sentono italiani!), delle bandiere e dei bambini. In ogni caso, grazie Italia.
Mi piacerebbe far finta di concordare con la loro versione della Storia, dimenticando che la Storia la scrive chi vince, mi piacerebbe vedere Cavour Mazzini e Garibaldi come nei libri di scuola, prima di capire che Garibaldi, da queste parti, non ha fatto alcun bene. Comunque, anche se il Sud resterà sempre pezzente brigante affamato, grazie Italia.
Mi piacerebbe mettermi anch’io una bandierina sul profilo Facebook e poi andarmene in giro a dire che pasta che vestiti che macchine, senza pensare che da domani ricomincia tutto, la strada in salita, il futuro inesistente, le leggi, l’arroganza, la presunzione, l’arretratezza, la mignottocrazia, le raccomandazioni, il livello di vita che scende, i poveri lasciati a marcire, le masse dimenticate. Ma sì, diciamolo, grazie Italia.
Sì, per un giorno mi piacerebbe dimenticare tutto questo, anche il fatto che, se sarò costretto presto a lasciare il Paese, sarà anche per colpa di questo Paese, come hanno fatto e faranno tanti altri. Chissà se i 150 arrivano anche lì. Chissà se gliene importa ancora qualcosa, lì.
Mi piacerebbe, ma è più forte di me. Andate avanti voi, con bandierine e trombette. Io finisco di fare le valigie, e magari vi raggiungo dopo.
Grazie Italia.

mercoledì 16 marzo 2011

Vincent



Starry, starry nights
Paint your palette blue and grey
Look out on a summer's day
With eyes that know the darkness in my soul

Shadows on the hills
Sketch the trees and the daffodils
Catch the breeze and the winter chills
In colors on the snowy linen land


Now I understand
What you tried to say to me
And how you suffered for your sanity
And how you tried to set them free
They would not listen, they did not know how,
Perhaps they'll listen now

Starry, starry night
Flaming flowers that brightly blaze
Swirling clouds in violet haze
Reflect in Vincent's eyes of china blue

Colors changing hue
Morning fields of amber grain
Weathered faces lined in pain
Are soothed beneath the artist's loving hand

Now I understand
What you tried to say to me
And how you suffered for your sanity
And how you tried to set them free
They would not listen, they did not know how,
Perhaps they'll listen now

For they could not love you
But still your love was true
And when no hope was left inside
On that starry, starry night
You took your life as lovers often do
But I could have told you, Vincent,
This world was never meant for one as beautiful as you

Starry, starry night
Portraits hung in empty halls
Frameless heads on nameless walls
With eyes that watch the world and can't forget
Like strangers that you've met
The ragged men in ragged clothes
The silver thorn, the bloody rose,
Lie crushed and broken on the virgin snow


Now, I think I know
What you tried to say to me
And how you suffered for your sanity
And how you tried to set them free
They would not listen, they're not listening still
Perhaps they never will

Notti stellate, stellate
Dipingi la tua tavolozza blu e grigio
Guardi fuori a un giorno d'estate
Con occhi che conoscono il buio dentro la mia anima

Ombre sulle colline
Fanno bozze degli alberi e delle giunchiglie
Cattura la brezza e i geli invernali
In colori sulla terra di lino nevosa


Ora capisco quello che avevi cercato di dirmi
E come soffrivi per la tua salute mentale
E come hai cercato di liberarli
Non ascoltavano, non sapevano come, forse adesso ascolteranno


Notte stellata, stellata
Fiori fiammanti che bruciano brillantemente
Nuvole a rivoli dentro evanescenze violette
Si riflettono negli occhi blu profondo di Vincent

I colori che cambiano tinta
Campi di grano d'ambra di mattina
Facce consunte dal tempo rigate di dolore
Vengono calmate sotto l'amorevole mano dell'artista

Ora capisco quello che avevi cercato di dirmi
E come soffrivi per la tua salute mentale
E come hai cercato di liberarli
Non ascoltavano, non sapevano come, forse adesso ascolteranno

Perché non potevano amarti
Eppure il tuo amore era vero
E quando non ci fu più speranza dentro
In quella notte stellata, stellata
Hai preso la tua vita come gli amanti spesso fanno
Ma avrei potuto dirti, Vincent,
Che questo mondo non era mai stato pensato per qualcuno così bello come te

Notte stellata, stellata
Ritratti appesi in corridoi vuoti
Teste senza cornice su muri senza nome
Con occhi che guardano il mondo e non possono dimenticare
Come sconosciuti che hai incontrato
Gli uomini stracciati in vestiti stracciati
La spina di argento, la rosa sanguinante,
stanno schiacciate e rotte sulla neve vergine

Ora, credo di conoscere
Quello che hai cercato di dirmi
E come soffrivi per la tua sanità mentale
E come hai cercato di lierarli
Non ascoltavano, ancora non ascoltano, forse non lo faranno mai






lunedì 14 marzo 2011

Il Mio Piccolo Grande Uomo

Oggi è un anno in più, un altro anno passato con difficoltà.

Vedo un Piccolo Grande Uomo che porta con se un sacco pieno di sassi, curvato dal peso che l' ha fatto invecchiare più del dovuto e più velocemente.

Dietro questa grande fatica, quando si gira e mi guarda ritrovo sempre quel volto tenero un po' indifeso e quegli occhi sempre più lucidi che ricordo da quando ero bambina, che mi facevano sorridere e che lo rendevano buffo.

Crescendo mi sono resa conto di quanto quello sguardo parlasse, di quanto quei silenzi valessero più di tante parole, ed ho imparato ad apprezzare e a conservare sempre con me quell'immagine.

Ho sempre detto poche volte a quell'Uomo quanto gli voglio bene e forse l'ho ringraziato sempre troppo poco,

oggi è il giorno giusto per ricordargli che sono fiera di Lui e che sono orgogliosa di essere sua figlia.

domenica 13 marzo 2011

I BAMBINI SANNO L'AMORE

Siamo andati sulla Luna, abbiamo scoperto Plutone e poi l'abbiamo ridotto a pianeta nano. Sappiamo mandare le macchine a idrogeno, possediamo le conoscenze e la tecnologia per far sì che spostarci ci costi poco più del nostro "dispendio" giornaliero di urine. Però prima scoliamoci quel poco petrolio.
E gli aerei? Direi che ci manca poco al teletrasporto, e non potrei giurare che da qualche parte non abbiano già cominciato.
Diciamo la verità. Se i greci attribuivano agli dèi il potere dei fulmini e delle tempeste, a noi umani di oggi quegli dèi ci fanno una pippa.
Abbiamo fatto dei passi così da gigante che ci siamo doppiati più volte, il cervello e l'intelligenza hanno staccato l'umanità di dieci lunghezze.

Guardiamo i nostri bambini e ci auguriamo che imparino in fretta, che diventino subito padroni di questo immenso potere che abbiamo raggiunto. Ce lo auguriamo per il loro bene.

Sappiamo tutto, capiamo ogni cosa, costruiamo tutto quello che sogniamo.

Abbiamo inventato internet e facebook per non perderci tra le strade sempre più caotiche e pericolose. Vuote.
Centrali nucleari pronte a saltare per aria. Rischi concreti di pagare prezzi massimi. Però non succede niente, tranquilli, se c'è una perdita ci schiaffiamo un Tena Lady e tutto a posto.
Tutto a posto, certo. Sappiamo fare anche questo. Alla peggiore delle tragedie ci appiccichiamo la soluzione con lo sputo, al volo, e tutto andrà bene. E poi si sapeva che POTEVA SUCCEDERE, in fondo il rischio c'era sempre stato. Impossibile escluderlo, è una centrale nucleare. È un po' come una bomba piazzata sotto al tuo culo, che ti dicono "Tranquillo è quasi impossibile che esploda". Roba che ti viene da dire perché cazzo allora ce la stanno mettendo.
Sappiamo fare e disfare ogni cosa. Abbiamo nelle mani il segreto per fare di questo mondo selvaggio un vero Paradiso per la nostra specie eletta. Ma la vera svolta è che seppure siamo relativamente in pochi, a stare così avanti, lo siamo così tanto che anche quelli che stanno più indietro possono essere salvati. Sì. Automaticamente. Beati loro. Non fanno un cazzo e poi si godono le nostre scoperte. Siamo così civili che per emanazione civilizziamo anche i barbari, quelli delle tribù affamate di tutto il mondo, che pregano ancora il sole e la pioggia. Certo che però a volte sono impossibili. Ti dai loro internet e loro hanno fame. Fanno i difficili, sì. Un dittatore spara sulle folle e spiana baracche a colpi di carro armato? Bè facessero qualcosa anche da sé. Questi puzzolenti che non si lavano apposta. Perché se volessero farlo, di bagnoschiuma profumato PH Neutro ce n'è a bizzeffe per tutti. Niente cazzate su questo: lo produciamo noi! Anche l'acqua la produciamo noi, e come tutti i prodotti si paga.
A CSI li prendono tutti. I colpevoli, dico. Una settimana dopo un delitto apparentemente perfetto, il killer starnutisce dall'altra parte del mondo e dopo qualche minuto gli piombiamo addosso mentre fa il bagno in hotel, nella vasca piena di bagnoschiuma e acqua. Sì, gira voce che nella realtà qualcuno la fa franca, ogni tanto. Ma sono casi isolati, rarissimi. E poi anche per loro è solo questione di tempo. Il loro vantaggio è solo quello di non contare un fico secco. Sì, perché i geni del male non ci sfuggono, ma qualche pezzo di merda di bassa lega di un paese buco di culo è più difficile da beccare. Perché in quel paese buco di culo che vuoi fare, la sera? Ti guardi CSI, ti fai una risata e prepari un omicidio come si deve.
E i pirati? Abbiamo scudi terrestri, aerei invisibili ai radar, portaerei corazzate grandi come città, ma in certi mari, le persone assaltano i mercantili. L'unica differenza, rispetto a 500 anni fa, è che le imbarcazioni sono a motore e i pirati usano mitra e bazooka. Uccidono razziano e scappano senza più farsi vedere. Alla faccia dei satelliti e dei servizi segreti che in questo momento sanno anche se ti stai mettendo un dito nel naso.

[...]
E ripensi a tutto questo mentre ti torna in mente uno spettacolo teatrale per bambini.
I bambini non sanno nulla di nucleare, né di manovre marittime. Non sanno come amministrare un patrimonio, non capiscono un cazzo di tassi e derivati. Non si intendono di politica né di indagini. Sono all'oscuro quasi di tutto, e se solo non esistessero pistole e bazooka, forse non imparerebbero mai ad usarli.
Forse, ed è il mio augurio, resterebbero per sempre imbambolati a fissare storie di streghe e di cavalieri e di boschi. Forse, non devono capire niente di più importante dell'unica cosa che sanno, e che noi abbiamo perso: l'amore.

Melodia di violino

Un dolce, stridulo suono espande
quando si accarezzano le sue vissute corde.
D'amore può professare e sorprende,
nelle sue gioie la gloria tocca e morde.

Ma in breve questa gioia si assopisce,
nelle sue profonde gravità annega.
Vorrebbe vendicarsi, ma non colpisce,
poichè tutto il suo dolore lui lo nega.

sabato 12 marzo 2011

Appunti da un'Isola disperata


Il primo ricordo è il mare. Ci restavo così tanto che la pelle mi diventava marrone. Mio nonno pensava che fossi africano. Mi guardava correre verso l’acqua e poi si buttava anche lui. Rideva.

Mia nonna era al bar. Lo avevano aperto dopo la guerra, dopo che erano stati mandati via, in un paesino di montagna, per le bombe. Avevano patito la fame, mangiavano pane nero e tiravano avanti per giorni senza mettere niente sotto i denti. Quando gli americani alla fine arrivarono, con i carri armati e le loro scene da film, mia nonna, che era appena una bambina, vide il suo primo uomo di colore. Era più scuro di me al mare, e le sorrise. Le diede anche una scatola di biscotti, enorme. Era grande quasi quanto lei. Lo ricordava benissimo. Appena l’americano se ne andò, un uomo, uno del paese, corse verso di lei e le strappò di mano quella scatola. Lei non realizzò subito quello che era successo. Non mangiava da una settimana.

Mio nonno cominciò a fumare grazie agli americani. Era un ragazzino, li seguiva ovunque. Era veloce ad imparare. Anni dopo mise a frutto questa sua dote, e aprì un paio di bar. Subì diverse rapine, una volta gli spararono. Non perdeva mai il buonumore. Lo ricordo triste solo una volta. Aveva davanti un televisore, e sullo schermo le immagini di via D’Amelio in quel pomeriggio di luglio.

Mi portava in giro in campagna, poi si addormentava sotto uno degli ulivi e lasciava che la Natura decidesse per me. Quel verde dappertutto, che si tuffava su quel blu sconfinato, mi apriva il cuore. Mi sembrava non ci fosse posto più bello al mondo. Il mare restava sempre il mio preferito. Nuotavo per ore, poi mi gettavo sulla sabbia. Qualche anno dopo quella spiaggia sarebbe stata definita non balneabile. Nel frattempo io e gli altri bambini della zona ci beccammo delle dermatiti che ci accompagnarono per diversi anni. Quelle spiagge pulite si coprirono di immondizia, l’acqua si mischiò alla fogna e agli scarichi senza depuratore. Alcuni di noi nuotavano a zigzag tra gli stronzi. Mettevamo la maschera per guardare sott’acqua. Non vedevamo niente, ma continuavamo ad andare.

.

A scuola stavamo sempre all’aria aperta. Con un po’ di fortuna, qualche volta riuscivo a convincere mio nonno a farmi fare il bagno a marzo. Il mastro ci picchiava, ma era una persona civilissima, molto profonda.

Crescendo, la musica cambiò poco. Non ci picchiavano più, perché eravamo adulti. Ci insultavano, ci riempivano la testa di cose vecchie e sorpassate, non chiedevano se avevamo domande da fare perché non avevano pronte le risposte.

Nella mia classe, piena di analfabeti, nessuno venne bocciato perché erano tutti raccomandati. Non imparammo niente, se non questo. Persone che non riuscivano a leggere, che avevano difficoltà a fare due più due, le ritrovai poi col camice da chirurgo, con la toga da giudice. Mi resi subito conto che non erano cambiate di una virgola.

La città cambiava con noi. Le spiagge, un tempo lunghe, pulite, frequentate, cominciarono a svuotarsi, a sporcarsi, a morire. Il litorale diventò un luna park vuoto (e costoso). Il traffico e la viabilità impazzirono. Aprirono un parco, e pochi anni dopo già era diventato malfamato. Anch’io vivevo in un cosiddetto quartiere malfamato, ma non successe mai niente. Niente, a parte uno che gambizzarono nell’androne del mio palazzo per un debito. La mattina dopo vidi delle macchie color amaranto. Cos’è?, chiesi. Pomodoro, mi risposero. Mi dicevano la stessa cosa quando guardavo una scena di sangue in tv.

.

Dopo la scuola, l’Università –la stessa dove uccidevano i professori, arrestavano i rettori, dove i cognomi erano sempre gli stessi. Pochi passavano. Conoscevo un sacco di 110 e lode in medicina che non sapevano come si metteva un cerotto. Giravano nei locali che erano stati aperti per loro, che costavano tanto e non davano niente se non il riconoscimento di quel piccolo potere. I dottori prendevano soldi sotto banco, nello stesso periodo in cui mia nonna si ammalò coi loro vaccini. Gli avvocati crescevano a dismisura, proprio mentre mia madre veniva investita da un motorino guidato contromano da uno senza patente, senza venire mai risarcita.

Intanto la spiaggia era sempre vietata, ma la gente faceva il bagno lo stesso. L’acqua mancava per pomeriggi interi, in quei luglio da lasciare senza fiato. Nell’aria c’era odore di estate, e dei cassonetti che nessuno veniva a svuotare. Per migliorare tutto questo votammo un sindaco. Fu messo sotto processo, riconosciuto colpevole, dunque cambiarono la legge apposta e lui potè tornare. La gente lo rivotò.

C’era un’elitè, c’era sempre stata. In loro rivedevo molti dei miei compagni di un tempo. Passavano in Audi davanti alle baracche di quelli del terremoto, che ancora sognavano una casa. Ci passavano anche i camion, a decine e centinaia, che ogni tanto falciavano qualche pedone. Gli edifici storici ogni tanto perdevano un pezzo, e anche quelli nuovi. Costruivano ovunque. Dallo Stretto, quando tornavo a Messina, vedevo un muro di cemento a picco sul mare.

Ormai solo due tipi di persone amavano quella città: quelli che l’avevano lasciata (perché da lontano tutto è più bello) e quelli che erano costretti a restarci contro la loro volontà. Gli altri si lasciavano andare ad una quieta disperazione fatta di mah, boh, chissà. Il valore culturale, che aveva una grande tradizione, si era ridotto al vantarsi che Maria Grazia Cucinotta è messinese. Ai giovani importavano i localini nuovi, tutti posseduti più o meno dagli stessi. Le fabbriche chiudevano, i negozi chiudevano, solo istituti di credito e centri scommesse spuntavano come funghi. I miei concittadini avevano bisogno di soldi, in un modo o nell’altro. Ma le cose andavano male e tutti erano nervosi, si parcheggiavano addosso, si insultavano, si urlavano.

I treni erano in ritardo, i traghetti erano in ritardo, le poste non funzionavano, negli uffici c’era assenteismo e fancazzismo, i raccomandati riempivano ogni buco, i posti di lavoro si riducevano a zero, i turisti non venivano più, la delinquenza aumentava, perfino i morti al cimitero non trovavano più posto…

Ma tutto questo sarebbe stato risolvibile. Parlo al passato perchè un problema si risolve solo quando lo vedi come un problema.

La gente nell’Isola non la pensa così. Per loro basta il sole, il mare, il cibo, l’aria. Tutte cose che piacevano anche a me, quando ero piccolo. Mi hanno tolto anche quelle.

C’è sempre stato qualcosa, al di sopra delle nostre teste e anche dentro. No, nessun Burattinaio. Siamo stati noi a farci del male, noi a volere questo, noi a chiudere un occhio. Gente che non importa, gente che se ne fotte, che protesta solo per il calcio mentre gli fanno di tutto. Gente che ha consegnato la sua vita a faccendieri, a deputati con la faccia come il culo, a corrotti, a figli di papà.

Saremo noi che faremo inabissare quest’Isola.

Avevamo tutto, e ora…

.

Quando i miei nonni sono morti, sono andato a casa loro. Nella libreria di mio nonno ho trovato il libro di Falcone, “Cose di Cosa Nostra”. L’ho aperto. Il segnalibro si fermava poche pagine prima della fine, come se non avesse voluto sapere come andava a finire.

Me lo sono portato a casa. L’ho letto tutto in un pomeriggio di pioggia di febbraio, quando l’acqua cade per giorni, riempie le buche nelle strade e fa saltare gli acquedotti. Beh, quasi tutto.

Sono arrivato nel punto in cui mio nonno aveva lasciato il segnalibro. Nemmeno io l’ho finito. Ho chiuso il libro, l’ho messo sul comodino e sono rimasto a sentire la pioggia cadere.

mercoledì 9 marzo 2011

Notte alcoolica

Seduto sul mio sgabello di questo bar vuoto, fisso il mio bicchiere di whisky.
Tra i riflessi ambrati del liquido si perdono i miei pensieri e annegano le mie speranze mentre torna prepotente il mio passato.
Solitario in questa notte, scolo l'ennesimo bicchiere cercando il ricordo del suo sapore il suo odore dolce e fresco di frutti di bosco ma sento solo il bruciore dell'alcool lungo la mia gola e poi giu' fino allo stomaco.
Fisso il bicchiere vuoto, come i miei sogni, irrealizzabili.
Bere non mi fa stare meglio, anzi, l'ebbrezza dell'ubriacatura dilata il tempo i miei incubi e le mie paure.
Continuo a bere finche' non va via questa voglia di lei. La notte e' ancora lunga e quindi...
Barman?! Un altro di questo... Doppio e senza ghiaccio

PS. Se qualcuno passa di qua e vuole unirsi lo aspetto.E se non riuscissi piu' a reggermi sulle gambe vi prego di lasciarmi in un angolo della hall ma non riportatemi nella mia stanza, stanotte e' troppo affollata di fantasmi.

CARO AMICO

Caro amico ti scrivo, che tanto qui sul Morgana siam tutti famiglia e ormai non si parla d'altro se non di maschere, fantasmi e vera essenza dell'uomo.
Penso che siamo, io e te, abbastanza simili e soprattutto coscienti di questo. Abbastanza coscienti da sapere benissimo che, come è stato vano il mio tentativo di strapparti all'abisso, anche quello tuo odierno finirà per cadere nel vuoto. Il motivo ahimé è però in parte diverso da quello che credi. Nella tua analisi hai rintracciato solo alcune delle componenti, e hai tralasciato quella principale: la mia volontà. Non ti biasimo per questo, perché da che mondo è mondo la mia volontà rispetto a qualcosa è sempre stata vista in secondo piano. Ho fatto io stesso in modo che fosse così, ma adesso le cose stanno cambiando.
Crescere può voler dire tante cose, e nel mio caso si tratta soprattutto della famosa arte di "metter paletti", di delimitare dove finisco io e comincian gli altri.
Se tu solo sapessi quello che mi è successo, talvolta!
Un giorno un mio amico mi ha telefonato, pretendendo di mettere giù dopo aver deciso che quel suo saluto era un disturbo. Ed è strano, amico mio, perché io ricordo bene di avergli detto il contrario.
E pensa che una volta sono partito per incontrare una ragazza di un'altra città, e alla fine della serata, mentre mi riaccompagnava in albergo, le è arrivato un messaggio in cui un tipo la avvisava di sapere che avrebbe passato quella notte in compagnia di un ragazzo col mio nome. E tu ci credi che lei, entrata nel panico, ha chiesto a me di spiegarle la cosa? E tu ci credi che, come se non bastasse, io ho cominciato a discolparmi?
Paletti, amico mio. Paletti sul confine e su ogni intruso che lo oltrepassa con intenzioni superbe.
Non sarò lì da te a breve, non ci sarò perché voglio star qui a mettere su la mia vita con le poche risorse che ho. Perché se sono troppo orgoglioso o troppo illuso, stai tranquillo che la pagherò io. Farò quello che voglio, quello che credo, e non per fuggire dal posto sbagliato, ma per trovare un posto giusto per me. E se per questo dovrò chiederti un sacrificio d'attesa che potresti non superare, e se per questo dovessi incrinare il nostro rapporto a cui tengo, saprò che lo sto facendo per poterlo vivere in modo più vero. Perché ci sono delle cose senza le quali molte delle altre non hanno il senso né il gusto che credi. Cose come il sentirsi padroni del proprio destino, persino di fronte al calore dell'amore o dell'amicizia.
Magari è così solo per una sera, o magari di più, ma oggi per me è l'unica cosa che conta.
Con tutto l'affetto di cui sono capace, e anche di più.

PS: Tieni una Wuhrer in fresco.

lunedì 7 marzo 2011

Gli Amanti

una notte al Morgana, ovvero giusto il tempo di lasciare la valigia in stanza per riscendere alla hall

Quasi quasi ora alzo la cornetta e chiamo la reception.
"Scusate l'orario", dico. "Ho bisogno di un margarita". Forse non è una cattiva idea, penso. Potrei anche scendere giù. C'è il piano bar stanotte.
"Eh sì, qualcosa di forte".
Edoardo mi ha detto che una birra se la sarebbe andata a prendere. Marco sta sicuramente giù, già da un paio d'ore. Sarebbe bene raggiungerli. Ecco, mi dico, ci vorrebbe solo la forza di alzarsi da questa poltrona che già mi tiene incollata a queste pagine bianche. Sanno di gelsomino e mi ricordano l'Egitto, come l'odore di certi tabacchi aromatizzati per narghilè. Mi ricordano il relax assaporato di notte, davanti al mare. La poltrona della stanza 79 mi fa un po' quell'effetto ed è per questo che la scelgo tutte le volte che ho bisogno di ritrovare quella pace dei sensi tanto ricercata.
"Domani mattina riparto per Ferrara", dico. "Ehheheh, certo, non dovrei fare tardi, ma forse sì, scendo io. Il margarita di cui ho bisogno me lo vengo a prendere direttamente giù. Da me. (...) Bene, grazie. Cominciate già a prepararlo. Va sul conto della 79".
Esco dalla stanza ma dimentico le chiavi dentro.
"Cazzo", dico. "Mmm, poteva andare peggio", penso un istante dopo. "Ho come la sensazione che questa notte la trascorrerò sui divanetti della hall". In fondo, domattina ritorno in città.

domenica 6 marzo 2011

Oggi proprio una giornata di merda!!!!

Mi scuso con tutti per lo sfogo!

sabato 5 marzo 2011

per Illusioni sotto la pioggia di"stanza117 "

per Ma L'AUTENTICITà? di "veronica"

per Tra sogno e realtà "stefania"

per UN PAGLIACCIO TRA VITA E SOGNO "edoardo"

Ma L'AUTENTICITà?

Ecco, è successo di nuovo! Sempre più spesso! Non va,non va..ma cos'è questo senso di vuoto? Marco ha perfettamente ragione...Ti senti a tuo agio solo quando sei con te stesso. Puntualmente mi sembra di tornare a casa e poggiare la maschera sul mobile all'entrata,come posare le chiavi della macchina. Ma il gruppo non crea le identità? La mia viene distrutta...cosa mi resta? e cosa ne ho? Eppure non mi sembra di chiedere cose impossibili,ma..un cretino una volta mi disse che quando un albero cresce storto,continuerà a farlo per il resto della sua vita.Beh, se non altro questa era una cosa vera! Mi rendo conto di essere esagerata a volte,e di contribuire al tutto,ma ormai il vaso è pieno e persino una goccia potrebbe essere fatale. Sono pessimista,lunatica,apatica,irascibile,scontrosa e antipatica,ma in fondo queste sono caratteristiche che non mi appartengono.E allora cosa le fa venire fuori? Ho bisogno di autenticità,qualcuno che mi apprezzi,che mi faccia sentire me stessa,un sensibile..L'umorismo pessimo mi sta schiacciando come un enorme macigno in pieno!e sono stanca dell'arroganza. Odio dare la parte peggiore di me stessa, ma puntualmente salta fuori!
A volte penso che farei un passo indietro,mi butterei in ciò che di più sbagliato non c'è,però perlomeno mi sentivo viva! L'amore cambia il modo di guardare ,ma quando c'è amore questo cinismo maledetto se ne va! Devo evitare che la barriera si mischi con la realtà,non voglio cambiare..stupide difese!Penso di dover cambiare qualcosa intorno a me,non posso permettere che la realtà mi annichilisca...c'è troppa energia in me per pensare di accantonarla! Sarà un luogo comune,ma domani andrò a tagliare i capelli..spero di eliminare qualcosa in più delle punte bruciate!!

venerdì 4 marzo 2011

Tra sogno e realtà


Ecco. Ho preso una penna, un foglio di carta e i miei pensieri, e mentre non credo di riuscire a buttar giù qualcosa, la mia mano comincia a scrivere, comincia a darmi sfogo.
Non so bene qual'è la mia intenzione. Sono solo io, una penna e un pezzo di carta. La mia voglia di guardarmi dentro e forse, non posso negarlo, la voglia che qualcuno mi guardi dentro.
Eppure sono a disagio.
Sento il bisogno di uscire allo scoperto, di affrontare come un nemico l'inaridimento che sento avanzare nella mia vita, sotto qualsiasi forma.
Mi sono preoccupata e mi sforzo ancora di costruire la mia barriera dalle delusioni, dagli attacchi, dal male gratuito, e mi sono accorta che la medaglia su cui è impressa la protezione ha come risvolto l'immagine di un albero dai rami spogli, specchio di un autunno infinito; ma forse questa è la parte migliore, perchè dopo l'autunno viene l'inverno, e non so se sono capace di affrontarlo.
Ed è quindi facile cedere alla tentazione di non svegliarsi da questo lungo torpore, da questa indifferenza costruita con tutta me stessa.
Miro a raggiungere una certa superficialità, ma al tempo stesso la odio, perchè la sento troppo lontana.
Mi chiedo se il progressivo distacco dai sogni puerili si possa definire maturità, o si avvicini di più alla rassegnazione. E a tal proposito sento proferire sempre quelle sciocche frasi fatte sull'uomo che quando smette di sognare è morto, e dico che il sogno è un rifugio, ma rischia di diventare una malattia, quando non sai più distinguerne la raggiungibilità.
Così, tra sogno e realtà, mi muovo alla ricerca di un equilibrio. Mi guardo attorno e credo nella mia fortuna; mi guardo allo specchio, e crollo davanti alla mia fragilità di donna.
Certe volte vorrei tanto smettere di sognare.

Illusioni sotto la pioggia


Quando ero piccolo e pioveva mi piaceva affacciarmi da dietro la finestra ed osservare la pioggia che cadeva.

Osservavo la gente che correva cercando di non bagnarsi, gli ombrelli colorati e gli spruzzi delle macchine che passavano sulle pozzanghere.

Mi immaginavo a cantare e saltare sotto la pioggia ma i miei genitori non me lo avrebbero mai permesso.

Ma soprattutto mi divertivo ad osservare le gocce sul vetro.

Come il gioco sulla settimana enigmistica giocavo ad unire i puntini e creare le figure.

E quante ne trovavo, case, animali, fiori… bastava un po’ d’immaginazione e potevi vederci il mondo tra quelle gocce.

Oggi sta piovendo, i vetri di casa mia sono pieni di gocce.

Ho provato a tornare bambino per scacciare la malinconia di questa giornata d’inverno.

Ho sistemato la sedia vicino alla finestra e ho iniziato dapprima a guardare fuori: gli ombrelli colorati, la gente zuppa che corre sotto l’acqua battente e le pozzanghere.

Poi sposto l’attenzione sul vetro, sulle gocce e sulle figure che riesco a creare unendo i puntini.

La fantasia non manca, buon segno!

Disegno un fiore facendo scorrere il dito sul vetro, poi un animaletto, un cane o un gatto, non è così definito.

Alla fine ecco comparire un grande cuore, lo vedo senza bisogno di far scorrere il dito, riesco a rappresentarlo anche solo mentalmente.

Chissà perché i cuori ci sono sempre, anche quando non vorresti vederli compaiono.

Sono forse sadici i cuori? Non dovrebbero… mah!

All’interno del cuore vedo la mia immagine riflessa e mi accorgo che non sono più bambino.

Vedo il tempo che è passato e l’idea di voler tornare piccolo diventa tremendamente illusoria mentre diventa tremendamente reale la consapevolezza del tempo che passa.

Allora decido, decido di fare quella cosa che volevo fare da piccolo ma che i miei genitori non mi avrebbero fatto fare.

Scendo in strada, senza ombrello, solo io e la pioggia.

Inizio a correre e saltare e urlare contro quel tempo che passa ma che qualche volta è bene che scorra per permetterci di fare quello che da piccoli non potevamo.

Altra illusione per accettare qualcosa che non ci piace.

UN PAGLIACCIO TRA VITA E SOGNO

Nella vita di un blog ci sono momenti determinanti.  Si tratta di episodi non sempre sconcertanti (ma a volte sì) che ti spingono a riflettere e a rivedere non solo l'intera concezione del blog, ma, di rimando, anche l'idea di te come blogger (come persona visto che ne mio caso si tratta di un blog personale).
Nel mio caso il fulmine a ciel sereno è stato, ieri sera, scoprire che una buona parte dei miei visitatori capita in questo piccolo spazio cercando la parola pagliaccio tra le immagini di Google. Al di là di ogni logica di posizionamento nelle SERP, notare un dato del genere mi è apparso una specie di scherzo del destino, e mi ha spinto a pormi delle domande.
Credetemi, il fatto che tutto ciò sia accaduto durante il comprensibile delirio dovuto ai 39° di febbre rende la cosa molto più interessante. Sì, perché mi sono ritrovato sul divano, con la fronte calda, a guardare L'uomo che fissa le capre, un film che consiglio caldamente e raccomando il doppio in qualsiasi condizione di scarsa lucidità (dalla sbronza, alla disidratazione, all'assunzione di stupefacenti). Fissavo le immagini e, anche se mi sfuggiva il senso del film, ne trovavo uno tutto mio. Quelle capre erano il simbolo della genuinità, della libertà. Mi è tornato in mente quando da piccolo, sulla strada che porta a casa di nonna al paese, mi fermavo lungo la rete e davo da mangiare a due capre. C'era uno strano legame, tra loro. In campagna, tra mucche cavalli pecore e galline, erano animali comuni. Ma per me quelle capre, soprattutto la più grande, era speciale. In fondo a tratti ci fissavamo anche noi, mentre le allungavo la mano con gli steli d'erba strappati da fuori la recinzione, quelli che lei non poteva raggiungere.

Un pagliaccio, sì.
Complice lo stato d'animo semi-depresso e i battiti del cuore accelerati dall'alta temperatura nonché dall'assunzione di uno shot di novalgina, però, è nato il desiderio di guardare meglio in faccia quel buffo tipo col naso rosso. Quel tipo che sorride in continuazione, che sorride così tanto che qualcuno lo fa pure incazzare e a volte vorresti tu stesso spaccargli una sedia sulla schiena per farlo a tacere. Quello che scherza ed è sempre allegro, ma che se lo fissi al di là dei colori spalmati ha una delle facce più tristi che tu abbia mai visto. Un pagliaccio che dall'inizio dell'anno se la passa piuttosto male, in quanto a salute, ma che appena può uscire si tuffa per strada per fare il suo numero e allietare la gente. Non pensa quasi per niente a se stesso, quel pagliaccio schifoso. Per canzonarti, magari offendendoti, gli basta un minuto, ma per dirti addio a quel poveraccio gli ci vuole una vita. Collega del saltimbanco, mezzo imparentato col giullare e pieno di amici, non ha una famiglia. Scrive lentamente le sue memorie con la mano sinistra, al ritmo di un tasto al minuto, perché l'altra mano stringe il "coso" dell'aerosol. Che poi potrebbe anche non guarire più, quella faccia da cazzo. Lascerebbe questo mondo con un sorriso poco convinto, ma felice di aver amato. Sì, perché ha un cuore d'oro, e gli capita addirittura di sciogliersi se sente di due ragazzi che convivono da due anni. Sente una cosa del genere e pensa che dormire con chi ami sia la cosa più bella del mondo. Con lei potrebbe infilarsi nel letto senza quel trucco pesante, potrebbe puntarle addosso quegli occhi tristi e lasciare che sia lei a farlo ridere...

Ora dormi, pagliaccio, che devi recuperare le forze. Forse riuscirai persino a guarire, se stai attento. Dormi, e sogna di ridere con chiunque ella sia. E se la vedi, corrile dietro. E se è il delirio febbrile, che te la portaa, cerca di non guarire mai più.




Tempo sprecato

E poi d'improvviso questo vuoto,questa malinconia,riesumati da una canzone,una foto che però appartengono ad altri,non a me...è questo il vero problema. Io che ruolo ho in questo piccolo angolino di mondo?E soprattutto perchè non mi accingo ad andargli incontro?Lui è lì, immobile e velocissimo che mi attende da una vita,eppure io sto cercando con tutte le mie forze di costruire il mio tunnel,così perfetto,così perbene,così ambizioso! Lo voglio con tutta me stessa. Ma se io potessi scegliere di avere una seconda vita,non sarei forse una ballerina di strada promiscua,quasi nascosta sotto un sub-strato di figli dei fiori e il cui interesse principale è quello di godersi la vita e viaggiare?! Perchè questa realtà è così scarna e soffocante? Perchè ci sono anziani vestiti da ragazzi attorno a me?E se io facessi fuggire la mia giovinezza senza sfruttarla al massimo,non potrei forse pentirmene per il resto della mia vita? Potrei perfino invidiare i miei figli per la loro giovane età e non fare il mio dovere di madre! Sento che devo far qualcosa,ma so anche che non è il momento.E se non lo sarà mai? Se poi sarà troppo tardi? Questi dubbi mi assillano,e intanto vorrei essere dall'altra parte del mondo,a parlare spagnolo in mezzo alla gente in una giornata di sole. I doveri di domani mi sembrano così tristi che andrei a sognare per non svegliarmi più..ma intanto anche i sogni fanno male,perchè domani ti mettono di fronte alla realtà, e la giornata ti sembra più triste di prima. Vorrei che il mio desiderio fosse semplice da realizzare,come aprire una porta,e la metafora non è casuale..una porta sul mondo! La comunicazione sul web mi sembra talmente fittizia stasera che ho cercato di comunicare con me stessa,anche se fa male..le riflessioni a volte ti tagliano in 4 perchè ti mettono davanti ad uno specchio,uno specchio lucidato bene...porca miseria!! cos'è quell'ombra?? il topo!!!Anche lui approfitta del silenzio per venire fuori....

giovedì 3 marzo 2011

Latinoaustraliana






Sì, sono ancora io. Nessuna intenzione di monopolizzare il Morgana, anzi. Ma negli ultimi tempi ho parlato solo e sempre di Notte, e quindi mi sembrava giusto bilanciare un po’ la cosa.


Non che sia successo niente di che, oggi. Solita sbobba, con l’aggiunta di tre ore e mezza buttate in una sala d’attesa. Il fango è ancora sotto casa mia, ammucchiato ai lati della strada. Il mondo non è cambiato.


Però oggi ho finito il libro. Sì, quel libro con cui vi ho rotto la testa sul Morgana (e non solo) per tutto questo tempo.


Ma oggi è finito. Mi erano rimaste due piccole parti da modificare, due minuscoli frammenti in quel torrente di 130mila parole. Sembra una stramberia, una finezza, una cazzata. Chiaro che l’ostacolo non erano quei due pezzetti. E’ che io, questo libro, non lo volevo finire.


Di ragioni ne avevo diverse. Una è che mi sono divertito a scriverlo –e quando uno si diverte, poi non vuole smettere più. Un’altra, che sembra opposta, è che questo libro l’ho odiato. Ce l’avevo davanti giorno e notte, anche quando facevo in modo di stare lontano dal computer. Correggevo mentalmente interi paragrafi, inventavo passaggi e storie, cancellavo personaggi. Alla fine non ne potevo davvero più. Non volevo rileggerne nemmeno un po’, nemmeno quei due pezzetti.


Un’altra ragione è che nella mia vita non ho mai portato un cazzo a termine –figuriamoci un primo romanzo. No, non sarebbe da me.


Un’altra ragione è che questo libro mi ha riportato in Australia. Si basa sulle mie storie di quei tre anni folli e santi, e scrivere mi ha riportato quelle storie, quelle persone, perfino gli odori e i sapori che avevo quasi dimenticato. E di questo sono grato a questo giochino chiamato scrivere. A volte è stata pesante, specie quando le cose intorno si facevano toste, ma poi mi bastava spegnere tutte le luci, accendere quella qui accanto allo schermo e cominciare a fare tictictic sulla tastiera. I problemi, la stanza, la stessa città... tutto scompariva, ed io ero di nuovo a Sydney, o nella giungla, o sulla barriera corallina. Ho rivisto facce conosciute solo per un giorno, ho risentito voci che mi raccontavano tutta una vita in due battute divertite e amare. Ho rifatto quelle strade che conoscevo così bene, ho bevuto di nuovo in quei pub, mi sono innamorato di quegli occhi chiari ancora una volta.


Finire il libro avrebbe voluto dire anche chiudere quei due anni in un grande album, per poi lasciare che prendesse polvere giù in cantina. Non mi sembrava giusto, mettere la parola fine a qualcosa di così bello e vivo.


Un’altra ragione è che non sapevo cosa sarebbe successo. Avrei cercato di pubblicare questo libro? E se sì, avrebbero capito?


Era forse questo che mi faceva paura più di tutto. Non si trattava solo dello sforzo mio e di tutti quelli che mi hanno aiutato a editare, correggere, tagliare, aggiustare (a proposito, vi devo una birra, fanciulli), per tutto questo tempo. Era la storia in sè. Perchè di questo libro si può dire di tutto, che è lungo, che qualche volta è lento o che dico “cazzo” troppo spesso, però è scritto col cuore e con l’anima, per quello che vuol dire. Ci sono tutto io, ci sono quelle persone che so, ci sono quei tre anni. Senza scuse e senza nascondersi. Trovatemelo, qualcun altro che scrive con le budella come ho provato a fare io.


Questo libro è stato scritto per farvi ridere, per farvi incazzare, qualche volta perfino eccitare. L’ho scritto per prendervi dalla vostra poltrona a Vattelapesca City e portarvi dall’altra parte del mondo, dove davvero cose e persone sono sottosopra. Spero che mentre lo leggete sentiate come se state bevendo una birra con un cazzone che non la smette di blaterare sulla vita, sull’amore, sul lavoro, sull’assurdità di quello che siamo, Australia o no –e che, ogni tanto, le parole di questo cazzone vi restino in testa almeno un po’. Spero che vediate altre vite e altri mondi, così come li ho visti io.


Ma se questo non dovesse succedere, pazienza. Amici come prima. Io ci ho provato. Tutto quello che potevo fare era cominciare un libro del genere, e poi finirlo –e fanculo a tutte le ragioni.


Così ho fatto.


Sollevo la mia birra –ovviamente australiana- e brindo alla vostra.

Latinoaustraliana” è per voi. Buona lettura.


Il prossimo giro lo pago io.



puoi anche osservare dall'alto