domenica 2 dicembre 2007

prima che marco mi bastoni......

ed eccomi qui...dopo mesi passati a rimandare, a tergiversare e a giustificarmi per il mio mancato contributo all' hotel finalmente mi sono presa di coraggio...mossa soprattutto dal cazziatone del buon vecchio marco, in un grigio pomeriggio domenicale, ho deciso di stupirlo e dargli uno schiaffo morale, visto che, data la distanza, è l'unico che posso dargli momentaneamente!!comunico a tutti che sono qui per abbassare il livello di serietà che avete dato a tutto ciò..fate terrorismo psicologico e non va bene! da oggi ci sarò io a dare un tocco di futilità e simpatia!!!
ho visto oggi l'argomento del giorno ( ma dove siamo all' italia sul due???!!!nanoooo!!!): che cos'è la felicità....domanda facile all' apparenza, poi ci pensi un secondo in più e capisci che non è così..non è semplice capire quando sei DAVVERO felice....io non credo che la felicità stia nei piccoli gesti quotidiani..o meglio, può anche capitare ma non, come si dice spesso, nel sentire l' uccellino che canta la mattina fuori dalla finestra, o il sole che tramonta,il gattino che ti fa le fusa e simili... quello succede nella pubblicità del mulino bianco( che dio la benedica sempre quella dolce famigliola!)......la felicità non è così semplice da raggiungere...non è la serenità, il " per ora tutto ok"...
quando ero giovane e stupida ( ora sono vecchia e stupida) credevo che ci volesse poco per essere felici, ora credo che sia tutt'altro che facile... vuol dire sentire che non ti manca proprio niente, che stai proprio da dio... avete presente quando si ha il sorriso scemo stampato in faccia senza motivo?? ecco....poi magari un attimo dopo ti accorgi che non è proprio così, ma va bene lo stesso, in quel momento sei felice per davvero ed è tutta un' altra cosa...altro che serenità, contentezza e simili..la felicità è quando hai quello che hai sempre voluto, quando senti che sei finalmente arrivato dove volevi, ed è una sensazione che nella maggiorparte dei casi si prova poche volte..forse per questo si scambia con altre cose...ho sentito spesso che bisogna accontentarsi per essere felici..ma che felicità è se ti sei preso quello che hai trovato, e hai messo da parte quello che desideravi per davvero?? allora meglio aspettare e arrivarci piano piano al tuo momento di felicità!!
per avere un' idea di quello che sto dicendo, ammesso che vi interessi e ne dubito, guardate American beauty...vero nano?!
aaaahhhhhhhhh....ho scritto, non ci posso credere...mi sento meglio adesso! tra l'altro sono stata un quarto d'ora per capire come si fa..sono un pò tarda, lo so!mi rendo conto che non sono stata nè leggera nè simpatica come avevo promesso ma è la prima volta abbiate pietà!!!
alla prossima puntata dell' italia sul due...

giovedì 29 novembre 2007

E crescendo impari

"E crescendo impari che la felicità non e' quella delle grandi cose.Non e' quella che si insegue a vent'anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi...La felicità non e' quella che affanosamente si insegue credendo che l'amore sia tutto o niente,...non e' quella delle emozioni forti che fanno il "botto" e che esplodono fuori con tuoni spettacolari...,la felicità non e' quella di grattacieli da scalare, di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova.Crescendo impari che la felicità e' fatta di cose piccole ma preziose.......e impari che il profumo del caffe' al mattino e' un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentire una felicità lieve.E impari che la felicità e' fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi,e impari che un campo di girasoli sa illuminarti il volto, che il profumo della primavera ti sveglia dall'inverno, e che sederti a leggere all'ombra di un albero rilassa e libera i pensieri.
E impari che l'amore e' fatto di sensazioni delicate, di piccole scintille allo stomaco, di presenze vicine anche se lontane, e impari che il tempo si dilata e che quei 5 minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore,e impari che basta chiudere gli occhi, accendere i sensi, sfornellare in cucina, leggere una poesia, scrivere su un libro o guardare una foto per annullare il tempo e le distanze ed essere con chi ami.
E impari che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccolo attimi felici.E impari ad avere, nel cassetto e nel cuore, sogni piccoli ma preziosi.
E impari che tenere in braccio un bimbo e' una deliziosa felicità.E impari che i regali più grandi sono quelli che parlano delle persone che ami...E impari che c'e' felicità anche in quella urgenza di scrivere su un foglio i tuoi pensieri, che c'e' qualcosa di amaramente felice anche nella malinconia.
E impari che nonostante le tue difese,nonostante il tuo volere o il tuo destino,in ogni gabbiano che vola c'e' nel cuore un piccolo-grandeJonathan Livingston.E impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità."


Anonimo

mercoledì 28 novembre 2007

Agli abitanti del Morgana: un rimprovero e una sfida

Cari abitanti del Morgana
Un luogo comune sostiene che la Storia è destinata sempre a ripetersi. Forse è vero, forse no. Fatto sta che ogni volta che si dà alla gente la possibilità di parlare, di dire cosa pensano, la gente ammutolisce. Magari hanno lottato tanto per arrivare a quel microfono, e quando poi ci sono, non viene fuori niente. Emozione, certo. Uno vorrebbe dire sempre qualcosa di speciale, di grandioso, di ironico e profondo, di epico e spiritoso, qualcosa che resti, qualcosa che impressioni, qualcosa che dica, io sono qui, guardatemi. Proprio perché vuole dire tanto, uno finisce per non dire niente.
Forse le grandi Rivoluzioni, anche quelle che apparentemente sono riuscite, hanno fallito per questo motivo: una volta cacciato il vecchio padrone, c’era troppo spazio per dire e pensare. Troppa scelta, nessuna scelta, ancora una volta. Meglio allora trovarsi un nuovo padrone che dica qualcosa al posto nostro. Meglio stare a guardare. La Storia dice questo.


Ok, forse ho sparato troppo alto. Magari la gente qui all’Hotel voleva solo starsene in pace, farsi una birra e basta, senza tanta fregnacce. Giustissimo. C’è chi aveva di meglio da fare. Giustissimo anche questo, e anzi lo auguro a tutti voi, di avere sempre qualcosa di meglio da fare.
Lo stesso però non riesco a credere che nessuno –se non quei pochi poveri pazzi- non avesse niente da dire in tutto questo tempo. Probabilmente il livello è stato troppo epico, drammatico, troppo pseudo-artistico. Mi spiace se questo ha intimorito qualcuno, ma lo ripeto ancora una volta: non è una gara, non è una sfida, non stiamo vedendo chi ce l’ha più lungo o chi è la più carina della festa. Per dio, al Morgana non facciamo certe cose. Il senso dell’Hotel era proprio lasciare fuori tutte queste stronzate, e agire in piena libertà. È un peccato che nessuno abbia messo una barzelletta sconcia, o raccontato un episodio divertente, o semplicemente scritto una frase per dire che c’era e che se ne sbatteva. Ma le cose da dire non si scelgono, si dicono e basta. Senza stare a pensare se saranno belle o brutte, tristi o allegre.
Insomma, ragazzi, niente scuse. Il tempo c’è stato –e per favore, lasciamo perdere il “non ho un attimo”, l’Hotel ha aperto 3 mesi fa, quindi…Lasciamo stare anche il “non so che scrivere”, perché da scrivere non c’è proprio niente, non è un tema, non vi diamo le 3 tracce da scegliere, vi diamo carta bianca. Non lasciatevi spaventare. Lasciamo perdere anche il “non so scrivere”. Qui ancora nessuno di noi e’ stato pubblicato, quindi spiacenti, ragazzi.
Abbiamo unito anche se per poco, 3 Paesi e 2 Continenti…cazzo, vi sembra poco? Continuiamo, amici miei. Fatemi vedere che ci siete, che siete ancora vivi, che non vi hanno ancora preso tutto, che qualcosa c’è. Profondi o cazzoni, fatevi vedere.
Ci siete?
Mi sentite?
Allora dimostratemelo, cazzo. Scrivete e mandate. Vi è scaduta l’iscrizione? Ve la mandiamo noi. Nessun problema. Non si paga, qui al Morgana. Solo la bumba, ma stavolta il giro lo offro io. Magari dopo vi viene più facile.


E se ancora il foglio bianco vi spaventa, se non volete perdere la vostra verginità virtuale, ok, vi diamo la traccia –che potete seguire o fregarvene altamente.
Vi faccio una domanda: che cos’è la felicità? Ecco, direte, abbiamo fatto l’angolo della posta. Ci manca zia Marta che dà i consigli di cuore e poi l’oroscopo. Non importa, io ve lo chiedo lo stesso.
CHE COS’E’ LA FELICITA’?
Domanda facile facile, domanda difficile. Io la mia idea me la sto facendo, ma sarei curioso di sentire la vostra. Fatemi sentire la vostra voce, anche per rispondere a questa domanda apparentemente stupida. Ricordate: non parliamo di contentezza, serenità, e tutto quello che potreste trovare nel dizionario dei sinonimi e dei contrari. Qui si parla di Felicità.
Non si parla di stare bene: si parla di stare da dio.
Vi siete mai chiesti se in questo momento (o in altri) siete /siete stati felici? Cosa vuol dire essere felici? Che sintomi ha la felicità –citando un abitante dell’Hotel, che citava una canzone?
Potete risponderci con la vostra storia, il vostro episodio, con le vostre descrizioni, con una riga, un pernacchio, un sonetto o un rutto, un vaffanculo di cuore o qualsiasi altra cosa. Potete anche dirmi che la Felicità non esiste. Non si nega niente a priori, qui al Morgana.


Insomma, adesso la traccia c’è. Le scuse sono proprio finite. Prendete quei 5 minuti che avreste buttato comunque in quella scatola malefica –sì sì, lo so che la guardate, non fate finta- e rispondeteci. Siamo qua, in attesa. Fateci vedere se siete ancora vivi. Stupiteci. Abbiamo bisogno di qualche sorpresa.
Vediamo se stavolta ce la facciamo, a fare questa rivoluzione.
Intanto vado a comprarmi basco e anfibi…
Ciao, felici abitanti.

venerdì 2 novembre 2007

Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria, e anche per tutti gli altri

Caro compare
Stamattina giravo per la casa in doposbronza ascoltando la mia musica, guardavo il cielo che era dappertutto e mi chiedevo quando ci è entrato in testa questo sogno dell’Australia. Forse a scuola, pensavo. Te la ricordi la scuola, socio? Quelle ore buttate, quel posto grigio, quelle persone grigie? Quelle finestre che non davano su nessun panorama, e noi lo stesso pensavamo che un giorno saremmo evasi, e che non ci avrebbero più presi?
Ricordi la birra prima del corso di recupero di disegno? La sigaretta di nascosto in quei portoni sporchi? Ricordi quel cielo che sembrava sempre pieno di nuvole, per giorni e giorni, e noi allora ascoltavamo "Leggero" di Ligabue una volta dietro l’altra, aspettando e sperando?


Leggero, sì. Nessuna definizione di come ci sentivamo era più lontana di questa. Eppure la ascoltavamo, e lottavamo. Adesso possiamo dire di essere stati fortunati, perché anche per noi ci è mancato quasi solo un pelo. È stato così, in quelle stanze dove la luce non filtrava e c’era polvere dappertutto e si andava a dormire presto perché tanto era lo stesso, e l’alba era sempre non richiesta. Col telefono muto e i giorni che si impiccavano, ancora allora si parlava di Oz, della mitica Oz, di quello che c’era, di quello che ci sarebbe stato. Ma non parlavamo di canguri, di deserti o di città. Parlavamo di andare, andare e basta.
Parlavamo di partire perché partire suonava proprio bene.


Certi giorni però era impossibile parlarne. Certi giorni c’era veramente poco da dire. Ci si versava un po’ di bumba, si accendeva un’altra sigaretta e si aspettava che smettesse di piovere, guardando quei muri che sembravano stringersi sempre di più addosso a noi. Ci sentivamo prigionieri senza colpe, e senza aver avuto processo. Avevamo anche smesso di fare ricorsi, di pensare a presunti appelli. Ormai tutto quello a cui si poteva pensare, ancora una volta, era evadere. Eppure il muro sembrava troppo spesso, le finestre avevano le sbarre e i problemi erano dappertutto. Il mondo ci aveva rinchiuso lì e aveva buttato via la chiave. In tutto questo però ci facevamo coraggio e ci chiedevamo, esisterà un punto debole nelle sbarre?


Ogni tanto, quando giro per Oz, mi sento improvvisamente illuminato. No, illuminato non va bene, suona troppo mistico. Mi sento leggero. Ecco, questo va meglio.
E questo non succede per il sole, per il mare, perché vedo bei posti e respiro aria buona. Non sono qui in vacanza. L’Australia non è le mie Maldive del cazzo, non lo è mai stata. Qui è semplicemente la mia vita. Tutto quello che c’è stato prima, era una forzatura, qualcosa di innaturale.
E’ bello essere qua, ed è ancora più bello esserci dopo tutto quello. Me lo sono guadagnato, e ora questo posto è mio, socio. Non dico che per goderti il paradiso devi per forza passare prima dall’inferno –però questo aiuta a prenderne coscienza, e a non perderti niente di quello che vedi e vivi. I sopravvissuti sono sempre stati i miei tipi preferiti, quelli più interessanti, tra i pochi che hanno qualcosa da dire e da dare.


Ricordi, caro compare, quando c’erano quei giorni in cui il sole non si vedeva mai, e anche solo pensare all’Australia era impossibile? Ogni tanto ci penso, a quei momenti, quando mi tocco le mie cicatrici, e mi viene da ridere. La vita è così strana che l’unica cosa che uno può fare, a volte, è ridere.
28 anni, e siamo ancora qui. Ancora non ci hanno preso, dopo 28 lunghi anni. Già questo ti dovrebbe far capire, caro compare, quanto è assurda questa vita che stiamo vivendo.


In Italia riguardavo spesso la fine di quel film, che parlava di prigioni e fughe. Mi faceva commuovere, e mi dava speranza. La speranza, quella è una cosa buona, sempre. Con quella un uomo può fare veramente tutto. È quella che ti fa sognare. È quella, che ti fa vivere.
Quel film mi ricordava tante cose: che un uomo non deve mai arrendersi alla sua prigione, specie se non se l’è meritata; che la prigione non rovina ma invece aumenta il valore della libertà; che bisogna lottare fino alla fine, ingoiando merda e aspettando il momento buono; che ogni cella ha un punto debole, basta saperlo trovare; che non importa quante nuvole ci sono, perché da qualche parte esiste un oceano azzurro ad aspettare; che o fai di tutto per vivere, o fai di tutto per morire; che certe persone non sono fatte per stare in gabbia, e che spesso queste persone a volte si incontrano e da allora saranno sempre insieme, al di là di guardie e muri di cinta e filo spinato.


E allora sognate, porca puttana, e credeteci in questi sogni. Ognuno dovrebbe sempre combattere per la sua Australia. Senza questo sogno, qualsiasi cosa sia la vostra Australia, che cazzo di senso ha?
Nessuno, io credo. Bisogna sempre guardare al di sopra di guardie e secondini, capiufficio e genitori. Il compare l’ha fatto. Il compare ci ha creduto.
Contro ogni previsione, ogni pronostico, ogni scommessa, riusciremo a berci quella famosa birra sotto il famoso ponte. Abbraccerai la tua famiglia vera, ancora una volta. Sarai qui mentre loro si fanno le loro seghe di potere e i cani ti cercano nella foresta. Sarai in Australia, socio. Saremo in Australia insieme. 28 anni, e siamo riusciti a fotterli fino a questo punto. Mi dispiace quasi per loro….
Allora mentre canto e bevo per te, e cerco la copia in inglese di "Le ali della libertà", e ammucchio Shiraz e progetti, ti dico buon viaggio, socio, ti dico buona Australia, ti dico buon sogno.
Questa è solo la prima rata, stronzi. Tenetelo a mente.
Non siamo qui per rallentare.
Siamo qui per l’esatto opposto.

Marco
Quello che ha attraversato un fiume di merda, e ne è uscito pulito e profumato.

giovedì 1 novembre 2007

In viaggio per Sydney

In viaggio per Sydney

Caro compare, ti scrivo con la prenotazione aerea accanto a me… penso di dover raccontarti di ieri….

Tutto si è deciso in 1 ora che per me non finiva mai…. Avevo aspettato tutto il giorno per sentire il mio capo, durante la telefonata con lei sudavo freddo… le ho detto che rinunciavo a venerdì di ferie e che avrei lavorato … le ho detto di si a tutto… mi preparavo il terreno…. Mangiavo merda …ma avevo uno scopo…avere una risposta sulla richiesta ferie che lei aveva sapientemente ignorato…

Ma lei ha usato tutta la sue esperienza, e ha semplicemente scaricato il tutto sul mio collega Giovanni …lui era quellio che avrebbe dovuto darmi una risposta…

io sono rimasto di merda… sapevo che era arrivato il momento di farsi piccoli e accettare…

lui era di fretta perché andava a fuori città... uno dei soliti festini VIP ai quali non mancava mai...
.
Lo prendo da parte e gli parlo della richiesta ferie che avevo mandato al capo, lui mi fa: “si , si , ho presente quella e mail”

Va alla sua scrivania, come se li fosse nascosta la soluzione, mi guarda con aria di sufficienza…

io: “beh, Giovanni, scusa se ti prendo di fretta…. Insomma il capo mi ha detto che per lei va bene… insomma…. L’unica cosa e che dobbiamo metterci d’accordo io e te…”


Lui prende il calendario , accavalla le gambe, lo studia attentamente … e fa : “ummmhhhhh, vediamo un po’…. Quando VORRESTI andare in ferie” anche se lo sa benissimo, gli dico nuovamente che vorrei andare dal 24 dicembre al 11 gennaio …

io so che la settimana di dicembre siamo chiusi e che la prima di gennaio non ci sarà tanto lavoro.... mi gioco tutto su una manciata di giorni dal 7 all'11 gennaio....

Lui sembra leggermi nel pensiero… “beh…. la settimana di dicembre siamo chiusi sicuramente , poi riprendiamo a lavorare però….”

E io: “ Giovanni, io sono sicuro che anche la prima settimana di gennaio non faremo molto…. Mi preoccupa solo la seconda settimana di gennaio” e lui : “ beh, infetti…”

esita ancora un po’…non sembra convinto di quello che ho detto… io mi sento vicino all’Australia come non mai…. Penso a quanto cazzo mi manca il compare , penso a quanto è importante per me che lui dica si …. Penso che un viaggio del genere è qualcosa che sogno da sempre … e lui ha in mano il mio sogno …. Lui lo sa… sa quanto ci tengo, sa che c’è la mia famiglia in Australia…. sa che devo andare la è questo è l'unico momento possibile....

Gioca ancora un po’ col calendario…. Muove le pagine…. Come se pensasse alle cose che ci sono da fare , a come organizzare meglio il lavoro, alle possibili conseguenze della mia assenza…

Mentre io so che sta recitando, nella sua mente c’è solo la consapevolezza di esercitare un potere, gli piace e prende tempo … dopo un po’, con tono del padre di famiglia che concede qualcosa...

“beh mauro , prenditi i tuoi giorni meritati , ci penserò io ….”Ci penserò io… so che quella frase racchiude un mondo di sottointesi: ora io sono in debito….

E lui sta per ricevere un incarico importante… non prima di fare una riunione con me e il capo… quello è l’ultimo scoglio per lui…lui sa che sta comprando qualcosa in quel momento… è l’occasione più ghiotta che potesse capitargli… aveva già cercato di comprarmi da mesi … non c’era riuscito…incominciava ad agitarsi…

l’incarico che aspettava non era stato ancora ufficializzato… qualcosa rallentava il processo e lui si chiedeva se quel qualcosa fossi io…

ma ora tutto si risolveva … ora era arrivato il momento per lui di mostrarsi magnanimo … di concedermi un "si"…. Un "si" che mi avrebbe indebitato …. Presto verrà il mio momento per rendergli il favore … e io non potrò dire di no.... in factotum funziona così....

Tutto questo mi fa schifo…ma non importa….mi precipito alla scrivania, so che mi aspettano in riunione…

prego di avere solo 5 minuti , 5 minuti per controllare i voli, per vedere se posso realmente partire….

Mi accorgo subito che il volo da 1800 euro è andato… penso che sono fottuto … l’ho presa nel culo, controllo un’altra partenza : sabato 22 dicembre , ritorno 12 gennaio …. Il sito calcola le cazzo di combinazioni…. mi chiamano …. Ogni secondo dura una eternità…. Escono i voli….

Malaysia airlines …. 2000 euro… so che quella cifra la metto via in 6-7 mesi di lavoro o forse di più, so cosa significano sei mesi di lavoro….in sei mesi si mangia tanta merda….so che è almeno 700 euro di più del prezzo che avrei potuto trovare se non fossi legato a factotum....ma non dubito neanche un secondo …. Mi vedo su quel cazzo di aereo , mi vedo in Australia….

In riunione mi aspettano…

io chiamo casa …. Il telefono squilla , io spero che cazzo ci sia qualcuno… mi da fastidio, odio dovere continuare ad indebitarmi, chiedere favori…. Ma ormai non posso rallentare…

maledico il fatto che nella mia cazzo di carta delle poste ho 50 euro …che cazzo tengo a fare 50 euro?! Mi mando a fanculo da solo….

parlo con mia madre , le dico solo che mi hanno dato i giorni, parlo e sento che la mia voce esce fuori senza emozioni …

sono semplicemente congelato dalla paura che qualcosa vada storto…. So che ora sono nelle loro mani

Chiedo di parlare con mio padre …. Gli spiego del sito dove comprare il biglietto…

Giovanni è di fronte a me .. mi saluta guardandomi con un sorrisino del cazzo….

Se ne va trionfante …. Questa è la sua vittoria …. Non c’è più niente tra se e il potere….ci ha sconfitto tutti… ora si può godere il suo cazzo di festino con la sua cazzo di r moscia e la sua parlata british

Ma in riunione mi aspettano….

Mio padre non capisce bene , devo dire ogni lettera per filo e per segno, spiego tutto come si spiega a un bambino di 5 anni,

di la mi aspettano….

Prego mio padre di farlo subito, questa volta sento che la voce esce fuori con un tono grave di supplica…. Chiudo il telefono… tutto è nelle sue mani…. Torno in riunione….mi scuso ancora...a factotum ti devio scusare di vivere una vita ... factotum si prende tutto...

Ma Non riesco a pensare ad altro …sono le 5:30 …. I colleghi parlano ma tutto ciò che vedo e sento è AUSTRALIA….

Sono le sei e mezza … chiamo casa …. Mi risponde mio fratello….faccio finta che mi importi qualcosa di quello che dice..

chiedo di mio padre… lui mi dice che è andato al cine forum…

penso che sono dei coglioni, che me l’hanno messa nel culo, penso che non ho quel cazzo di biglietto, penso che se perdo quel posto non potrò raccontarlo al compare…. È tardi….sono stanco…. Ho i nervi a pezzi…. Mando un messaggio a mia madre …. La supplico di darmi notizie…

odio tutto questo …odio scendere a compromessi… odio dipendere da loro….

Ma penso : “keep your eyes on the price”; resta concentrato….

chiudo il pc, anche l’ulima collega va via, abbassiamo le serrande mi sento disperato… sento che non è servito niente a un cazzo… penso ai miei vecchi che stanno al cinema a vedere un film del cazzo …penso a qualcuno che prende il mio biglietto e che sale su quell’aereo del cazzo al posto mio…

mi chiedo quello stronzo che cazzo ci va a fare in Australia… me lo immagino ricco … me lo immagino senza problemi… grasso e puzzolente … un infame…lo odio….

spengo i pc, macchina del caffè, luci….

siamo sulla soglia con l’ultima collega …il telefono squilla…

mia madre,urla , la linea è disturbata

“FINESTRINOOOO O CORRIDOOOOIIIOOOO , MAURRROOO, MI SENTI????” e io:“corridoio!!!!mamma !!! corridoio!!!!”

La collega è accanto a me , la line cade …

mi tolgo il giubbotto e le dico : “ vai!” mi esce fuori come un comando, non la guardo neanche in faccia ….

Mi tolgo la felpa , prendo il tel dell’ufficio e chiamo casa, mentre faccio il prefisso penso che quella è la cazzo di Messina, penso che dopo tutto quello che ho passato ancora digito quel prefisso del cazzo , in quel 090 penso a tutta Messina, a tutto il tempo buttato nel cesso….

Odio quel 090


sono in piedi ….da solo in ufficio, Una mano sul fianco… sudo…. La stanza mi sembra un forno….


“mauro , dammi il numero di passaporto” e io : “mamma non ho il numero!”

questa volta sono esausto… mi sento sull’orlo del pianto.. non pensavo servisse il cazzo di passaporto per comprare un biglietto…

non so che fare…balbetto… tutta la tensione di mesi e settimane mi colpisce…

penso che vabbeh… è andata ….

“Franco! Dice che non ha il passaporto!” e da lontano sento una voce leggera, mio padre… “è facoltativoooooo, SANNì è FACOLTATIVOOOO” ,

“mauro è facoltativo!!!” urla mia madre…

E io rispondo “e facoltativo, è facoltativo” come se cercassi di convincermi di qualcosa…

E mia madre : “ si…. È facoltativo!”
.
Mi chiede l’indirizzo di casa a Roma, io lo ripeto per l’ennesima volta…

mio padre impreca …mia madre gli chiede cosa sia andato storto ….

Lui non risponde…. Mia madre chiede di nuovo e lui non risponde…

mia madre mi spiega che senza occhiali non vede che succede e che mio padre non le risponde…

quindi non capisce cosa sia andato storto…. In quel momento sono uno a fianco dell’altra …

“ mauro , aspetta che vado a pendere gli occhiali che tuo padre non mi risponde e non riesco a capire cosa è andato storto… aspetta mauro… prendo gli occhiali”

A quel punto mi chiedono nuovamente l’indirizzo di casa a Roma, serve per la consegna dei biglietti…. Dopo 8 anni , diverse visite, diverse lettere spedite , non sanno ancora l’indirizzo DI DOVE CAZZO ABITO IO…

Lo ripeto, lo dico di nuovo… mi chiedono il numero della via… scherzano sul fatto che l’ultima volta l’hanno sbagliato e che il pacco spedito da loro si sia perso...

“franco, non facciamo come l’altra volta che abbiamo sbagliato l’indirizzo! Ah ah ah”

sento mio padre che impreca….

ma comunque non lo ricordano….

sudo …. Sono stremato….

Mio padre mi chiede a quale dei miei indirizzi e mail vuole che mando la ricevuta….

Rispondo di mandarlo ALL’UNICO CHE LUI CONOSCE E CHE SA CHE IO HO…..

dico a mia madre che voglio restare in linea ….

Le dico che devo vedere la ricevuta per crederci davvero…

carico la pagina della e mail come un disperato…

ci sono solo le booze e mail di facebook che mi ha spedito il compare…

penso che coglione che è il compare …. Scuoto la testa nel vedere che mi ha inviato diverse sangrie virtuali…

finalmente arriva…apro l’email… leggo la ricevuta: In viaggio per Sydney…

Ancora non è abbastanza…. Ancora non ci credo….dico che lo devo stampare per
….crederci davvero….

domenica 28 ottobre 2007

L'Italia dimenticata e l'Italia da dimenticare

Cari abitanti dell’Hotel
L’altro giorno, forse con la mente ancora avvolta dal sapone per piatti del mio nuovo lavoro, ho fatto un grande errore. Dopo quasi due mesi che sono qui a Oz, ho letto alcune notizie sull’Italia.
Non so se vi è mai successo, ma quando vi trovate all’estero per parecchio tempo, restando lontani da telegiornali giornali e bar sport, vi viene quasi la tentazione di pensare che l’Italia non esisti. Che sia stata solo il sogno di un pazzo, o l’incubo di un sognatore. Che ci sia da qualche parte un luogo in cui imperversano mandolini, mozzarelle e mafiosi, ma che voi non ne facciate parte. Voi siete fuori. L’Italia è là, pronta a farci fare belli se vince la Coppa, o se si parla di Rinascimento o cibo o alta moda o macchine veloci. E noi facciamo di sì con la testa, fieri, come se ogni giorno indossassimo il nostro più bel Valentino e ci dirigessimo col nostro Ferrari verso il ristorante più vicino (e costoso). Tutto questo, ovviamente, parlando di Dante e Michelangelo e Leonardo e Roberto Baggio.
Oppure accetti un compromesso, e ti dici, sì, l’Italia c’è, ma tutto si è risolto. Tutta quella merda che avete visto, tutti quei coglioni nei posti sbagliati e quella gente che vale anch’essa nei posti sbagliati, non esiste più. Pum!, magia magia. Lontano dagli occhi lontano dal cuore –e anche dal fegato, visto che spesso non si può fare finta di niente. Sport nazionale, il fottersene, ma a volte la faccenda tocca anche il tuo bel culo, e allora cominci anche tu a strillare davanti al telegiornale con quella faccia vecchia –sempre la solita faccia vecchia- lì sullo schermo.


Io avevo cercato di dimenticare l’Italia, in tutta onestà. Era un atto cosciente, deliberato, necessario. Da sempre vivo la schizofrenia di far parte di un Paese e di odiarlo con tutto il cuore. Eppure, quando odi così tanto qualcosa, poi ci resti in qualche modo legato più ancora che se la amassi. Per fortuna qui in Australia nessuno, in 2 mesi, mi ha fatto ancora accenni al Padrino, alla mafia, a Berlusconi che ci frega i milioni. Non so se sono più disinformati o più discreti, ma intanto va bene così.
Però dell’Italia si parlava, e ogni volta che se ne parlava, mi si accendeva una lampadina. Mi dicevo : ricordati di dimenticare. Ne ero fiero, non in modo ottuso, ma vedevo chiaramente dove brillavamo e dove fallivamo –anche se la proporzione tra le due cose è tragicomica. Di qui pensavo all’Italia come a una povera sfortunata, ad una persona nata con tutte le migliori potenzialità ma che s’era ritrovata dei (presunti) genitori di merda, e anche dei nonni di merda. Poi aveva incontrato persone di merda, amici peggio dei nemici, e adesso era proprio col culo a terra. Non è colpa sua, poverina. Ci pensi e ti dispiace, la guardi quasi con tenerezza mentre se ne resta là, stuprata e indifferente. Addirittura, nei suoi conflitti d'identita', non e' del tutto certa di esistere, e ogni giorno questo dubbio aumenta sempre piu'.


L’altra sera volevo sapere qualcosa di lei. Forse mi illudevo, come dicevo prima, che non sapendone niente, tutto si fosse aggiustato. Ovviamente, non era così. Neanche il tempo di connettermi al sito, e già la merda tracimava dallo schermo, arrivando dappertutto. Non solo non era guarita, povera Italia, ma adesso stava pure peggio, se possibile. Politica, cronaca, economia, ce n’era per tutti. Avevo voglia di strillare di nuovo, come facevo un tempo, ma qui era notte mentre lì era giorno, e tutti dormivano. Anche in Italia, però, mi sa che dormivano.
L’unico che, cercando, mi è sembrato un poco sveglio, è stato Beppe Grillo. Eccola lì, povera Italia, che per piangere trova la spalla di uno che fa ridere. E non è tragico, questo? Eppure, tra le tante cose che dice, tra quando si fa prendere la mano e quando si parla addosso, ho trovato del buono. Ho trovato una spinta a persone che se la passano male, e si danno forza. A quelli che ancora ci credono, nonostante che il ghigno di chi sta sopra diventi sempre più ottuso e osceno. Vi invito, tra le altre, a scaricare gratuitamente, dal suo sito, "Schiavi moderni", una raccolta di testimonianze di persone che hanno e cercano lavoro nella povera Italia. Esagerato? Non credo proprio. Agghiacciante, è la parola giusta. Nessuno ve le dice, queste cose. Solo quando capita a vostra sorella, il vostro ragazzo, a voi, ve ne accorgete. E allora, siete troppo stanchi per poterci fare qualcosa.


Andate su quel sito, ma fate anche presto. Ho già letto da qui di quella bella legge che sta per arrivare. Levi-Prodi. Il primo non lo conosco, il secondo sì, purtroppo. Il secondo dimostra quanto Orwell sia sempre stato nel giusto. Uomini e animali. Comunque, se ho capito bene, passata la legge, finiti i blog. Una cosa partita per colpire una persona, così come succede spesso in Italia. Un Paese grande, e così infinitamente piccolo. E nel frattempo tutti gli altri cazzoni come me, come voi, che vogliano starsene semplicemente qui, ogni tanto, a raccontarsi qualche stronzata, per ridere o per pensare, dovranno sbaraccare. Eccola la mia Italia, l’Italia che non mi manca, l’Italia che tanto odiavo.
Più probabilmente se succederà questo, in un Paese dove il Primo Ministro è indagato e invece si fa una legge contro un comico e la libertà di pensiero, l’Hotel potrebbe diventare clandestino. Non mi va di pensare che qualcuno possa permettersi di dire cosa devo o non devo scrivere. Non mi va di chiedere il permesso a nessuno. Mi va invece di pensare che, per quanto ci provino, non possano vincere, alla fine.


Allora buon riposo, odiata povera Italia. Noi resteremo qui, nelle nostre stanze, fino a quando non sentiremo battere forte alle porte, e resteremo qui con la nostra birra in mano, fermi, anche dopo che saranno entrati. Intanto, buon Hotel. Sentitevi liberi di fare quello che vi pare, come sempre. Soprattutto, sentitevi liberi.

lunedì 22 ottobre 2007

Un momento


C’è stato un momento.
Stavo tornando dal mio precedente lavoro, quello alla multinazionale. Nove ore piene, tra capi stronzi e malditesta e ore interminabili. Avevo preso il treno, con la faccia stanca che si mischiava a tutte le altre facce stanche del vagone. Non avevo nemmeno voglia di leggere il libro che avevo. Volevo solo arrivare e dimenticare quella giornata. Avevo preso come al solito l’autobus che dalla stazione taglia in due la foresta, fino ad arrivare a casa. Intorno solo buio, e qualche luce che comincia ad accendersi. Sepolto nel mio sedile, guardavo fuori il nero che scorreva. Tirando a indovinare, in mezzo a tutto quel nulla, ho prenotato la fermata. Ho fatto la fila, ho ringraziato l’autista come si usa fare qui e sono sceso. Qui ho avuto il mio momento.
Era una calda sera di primavera e noi eravamo in una zona così vicina al centro, e llo stesso tempo tanto distante da essere quasi campagna. Allora per un secondo mi sono scosso dal mio torpore post-lavorativo e ho visto me insieme a queste persone in giacca e cravatta, con la valigetta, in tailleur, che insieme ci incamminavamo sull’erba leggera, illuminata, circondata dagli eucalipti e dall’odore più buono che si possa immaginare –l’odore che solo la Primavera può avere. Era una scena fuori dal tempo, quasi grottesca, eppure il suo ritmo oincideva perfettamente col ritmo di questa terra baciata da Dio e da lui subito dopo dimenticata –per la fortuna della terra. Per questo nella stesso paese ci sono creature dal volto di demone, e assassini su sei zampe e con zanne, insieme agli uccelli dai colori impossibili e alle ragazze piu' belle che si siano mai viste.
Così mentre uomini e donne pestavano con le loro scarpe costose l’erba fresca, ho sentito davvero che ero in Australia –in Australia, cazzo!- e che quello era un gran bel cazzo di posto dove vivere. Un posto dove la città non riesce, nemmeno volendo, ad ammazzare tutta quella maraviglia che la circonda. Un posto dove convivono tantissimi estremi, e lo fanno anche nel modo migliore. Un posto dove non ci si stupisce di trovare ancora delle cose buone.
Mi sono incamminato anch’io, ma piano. Ho lasciato che l’aria mi accarezzasse la faccia, quell’aria calda e dolce, da riempirti il palato con gusto e cancellarti via le ore passate in un ufficio. Poi ho alzato lentamente la testa, mentre le macchine passavano in quel sogno ad occhi aperti, e lì le ho viste.
Non ricordavo se a Roma le avevo mai viste così. Non ricordavo se le avevo mai viste così e basta, in una città, anche se in periferia. Le stelle brillavano come tanti buchi nell’infinito, erano una luce con un suono basso che cadeva su tutto, e benediceva tutto. Passeggiavo tra erba e stelle e dimenticavo. Non solo la giornata lavorativa, dimenticavo tutto. Il passato, qualsiasi cosa fosse, non esisteva più. Era semplice qualcosa che mi aveva portato ad essere lì, e quindi non doveva essere tutto da buttare. Qualsiasi colpa avessi avuto, qualsiasi crimine avessi mai commesso, adesso ero redento, pulito, benedetto. La mia fedina e la mia memoria erano pulite.
Per il resto mi sentivo un essere nuovo in un paese nuovo, qualcosa non creato, non definito, ma pronto ancora al colpo di scena su uno scenario grandioso e imprevedibile. Quella era la terra sognata da mio nonno, sognata da tanti, e io c’ero. Vivevo nel sogno di tanti, e anche nel mio. Le macchine passavano piano, mentre le stelle continuavano a ronzare. Australia, mi dicevo.
Un gran bel momento.

martedì 16 ottobre 2007

Factotum in Oz


"Le griglie erano pesanti. Bastava sollervarne una per stancarsi. Se si cominciava a pensare che bisognava farlo per otto ore, centinaia di volte, si lasciava perdere in partenza.
Lavori del genere stancano gli uomini. Di una stanchezza che va al di là della fatica fisica. Si dicono cose folli, brillanti. Fuori di me, imprecavo, parlavo, cantavo e sfornavo una battuta dietro l’altra. L’inferno ribolle di risate"

Charles Bukowski, "Factotum"


Comincia un po’ più tardi delle solite sei del mattino. Ho deciso di prendermela più comoda, anche in vista di quello che mi aspetta. Arrivo a Chatswood, nel mio solito grattacielo, alle dieci, con tutta calma. Saluto tutti quelli che sono rimasti. Alcuni sono già partiti, altri stanno per prendere il volo, in giro per questo continente che sta per diventare caldo caldo caldo. Siamo diventati amici, in queste settimane, complici di furti alla cucina dell’ufficio e compagni di sbronze nelle pause-pranzo (sì, abbiamo fatto anche questo, e anche spesso). Ci diciamo che ci ritroveremo, però, qui da qualche parte, nel deserto o dalle parti di Cairns, su e giù la costa Ovest, a sinistra di Byron Bay o tra Melbourne e la Tasmania. Il lavoro è stato stressante, nove ore battenti ogni giorno, ma tutto sommato sopportabile grazie anche al nostro cazzeggio di sopravvivenza e ai nostri tè ogni dieci minuti. Qualche scazzo con la capa, ma le persone si sa, sono quello che sono, e non migliorano mai nemmeno se vanno in Australia.

In giro aria da ultimo giorno. Non si sa se continueremo o se finisce qui, nemmeno la capa lo sa, o semplicemente non ce lo vuole dire. Io faccio il mio, come sempre. Mi spostano in un altro ufficio. Ribecco tutti giù, alla pausa pranzo, col solito panino e un’insolita tempesta che spazza via i tavolini. Scambio di numeri, foto, alcune ragazze straniere che vedevamo sempre ci rivolgono la parola, alla fine, anche solo per dirci ciao. Un italiano divide un tiramisù con me. Dice che non vuole tornare a casa, in Italia. Dice che ora forse va in Nuova Zelanda. Io torno su, al mio piano, per le mie ultime 3 ore di lavoro qui.

Alle 4 salto sulla sedia, prendo le mie cose e prendo il volo, con un salernitano che mi augura buona fortuna, qualche altro saluto e ancora tanto da fare. Vado giù in strada, mi dirigo verso i taxi, ne prendo uno. Provo a parlare un po’ col tassista, ma non andiamo al di là del tempo. Non è in giornata. Io invece guardo tutto con occhi curiosi. Tagliamo in due la città, passando anche sopra l’amato Harbour Bridge. Corriamo anche sopra un altro ponte, l’Anzac, e subito dopo siamo arrivati. Pago l’uomo –tutti soldi che mi verranno restituiti- e mi guardo intorno. Vedo Balmain per la prima volta. Non mi sembra questo granchè, ma il cielo è nuvoloso, e non voglio giudicare. È ancora troppo presto, così mi faccio un giro per le stradine, per conoscere un po’ la zona. Tutto sembra ronfare col ritmo tipico del primo pomeriggio. Mi siedo ad una panchina e mi leggo un po’ del mio "Giovane Holden" in inglese, che mi porto sempre appresso. L’ultimo momento di pace, ma io ancora non lo so.

Entro al ristorante alle 5 in punto, come da accordo. Saluto, stringo mani, ascolto nomi che subito dimentico nella fretta delle cose. La capa –un’altra capa- comincia a vomitare raccomandazioni, indicazioni, proibizioni. Oggi dovrò sostituire, in via eccezionale, il lavapiatti, che sembra sia sul piede di guerra sindacale. Avevo detto di sì, preparandomi al peggio.
Ovviamente, è stato ancora peggiore.
Ancora stordito, mi infilo un enorme grembiule di gomma. Ascolto metà delle cose che mi vengono dette. Non ho tempo nemmeno di scoprire dov’è il cesso, di bere un bicchiere d’acqua, niente. Mi dicono, lì ci sono i guanti. Li prendo. Mancano un paio di dita. Chiedo per altri guanti. Ci sono lì quelli usa e getta. Li prendo. Una busta di plastica farebbe più spessore. Non ti preoccupare, mi dice la capa, usane quanti ne vuoi. Detto ciò, si comincia. 6 ore di lavoro al mattino, ancora con le mie Puma ai piedi, e ora mi ritrovo a sgrassare pentole e posate unte e bisunte. La capa aveva detto un milione di cose tutte insieme, di fretta, ed era tornata ai cazzi suoi. Il tizio accanto a me, che sembra sui 35, mi spiega cosa fare. In sostanza, dopo aver lavato i piatti devo metterli in questa lavastoviglie bassa, dove l’acqua, precisa, è a un milione di gradi. Da lì li prendo e li metto su un mobile, poi li asciugo, li metto al loro posto, e da lì torno a lavare altri piatti, poi lavastoviglie, mobile, asciugatura, sistemazione, e di nuovo. Questo senza contare che in un momento di caos ci possono essere 40 piatti tutti insieme e pentole e tutto il resto. Questo senza contare bicchieri e posate, che hanno bisogno di altri trattamenti, e che poi devo portare di là, in sala, ed asciugare uno per uno –e per favore, precisa la capa, quando vai in sala ad asciugare togliti i guanti, ok?
Lavo e faccio la prima lavastoviglie. Quando finisce la apro. Il vapore caldissimo mi appanna gli occhiali –cosa che si ripeterà migliaia di volte quella sera. Nella semi-cecità afferro i piatti. Sono incandescenti. I guanti usa e getta, che ne posso usare quanti ne voglio, non servono a un cazzo. Comincio a sudare. Lo spazio e' strettissimo.

La gente comincia ad arrivare. È venerdì sera, che qui è il giorno più incasinato, e questo venerdì sarà anche più incasinato del solito. I ragazzi della cucina –loro simpatici, va detto- mi dicono che è una guerra. I piatti si accumulano in pile impossibili da smaltire. Ce n’è sempre una e una e una. L’acqua mi arriva dappertutto, sui jeans, sulle scarpe. Devo usare quella bollente per sgrassare, e la temperatura sfiora i climi tropicali. Mi arriva sulla braccia, sugli occhiali. L’orologio è proprio dietro di me, ed è una tortura. Mi obbligo a non guardarlo, ma poi commetto lo stesso l’errore. I secondi durano anni. Il tempo non passa mai. I piatti si accumulano. Più veloce, mi dicono. In sala servono piatti. Poi i bicchieri. Corro, tolgo i guanti e vado ad asciugare i bicchieri. In quel momento, mentre guardo i tavolini pieni, realizzo che ancora non ho visto nemmeno il locale –e credetemi, è un buco. Sto lavando non-stop dalle 5. Non riesco nemmeno a pensare a quanto tempo è che non mi siedo, o anche solo che mi fermo un istante a tirare il fiato. Ho troppo da fare.
Continuo a lavare, infilare nella macchina, ad asciugare. Una furia. Non c’è tempo per pensare. Il tizio sui 35 mi porta un bicchiere d’acqua per pietà, e quando la bevo mi sembra la cosa più bella del mondo.

Alle dieci in teoria il ristorante chiude, ma è venerdì e la gente non ha voglia di andar via. I piatti continuano ad arrivare. Mi servono bicchieri, mi dicono, mi servono posate. I guanti sono tutti bucati, ho acqua dappertutto. A forza di abbassarmi per mettere le cose dentro la lavastoviglie migliaia di volte mi viene un maldischiena micidiale. A forza di tirare fuori i piatti bollenti mi si bruciano tutte le punta delle dita. Perdo la sensibilità in alcune parti del corpo. Un paio di momenti le cose da lavare sono così tante, che ti viene voglia di pensare che mollare tutto e andartene tanto è impossibile farcela. Alla fine poi la prendi come una scommessa con te stesso, come una sfida, come una semplice follia e lo fai. Non devi pensare, sennò sei fottuto. Il trucco è tutto qui. Lo fai e basta. È questo che vogliono, e tu glielo dai. La differenza tra te e la lavastoviglie a un milione di gradi è che la lavastoviglie non si ferma mai, tu sì. Non ci vuole molto a capire a cosa tengono di più, lì.
Con le mani ustionate, sudato, con centinaia e centinaia di piatti, pulendo la merda che altri hanno lasciato, cominci a scivolare nella pazzia. Comincio a canticchiare, a borbottare, a parlare con gli altri o anche solo con me stesso. Penso a me stesso con quel grembiule e rido, scuotendo la testa.

Anche l’ultimo cliente va via. I piatti però non smettono di accumularsi. Trovo il tempo di parlare un po’ col tizio 35enne mentre cerchiamo di smaltire tutta quella catasta. Parliamo di Australia, donne, visti. Mi dice che ha il working-holyday. Ma quanti anni hai, chiedo.
26, risponde lui.
Lo guardo in faccia. La serata è finita.
La capa mi dà i soldi del taxi, più le mance. Nemmeno li guardo. Ho dimenticato che ero qui solo per loro. Mi dice che domani farò il cameriere di sala, ma che domenica dovrò sostiuire per l’ultima volta il lavapiatti. Domenica. 48 ore.
Esco di lì col proposito di godermele tutte. Corro verso la fermata dell’autobus –perso quello, posso solo fare l’autostop. Tutti i muscoli mi fanno male. Sono bagnato, sono sudato, sono stanco. Non mi siedo dalle 5, e ora sono le 11 passate. Nell’autobus sprofondo, mentre alcuni ubriachi si raccontano le loro storielle. Poi ancora mezzora di treno.
Alla fine, forse, a casa.

domenica 7 ottobre 2007

Stolen words

I have been waiting something that doesn’t exist
Than just a miracle: I have not stopped dreaming
Than just a miracle: I can’t help hoping
And if there is a secret : just do everything as you could see only the sun
Do everything as you could see only the sun
and not something that doesn’t exist

[I wish I could have written something like that]

Pensieri rubati

Ho aspettato a lungo qualcosa che non c'è
E miracolosamente non ho smesso di sognare
E miracolosamente non riesco a non sperare
E se c'è un segreto è fare tutto come se vedessi solo il sole
Un segreto è fare tutto come se vedessi solo il sole
E non Qualcosa che non c'è

[non scrivo di chi è perchè poi mi cacciate dal blog, mi piaceva l'idea di potere tornare ogni tanto all'hotel e leggere queste parole... tutto qui...]

lunedì 1 ottobre 2007

Un Siciliano a Sydney /1



Dopo i primi giorni, dopo aver visto l’oceano per la prima volta, ho finito per prenderci gusto e nella mia prima settimana mi sono lanciato a togliere il fiocco e far uscire dalla scatola questo sogno chiamato Australia.
Per cominciare, come ogni bravo turista a Sydney, sono andato subito alla Circular Quay, uno dei posti semplicemente più belli che vi possa mai capitare di vedere. La prima cosa che vedi appena sceso dal trenino, lì tra il mare e il cielo così colorati e tersi, è l’Opera House, che con quel suo bianco accecante, che brilla e luccica in mezzo a tutto quel blu, sembra davvero un veliero folle in mezzo all’oceano. Anche se l’avete vista e rivista in mille foto, quando siete lì dal vivo è proprio tutta un’altra cosa. Ti ricorda esattamente dove sei, e anche che cosa ci fai lì.


Subito dopo l’Opera House, proprio a sinistra, in una vicinanza che non poteva essere più scenografica, compare l’Harbour Bridge. Solo un ponte, direte voi. Nient’affatto.
L’ Harbour non è appariscente come l’Opera House, e sicuramente nelle mille foto che avete visto non ci avete prestato granchè attenzione, ma a vederlo da lì, passeggiando tra il brillare della baia e ristoranti lussuosi, lì tra le viuzze dei Rocks e le fontane e i koala di pelouche per i turisti, i finti ristoranti italiani e le pubblicità della birra e il sole, è proprio bellissimo. Non sai perché, ma ti piace. Almeno, a me ha fatto quest’effetto. È imponente senza essere colossale. È vasto ma riesce ad esserti subito familiare. Non ha nessuna pretesa, e invece te lo trovi sempre lì, in ogni foto e tramonto.
L’Harbour al tramonto è una cosa che si ricorda.


Mi sono concesso una Carlton Draught –la mia birra preferita- in un bar all’aperto proprio sotto l’Opera House. Ne ho visto le mattonelle bianche, che da vicino la fanno sembrare ad un’enorme tartaruga. Le ho baciate, un po’ sperando che funzionasse come la fontana di Trevi a Roma, un po’ come per sentirmi benedetto e finalmente cosciente di questo sogno. Ho pisciato nei suoi bagni lussuosi, ovviamente.
Poi mi sono seduto –anzi, sdraiato- nei muretti che percorrono parte della Circular Quay e lì, fra turisti giapponesi che cercano la posa perfetta e ragazze australiane in short nonostante il freddo, mi sono totalmente lasciato andare. Avevo il ponte di là, l’Opera di qua, il mare, il tramonto, qualche nuvola, e non poteva esserci niente di meglio. Una vista meravigliosa e rilassante allo stesso tempo –ed è strano pensare che tutto questo mondo fuori dal mondo esista proprio nel cuore di una città da 4 milioni di abitanti. Alle nostre spalle ci sono i mega-grattacieli della City, il centro pulsante della città, persone in giacca e cravatta che corrono e stringono mani. Qui questo non esiste. Qui ci sei solo tu, quelle due meraviglie, un paio di centinaia di turisti perlopiù asiatici, e basta. Qualche minuto lì, a far posare pigramente lo sguardo ora sul ponte, ora sull’Opera, e ti dimentichi davvero di tutto.
Una sensazione meravigliosa.
Marco

mercoledì 26 settembre 2007

Chissa' in che paese mi trovo...


E' semplicemente un decimo di quanto e' bello...


domenica 23 settembre 2007

Agli amici del Morgana.

Non so se vi è capitato mai di addormentarvi sul cesso, colla testa appoggiata sulle mani e le braccia inarcate sui gomiti che fanno perno sulle ginocchia. Non è una posizione comoda. Appena la testa va un po' troppo a destra o un po' troppo a sinistra finisce che ti svegli.
Mi sono alzato dal cesso, ho sistemato le brache e tutto il resto, ho aperto la porta. Non mi aspettavo di essere là. E' stata una sorpresa. Ero a Parigi, nel settimo arrondissement. Uno dei più borghesi della città. Davanti a me, a pochi metri, si estendeva Hôtel des Invalides, storia di francia, storia di rivoluzioni. Sussulti al cuore, emozioni spontanee.
Poi giravo lo sguardo. Auto di lusso occupavano i posti disponibili ai bordi delle strade e sacchetti per la merda di cane si moltiplicavano nelle buste trasparenti della spazzatura. Ecco che mi saliva un po' di prurito su per il culo. Mi rigiravo ed avevo di nuovo Des Invalides di fronte, e poi, dall'altro lato, lei la torre Eiffel.
Non so se la torre Eiffel sia davvero bella. Arte ed ingegneria è un'unione lesbo - niente in contrario - ma il rischio è di partorire cose che poi vanno per cazzi propri. Oh ingegnere Eiffel non me ne voglia. SVP. Ma parigi è Parigi, e gli si perdona il fascio luminoso e la colata di flash che veste la torre come un albero di Natale anche a Settembre.

Ci vuole poco per amare questa città. una passeggiata la sera, i bar di Montmartre, il pensiero che si dirige a Van Gogh. Una lacrima che sale su per la gola, ma che poi fatica ad uscire come il succo da un limone secco e strizzato. I limoni, mi fregano sempre, stanno mesi nel frigo e quando servono sono già secchi come noccioline tostate. E' davvero incredibile come le cose possano stare ferme per mesi nella stessa posizione e nello stesso posto senza essere mai minimamente spostate, e la nostra indifferenza totale. Ho sempre tenuto un accendino accanto al monitor del PC. Una delle mie libido più grandi è stata quella di surfare e fumare. Dopo l'ultima sigaretta accesa prima di smettere, quell'accendino é stato fermo in quel posto per oltre un anno. Ma poi ci sono un milione di altre cose che stanno nella stessa posizione e proprio sotto i nostri occhi ma non le notiamo mai. Coi limoni, mi finisce sempre così; non ho mai trovato il posto giusto per loro.

La solitudine nasce dalla consapevolezza di non essere nel posto giusto dopo molte ore che mediti, e non dalla mancanza vera e propria di amici. Ma la consapevolezza a volte è più aberrazione, e la solitudine non è solitudine ma è solo noia. Perché anche Parigi, ha qualcosa di noioso; é la vita come te la costruisci tu. La solitudine è una faccenda personale. La incontri durante i weekend. Ma si tampona, si può mascherare. La noia, invece, non ci riesci. La noia non si inganna. Ti fotte sempre. La noia ti annichilisce, ti deprime, si cela nella stanchezza, nell'appagatezza, nella fame, in una sigaretta, in un caffè o in un litro di vino.

Parigi è una donna affascinante, truccata per apparire bella. E' il vecchio che si unisce al moderno. Sono le strade di Les Halles ed il suo centro commerciale nel cuore del quartiere. E poi il centro di Pompidou. Parigi, sono i parigini ed i suoi turisti. Parigi sono la gente. I tifosi sud africani per la metro che celebrano la vittoria di Rugby contro l'Inghilterra. I tossici che vedi bucarsi per le strade solitarie attorno a Gare du nord. E' il clochard che vive dalla testa al fondo schiena dentro la cabina del telefono vicino a lavoro.

Quando devi cercare casa a parigi, ti ritorna il prurito per il culo. Non è sempre facile, qui non hanno il bidet; ma è questione di tempo perché il modo per attrezzarsi lo si trova sempre ed il prurito s'en va. Il croissant la mattina è ottimo.

Non chiamatemi distratto, ma diversamenteattento.

Alè la france;

Le mie prime volte



Tempo fa mi chiedevo: quand’è troppo tardi? Arriva per forza un momento in cui uno è incastrato così bene in tutto quello che lo circonda che non può più uscirne fuori. È un fatto, innegabile quanto triste. La mia domanda era: quando succede tutto questo? Quando hai 40 anni? Trenta? Domani mattina? Per un Bukowski che cambia la sua vita di merda a 50 anni ci sono milioni di persone che invece a 20 hanno già finito.
Bukowski ha avuto fortuna, certo. La fortuna, senza quella non si fa, questo è un fatto. La fortuna è tutto quello di cui un uomo ha bisogno. Quella, e la Speranza. Parola magica, questa. Il motore che continua a pompare anche quando l’ultima goccia di benzina è andata. La colla che tiene tutto.
Speranza.


Con la Speranza che andava e veniva nei giorni più grigi mi chiedevo, è tardi avere la propria prima volta a 28 anni?
Stavolta la risposta ce l’ho: neanche per il cazzo. Nella mia prima settimana qui in Australia ho avuto tante di quelle prime volte che età e giorni bui non contavano più niente. Era sempre come il primo giorno della vita: caotico, confuso, così emozionante da spaccarti il cuore, una voglia di piangere senza riuscirci e tantissime luci anche se intorno è tutto buio.
Semplicemente.


Ho avuto la mia prima notte australiana in una casa enorme in cima alla collina, popolata da angeli biondi leggeri & gentili, con l’impossibilità a dormire un po’ per il jet-lag, un po’ perché là fuori c’è il tuo sogno di una vita e, cazzo, mica puoi restartene a dormire!
Ho avuto il mio primo risveglio –come se fosse il primo davvero- con versi di uccelli che non credevo esistessero, e che a prima botta ti fanno pensare che qualcuno ha lasciato SuperQuark a tutto volume.
Ho avuto il mio primo cielo australiano, ancora in pigiama e tutto, e lasciate che ve lo dica: è davvero così assurdamente blu come dicono.


Ho avuto il mio primo giro in auto, con le strade invase dalla luce e dal calore anche se dovrebbe essere inverno. La prima cosa che noti per strada sono i colori, così forti, così VIVIDI, che ti sembra di non aver mai visto un colore prima in vita tua, nemmeno se hai già 28 anni. È così chiaro che ti abbaglia e ti fa male all’inizio. I tuoi occhi europei devono abituarsi un secondo a tutto quello che ti investe, a quei fiori, a quegli alberi mai visti che spuntano ad ogni angolo della strada, così che ti sembra di camminare sempre in un’enorme eterna foresta. I negozi e le case, tutti bassi e colorati e cosi coloniali da cercare con gli occhi il prossimo saloon.
Ho avuto –anche se erano solo le 11 di mattina- la mia prima VB (la birra più australiana che esista) nel mio primo pub, con tavoloni di legno lucido in cerchio e schermi con le partite di rugby e il barista che mi chiede se voglio qualcosa mate, sempre quella parola, amico, dappertutto. Meravigliosa. Sorseggio la birra fredda mentre mi guardo intorno, eccitato come un bambino al primo luna-park della sua vita, e aspetto la prima volta più attesa della mattinata.
Col mio amico australiano mi infilo dietro un palazzo bianco sbiadito dal sole, tra cucine e avanzi di cibo, e di nascosto saliamo le scale, solo ieri ero in volo, solo 2 giorni prima a Roma, una settimana prima nel Bucodiculo, adesso salgo per le scale di questo palazzo a Manly, una delle spiagge più belle di Sydney, e infine arrivo in terrazza e lì ho la mia prima volta.
Io e l’Oceano ci guardiamo con occhio strano per un secondo o due, poi ci lasciamo andare e ci abbracciamo come farebbero due vecchi amici che si reincontrano sbronzi dopo tanto tempo che non si vedevano –dopo tutta una vita. alla fine, eccolo. E’ maestoso, è vasto, è semplicemente bellissimo. È dappertutto, ti riempie gli occhi e il cuore, come un’alluvione ma ben accolta. Mi sembra di aver percorso tanta strada per arrivare fin qui e per poter confermare quello che pensavo: il Pacifico è davvero blu come nei miei sogni.
Inspiro forte l’aria, che qui mi sembra diversa, tutto mi sembra diverso. È inverno e ragazzi in muta si aggirano con una tavola da surf. Il mio amico mi parla in inglese. Il sole è in ogni cosa, semplicemente. Mi faccia attraversare da tutto, senza fermarmi ad una sola sensazione. Ancora una volta vorrei piangere, ma sono troppo felice per farlo.
Mentre i gabbiani passano e la brezza mi bacia ogni singola cicatrice, guardo questo mio vecchio amico blu –blu come il cielo- ed ho questa fortissima sensazione. La sensazione di essermi seduto al tavolo coi più forti del mondo, e di aver vinto.
Fisso ancora una volta l’oceano, imponente e discreto. Di là oltre l’orizzonte c’è l’America. L’Africa. Poi di nuovo l’Europa. Il Mondo. Inspiro ancora un po’. Fortuna e Speranza, amici miei.
Non serve nient’altro.
Marco

lunedì 17 settembre 2007

Primavera dopo l`Estate. Capitolo 2: In Oz! Angeli & piccoli Paradisi

sabato 15 settembre 2007

Primavera dopo l`Estate. Capitolo 2: IN OZ! In volo...


Quando l’aereo si alza in volo, sto dormendo. Sono state troppe le emozioni, nei giorni precedenti, e troppo poco il sonno. Quando mi risveglio, davanti a me c’è il mega-schermo che indica a che ora siamo partiti, dove siamo diretti e quanto tempo impiegheremo ad arrivarci. Questa è una di quelle cose da evitare, in un viaggio del genere. Mai pensare a quanto manca. Per mia distrazione non ho nemmeno un orologio, e alla fine penso sia meglio così.
Mi risveglio nel viola soffuso dell’aereo della Thai. Le hostess avvolte da grandi foulard colorati e gli steward, vestiti come pinguini, cominciano ad agitarsi, a correre lungo i corridoi. Ci portano il primo giro di bevande. Io vado per un aranciata. Sono in un doposbronza micidiale. Il mio è un esperimento: sopravvivere ad un volo di 26 ore in queste condizioni. Inoltre, è dannatamente rock.


Hostess e steward continuano a correre come dannati, noccioline, strane palle bianche che si rivelano essere fazzoletti a temperature vulcaniche, ancora da bere, tutti che ci danno sotto, whisky e cocktail dappertutto, portano il pranzo e allora non resisto più, prendo anch’io del vino bianco thailandese che sa di medicinale. Dopo il pranzo, ci portano anche del cognac. A quel punto, dopo che ci hanno riempito di cibo e alcol, ci spengono le luci e ci mettono un film. Tutti ci sistemiamo più comodi sulle poltrone, accettando benvolentieri questa regressione verso l’infanzia. Da qui a quando atterreremo, nessuno di noi farà più parte del mondo degli adulti. Per quello, c’è la signorina col foulard.


Dopo un altro sonnellino, un terribile film che si rivela essere un remake hip-hop di "La finestra sul cortile" di Hitchcock e un po’ di pigra lettura provo a parlare un po’ coi miei vicini di sedia –la tipica coppia italiana che va in viaggio di nozze a Bali, lui subnormale, lei di più, che ridono a voce alta per un film demenziale, incapaci di dire grazie o di essere gentili in alcun modo. Visto che sto abbandonando quel paese, non vedo perché fare quest’ultima fatica. Mi lascio scivolare tra Kerouac e Fante, e qualche saltuario appisolamento. Quando guardo di nuovo dal finestrino vedo che stiamo fuggendo dal tramonto, dritti dritti verso il buio fitto. Non so più che ore sono, dentro e fuori. L’unico contatto con la realtà –e anche la cosa più bella di tutte- è il mega-schermo che, tra un pessimo film e l’altro, indica la posizione dell’aereo. Così scopro magicamente che il mio culo in quel momento sta sorvolando Kabul. L’Himalaya. L’India. Solo 8 giorni fa ero nel Bucodiculo, e adesso volo attraverso l’Asia su paesi che non mi sembravano nemmeno esistere al di fuori di fiabe e telegiornali. È una sensazione troppo bella per chi ha il viaggio nel sangue.
All’Australia non voglio pensare. So solo, vagamente, che arriveremo a Bangkok, prima o poi.


Ci arriviamo appena dopo l’ennesimo pasto della giornata (giornata?), e lì mi trovo a percorrere chilometri col mio bagaglio a mano pesante 18 chili (peso consentito: 7 chili), fino al terminal che, come potete ammirare nella foto, è caratteristico –per usare un eufemismo. Lì un indiano col turbante mi squadra il passaporto più e più volte, lo legge, lo ingrandisce. Non lo convinco proprio. Brutta faccia. Alla fine mi fa passare, e mi unisco agli altri. Salgo sull’aereo, leggermente emozionato. Facce stanche, facce da alba, facce contente. Accanto a me c’è un tizio, e non è difficile capire da dove arrivi. Parliamo un po’. Gli chiedo se è di Sydney. E lui "No, mate! Going to Brisbane, mate!".
Meraviglioso, penso.


Stavolta si fa sul serio. Comincio a pensare che veramente, cazzo, arriverò in Australia. È troppo. Quando passa l’hostess mi faccio mettere davanti un Jack Daniels con ghiaccio. Appena butto giù la prima sorsata, ci siamo: il mega-schermo dice che, dopo aver volato sull’Indonesia, attraverso l’Oceano Indiano e tutte le isole e isolette del caso, siamo ufficialmente in Australia. Di più: siamo già sul deserto australiano, non molto distante da Uluru. Inutile dire che butto subito giù un’altra sorsata, e gli occhi mi diventano come più brillanti. Il cuore batte all’impazzata e un sorriso scemo, rinforzato anche da un altro Jack e un bicchiere di vino, mi si pianta in faccia e non va più via finchè non tocchiamo terra. Esco dall’aereo mezzo sbronzo. Mi sembra un buon inizio.


Appena metto piede fuori, la sbronza mi passa. Ho viaggiato per un giorno intero, ho perso ogni cognizione di luogo e data, eppure passa subito anche questo. Sono davvero in Australia. Io, in Australia. Dio. Solo adesso mi rendo conto che non cammino ma sto CORRENDO verso l’uscita.
Al controllo passaporti la tizia mi chiede se è la mia prima volta in Australia. Dico di sì, e spero non sia l’ultima. Lo spero anch’io, fa lei, in quel misto di ironia e cordialità tipicamente australiana che amo da subito. Anche la donna al controllo visti è altrettanto gentile, e la cosa mi sembra amplificata dal fatto che sono le nove di sera passate. Sono al settimo cielo. Prendo subito la mia valigia e, trasportando qualcosa come 40 chili come un bue, vado alla dogana, l’ultimo passo. Spero non mi facciano storie, perché qui non scherzano affatto. La donna mi fa qualche domanda, io rispondo, mi giustifico, lei sorride e dice, no worries, passa pure. Vorrei abbracciarla. Vorrei stringerla. Vorrei piangere.
Invece rido, e corro. Corro verso l’uscita, senza mai smettere di ridere.
Marco (The Aussie Bloke)

lunedì 10 settembre 2007

Well Done CHIUDE

lascerò una nota…

C’è sempre qualcuno negli hotel che lo fa… spieghi che hai qualcosa per un’ospite… come se qui dentro ci fossero ospiti …non so voi, ma io lo pago caro il mio angolo di libertà…

non so cosa mi piace di meno…. se dovere lasciare qualcosa di personale a un perfetto sconosciuto e ficcanaso (come tutti i portieri del mondo) o se dovere scrivere… io odio scrivere… e poi questa volta sembra impossibile…

Questo è il motivo del bicchiere pieno mentre giocherello col cartoncino...

Ma poi cosa si può scrivere quando stai per dire addio a tuo fratello ?

Ne è passato di tempo… è stata una lunga sudata , puzzolente e piacevole battaglia …
prima lo zoo… poi la 206…. Ma cazzo, che stile che abbiamo avuto ….

Si suonava e si suonava bene … per noi stessi e per chi ci voleva ascoltare….sempre sbronzi e molesti ma mai ovvi e banali… e quel viaggio con la poderosa… sembrava di essere due eroi ….

Quella luce che ci circondava mentre ci facevamo coraggio…mentre ci provavamo… e ancora una volta camminare a testa alta mentre gli altri… gli altri…

si parlava un’altra lingua da quelle parti, ma non ci siamo accontentati, non potevamo farlo… dovevamo andare … e l’abbiamo fatto , cazzo se l’abbiamo fatto….

E poi quella tua ossessione… quella terra così lontana … così ridicola, affascinante, tremendamente irripetibile…

quel posto sembrava per te l’unico possibile ….

Ma Nessuno ci credeva veramente …

neanche noi caro compare , neanche noi pensavamo si potesse fare… i sogni sono li … intoccabili e commoventi…

ma tu cazzo, tu ci sei… sei li….

Com’è realizzare il proprio sogno?

Come ci si sente?

Qui nell’hotel non si fa altro che parlare di questo…

siamo qui per questo caro compare… e tu sei quello che ce lo deve spiegare … che ci deve raccontare….

Qui non possiamo solo che immaginare … qui si continua a viaggiare sperando un giorno… di arrivare anche noi…

Buona vita…

sabato 8 settembre 2007

A un eroe dei nostri tempi (più di la Rocca)


“Aspettando abbiamo scattato qualche foto e poi ci siamo salutati e siamo saliti, e abbiamo anche fatto i saluti dal finestrino mentre il treno partiva. Se ti importa di qualcuno, questo è uno degli avvenimenti più tristi della vita e degli esseri viventi, e il trucco migliore è fingere di essere annoiati, altrimenti può diventare imbarazzante, e poi il treno non si ferma né inverte il senso di marcia, non là comunque, e quindi è un po’ come morire lentamente, per niente bello, è meglio entrare nello scompartimento e sedersi a cercare carte geografiche e sigarette, a controllare che i bagagli non ci cadano in testa, a vedere se i braccioli si possono piegare in modo da potersi allungare, a controllare il passaporto e la stitichezza, poi pensare a come e quando riuscire a conquistarsi il primo drink”
Charles Bukoswki







Sul palco abbiamo avuto momenti che nessuno potrà mai capire.
E’ stato un onore e un vero piacere fare tutta questa strada insieme. E il bello è che questo è soltanto l’inizio.
Ricorda che ci sono sempre un ponte e due birre gelate ad aspettarti. E un compare, ovviamente.
Buona vita, socio.
Ci vediamo al solito bar.




Il Compare

Post Prima di Andare Via /2


Mi sono spiato illudermi e fallire
abortire i figli come sogni
mi sono guardato piangere in uno specchio di neve
mi sono visto che ridevo
mi sono visto, di spalle, che partivo…


Fabrizio De Andrè, “Anime Salve”

Post Prima di Andare Via /1



Mi offrono un incarico di responsabilità
non so cos’è il coraggio
se scegliere la fuga o
affrontare questa realtà
difficile da interpretare
ma bella da esplorare
provare a immaginare come sarò
quando avrò attraversato il mare
portato questo carico importante a destinazione
dove sarò al riparo dal prossimo monsone

Mi offrono un incarico di responsabilità
domani andrò giù al porto
e gli dirò che sono pronto per partire
getterò i bagagli in mare
studierò le carte
e aspetterò di sapere per dove si parte
quando si parte
e quando arriverà il monsone
dirò
levate l’ancora
dritta, avanti tutta
questa è la rotta
questa è la direzione
questa è la decisione


Lorenzo Jovanotti, “La linea d’ombra”

venerdì 7 settembre 2007

Primavera dopo l'Estate. Capitolo 1: Road to Oz. In Australia non si parla inglese...


Qualche giorno fa, quando ero ancora al Bucodiculo, mi trovavo a cena in questa Villa. La Signora, padrona di casa, si gira verso di me e fa, con acidità collaudata –ma come l’Australia? Che ci vai a fare? E poi è enorme…è come dire “vado in Europa”…e poi…
Via di questo passo. Ne ho sentite tante, negli ultimi mesi. L’Australia è lontana. È calda. È enorme. È disabitata. Ci sono i ragni velenosi. Gli scorpioni. Gli aborigeni. Le meduse. Ti lanciano il boomerang. Ti prendono a pugno i canguri. Non parlano inglese. È solo deserto. Gli australiani sono tutti alcolizzati. Sono stupidi. Sono bifolchi. Ci sono i coccodrilli. Gli squali. C’è Crocodile Dundee. Se nuoti muori. Se non nuoti, anche.



Per carità. Quasi tutte queste cose sono vere. Magari non tutte assieme nello stesso momento, ma in generale è vero, l’Australia è lontana (dal nostro punto di vista, ovviamente), calda e enorme (molto più dell’Europa, cara Signora). Ci sono tutti quegli animali elencati e anche molti di più. Alcuni australiani rispondono perfettamente a questi identikit.
Dopo tutto questo tempo ci fai pace, con gli stereotipi –e se non lo sappiamo noi, che andiamo avanti a forza di pizza mafia calcio e mandolino, chi lo deve sapere? Ormai mi limito a sorridere, dire di sì, certo, come no?



Eppure, nonostante questi luoghi comuni e qualche rara eccezione come la Signora della Villa, tutti sentono la parola “Australia” e non hanno niente da ridire. Anche se mi chiedono cosa vado a farci, nessuno mi ha mai chiesto “Perché l’Australia?”.
Questo accade, secondo me, perché quel posto esercita comunque il suo fascino. Nonostante serpenti e caldo a Natale, tutti associamo a questo nome anche spiagge bellissime, incontaminate. Cieli di un azzurro che fa paura. Spazi totali e una libertà che non ci si può immaginare.



Perché Oz? Mille risposte, almeno per quanto mi riguarda. Perché è semplicemente stupenda. Perché è stupenda e ci sono meno abitanti che nel Sud Italia. Perché è stupenda, spaziosa e tutta da scoprire. Perché ancora nel 2007, con tutto ormai già visto, già conosciuto, è l’unico posto al mondo che riserva ancora sorprese, come se fosse l’ultimo paese di frontiera rimasto. Perché è un posto nuovo, nel senso più ampio del termine, e fa sentire nuovo anche te, al di là dei tuoi anni e delle tue esperienze. Perché è un posto senza memoria, dove una persona può sognare di ricominciare tutto. Perché ci sono le ragazze più belle del mondo, e fra di loro la più bella di tutte –la mia Morgana. Perché ti riempie gli occhi e il cuore solo a immaginarla.
Forse semplicemente perché ne sono innamorato da una vita, e non ci si chiede mai perché si ama qualcosa o qualcuno –lo si ama e basta.



In quanto alla domanda sul cosa ci vado a fare, beh, cara Signora della Villa…questa è semplicemente la domanda più stupida e inutile di tutte.
Buona Europa, cara Signora. Magari prima o poi capiterà anche a lei di sognare.


Marco

Primavera dopo l'Estate. Capitolo 1: Road to Oz. Camere con vista.


Mancano due giorni e io sono qui seduto davanti alla mia finestra, con quel panorama che conosco bene –la pizzeria, gli alberi, e poco dietro il cimitero. Non esattamente quella che si potrebbe definire una vista spettacolare… Eppure il fatto di conoscerla così bene me la fa quasi piacere. Inoltre si riesce a vedere il cielo, e in questa città di palazzoni uno sull’altro è già un lusso incredibile…


Roma l’ho trovata uguale a sempre. Non ho avuto molto tempo per dedicarmi a sfogliare l’album dei ricordi, e questo è forse un bene, perché qui la situazione è un pelo più tosta che nel Bucodiculo.
Non per la città in sé, intendiamoci. Un paio di giorni fa sono andato in centro e ho avuto la sensazione di essere ancora un turista dopo 8 anni passati qui. Alienante, è la parola esatta. Roma è una città che raramente puoi viverti per intero. Il più delle volte o annaspi, o ti scegli la tua zona limitata dalla quale esci per le tue incursioni, appunto, da turista.


La mia zona è stata la Tiburtina. Dire che mi mancherà sarebbe una bella barzelletta. Diciamo che mi ci sono abituato, e lei si è abituata a me. Una coppia che vive insieme da tanti anni senza arrivare mai a conoscersi del tutto. Anche se vivi in una città da milioni di abitanti, finisci per vedere sempre la stessa strada, gli stessi posti, e anche le stesse facce. Roma è un tentativo malriuscito. Roma è un grande paesino. Roma è bellezza sprecata. Roma è migliaia di speranze messe insieme, che non sempre vengono esaudite.


Ma più ancora che Roma, o la Tiburtina, sarà dura salutare il mio nido per otto anni. Qui, in questa casa con la carta da parati color vomito e i mobili vecchi e cadenti, è successo tutto quello che si può spesso trovare in una vita intera, o nemmeno lì. Vedo ancora me stesso così pivello arrivare qui, con le mie valigie e le mie cose da imparare, quasi un secolo fa. In mezzo tutte le sbronze, le facce, le risate, le incazzature, le scopate, le tristezze e i casini che hanno fatto di questa casa un posto intriso di vita, merda e sogni –un riparo quando fuori pioveva da troppo tempo –un museo di Noi Stessi e un’astronave lanciata nello spazio –una nuvola leggera leggera e una camera con vista. Tutta questa è stata Welldone, casa mia. Davvero, casa mia.
Non c’è un modo non banale e non patetico per salutare questa casa, e quindi non lo farò.
Invece mi affaccio e fisso dritto davanti a me, cielo e cimitero –sole e ombra in un’unica occhiata. Questa, in fondo, è Roma.
Marco

Un blog per chi ha scelto di partire. Ma non solo. Il Morgana è un hotel di gente che va e viene e a volte resta e occupa le stanze molto a lungo. Il viaggio ha certamente una suo volto romantico, il viaggio ti crea delle aspettative, ti da la forza di andare avanti. Quando si parte le motivazioni, le ambizioni future, le aspettative tendono a coprire tutto ciò che rimane alle spalle, delle volte perché ciò che si lascia non mai avuto l’odore di casa, altre volte semplicemente le “ragioni del viaggio” sono più forti di qualsiasi altra cosa.

Ma se è vero che chi intraprende il viaggio si lascia, per forza di cose, i dubbi alle spalle una volta partito, chi resta è sempre incastrato tra una vagonata di domande alle quali è difficile rispondere. Molto facile appigliarsi ai ricordi, provare un senso di incompiutezza, la sensazione di non essere riuscito a dire qualcosa che andava detto, di risolutivo, di definitivo. Scontato e un po’ patetico ovviamente. Ma vero.

Chi rimane si trova a fare quadrare il bilancio di una vita oltre ad affrontare il dubbio che sia più giusto andare piuttosto che no, così, anche solo per il gusto di vedere cosa c’è lì fuori, di provare e di vincere quella vigliaccheria che incatena al posto in cui si è nati.

Nella maggior parte dei casi ci si trova a fare i conti con una quantità di cose come affetti, lavoro, studio; forse solo scuse, appigli a una vita sempre uguale a sé stessa e fatta di quotidiano, forse tutti alibi per non ammettere che si ha paura di rischiare, forse alle volte reali motivazioni per rimanere.

Senza dimenticare che ci vuole moltissimo coraggio per mollare tutto, sono però altrettanto convinto che ce ne voglia altrettanto per rimanere, soprattutto se questa scelta è dettata da una lunga riflessione, dalla consapevolezza che non è ancora arrivato il tuo momento e mai dalla paura di metterti in gioco.

Perché nella vita , bene o male, l’occasione arriva per tutti. Mi auguro di riconoscerla quando arriverà.

In bocca al lupo a chi parte e a chi resta.
Lunga vita al blog!

Sergio.

lunedì 3 settembre 2007

Primavera dopo l'Estate. Capitolo 1: Road to Oz. Il treno ha fischiato...





“Che cos’è quella sensazione quando ci si allontana dalle persone e loro restano indietro sulla pianura finchè le si vede appena come macchioline che si disperdono?... E’ il mondo troppo vasto che ci sovrasta, ed è l’addio. Ma noi puntiamo avanti verso la prossima pazzesca avventura sotto i cieli”
Jack Kerouac

Faceva molto caldo sulla nave, affollata di bambini e turisti della domenica e vecchi soli con la pancia di birra. Da lì a poco però sarebbe piovuto. Poi, di nuovo sole. Niente di tutto questo poteva stupirmi, nella mia prima tappa vera verso l’Australia, la mitica Oz. Nemmeno il nome della nave, che potete leggere nella foto qui sopra, mi ha sorpreso più di tanto. Il destino s’era messo in moto di buon’ora, quel giorno, e in ogni cosa si vedeva che stava facendo il suo sporco lavoro.
E così alla fine ho lasciato il mio buon vecchio Bucodiculo per andare a dare un’occhiata al mondo. Ancora non riesco a crederci. Non mi sembra vero. Non mi sembrava vero neanche prima, come ho già scritto, proprio perché non puoi mmaginare di stare per attraversare un paio di oceani e di continenti quando il panorama che vedi dalla tua finestra è lo stesso di quando eri alto un metro e un cazzo. Anche se avevo il biglietto in mano –biglietto quanto mai sudato, lasciatevelo dire- era tutto impalpabile. Irreale. Capita sempre così, quando realizzi un sogno.
Credevo che avrei scritto di più, lì al Bucodiculo. Credevo che avrei pensato di più. Ricordato. Invece niente. Forse la mia mente era già in viaggio, o forse, come credo, sapevo nel profondo, lì nelle budella, che era ormai tempo di andare. Quando finisce il primo tempo di un film non puoi passare tutto il tempo a pensarci su, o non capirai niente di quello che succede dopo. No. A quel punto devi puntare dritto al secondo tempo, preparato e libero a goderti tutto quello che può capitare, che sia o meno in sintonia col già visto.
Io e il Bucodiculo siamo stati amici, poi ci siamo odiati di brutto, e alla fine abbiamo provato a portare avanti una convivenza più o meno civile. Abbiamo cercato di fare la pace senza mai riuscirci del tutto. Anche ieri, prima di andare definitivamente, mi sono affacciato al balcone, ho fissato un po’ la massa blu lì dietro tetti e case ammuffite, ed ero indeciso tra mandare un bacio e alzare il dito medio.
Alla fine ho optato per un sorriso.
Ho cercato di non guardarmi indietro, di non cadere nella trappola della nostalgia che colora il grigio e cancella la merda. Sono sempre stato uno in lotta coi propri ricordi. Da una parte sono d’accordo con chi dice che ci si lega ai ricordi non può andare lontano, dall’altra so che senza quelli perdi semplicemente la tua identità. Per quanto schifosi siano, sono stati loro a mettere su il tizio che vedi ogni giorno allo specchio.
I ricordi sono come quegli anziani saggi che non la smettono più di parlare: devi ascoltarli rispettosamente, ma non troppo.
Sulla nave Morgana non ero solo. Un amico mi ha voluto accompagnare fino a Villa San Giovanni, in Calabria, da dove avrei preso il treno per Roma –la prima e unica fermata nella strada verso Oz. Abituato a partire da solo, mi ha fatto effetto. Sono sempre stato un drammatico e gli addii, anche per pochi mesi, mi hanno sempre lasciato una malinconia da settembre piovoso ed estate finita. E stavolta non si trattava nemmeno di pochi mesi.
Lasciatevi dire che gli addii sono la parte più brutta di ogni viaggio. Banalità sacrosanta. Non importa quanto tu abbi desiderato quel viaggio, quanto sia vitale per te, e nemmeno se i rapporti che avevi con le persone che lasci non sono sempre stati idilliaci. No. Quando la nave molla gli ormeggi, quando il treno comincia a muoversi, quando l’aereo prende la rincorsa, tutto quello che vedi sono, come dice Jack, persone che si fanno sempre più piccole fino a scomparire. Anche questa è una trappola, come la nostalgia, e non puoi evitarla. Proprio per questo le stazioni sono tra i posti più tristi al mondo.
Tutto quello che dovete fare, a quel punto, è prendere un grande respiro e guardare sempre fisso avanti a voi. Non lasciatevi fermare dai saluti, dalle facce, da quello che è stato. Farà male, molto. Per rinascere infatti bisogna sempre morire un po’, prima. È atroce, e inevitabile. E in fondo è anche un bene che ci sia, questo dolore. Indica che l’organo è sano e pulsante, che c’è rimasta ancora della vita, nei ricordi e nelle speranze.
A meno che il viaggio che state per fare non è uno a cui siate state costretti da ragioni materiali o di vita e di morte, ci sarà sempre il momento in cui penserete –ma perché tutto questo?
La domanda è umana, ma dovrete allora avere il coraggio la forza l’incoscienza di darvi una risposta altrettanto umana: perché sì.
Troppo semplice? No, per niente. Perché dirselo vuol dire non farsi prendere. Non fatevi ingannare da questo dolore, dal fatto che il vostro corpo si faccia all’improvviso così pesante. Lui vuole restare lì, è ovvio. Lì c’è nato e cresciuto, lì ha le sue abitudini e i suoi punti di riferimento. Quello che c’è dentro il corpo però non ne ha, di punti di riferimento. Non ha nazionalità, non gli servono documenti, non assomiglia a nessuno. Quello che c’è dentro vuole vedere quello che c’è fuori, oltre quei palazzi e quelle strade che ormai conoscete a memoria.
Tenete a mente questo: la vita va avanti. Non nel senso dell’andare oltre le tragedie, ma proprio nel significato letterale della frase. La vita va avanti. La vita si muove in avanti. Il corpo può restare fermo quanto vuole, ma la forza che lo anima spinge e spingerà sempre in avanti. La vita si muove fisicamente in avanti, e nemmeno il corpo può fare troppo finta di niente, perché i capelli che cadono, le tette che scendono, tutto vi ricorda che anche se voi vi ostinate a restare fermi in cerca di una sicurezza che in realtà non arriva mai, la vostra vita si sta muovendo, come un cavallo imbizzarrito che ogni tanto va lasciato correre a perdifiato.
Non credo sia possibile restare fermi. C’è un’eternità intera, per farlo, una volta schiattati per bene. Nel frattempo credo che la vita debba seguire le rotte delle strade e dei binari, e perdersi in quelle scie bianche lasciate dagli aerei in cielo.
Detto tutto questo, non è lo stesso facile salutare, dirsi addio. Non va mai come nei film. Non ci sono frasi storiche da dire, sguardi che restano impressi, gesti marziali. Nella realtà c’è impaccio, imbarazzo, e molta molta tristezza che segna gli occhi e fa tremare la voce. Momenti in cui pensi che i marinai sono i veri santi sulla terra.
Avrei voluto dire molto di più, esprimere molto di più a tutti, ma la Morgana accende i motori e non c’è più tempo. Prendo le mie valigie e salgo sul treno, alla fine, chiedendomi se è stato lo stesso Dio a creare il mondo e le distanze.
Sollevo un’ultima volta la mano mentre fuori settembre è in ogni goccia di pioggia che finisce per rigare il finestrino. Mi metto comodo pensando solo di sfuggita alle prossime 6 ore di treno. In realtà sto pensando che il viaggio è cominciato e ancora mi aspetta l’addio più doloroso.
Alzo gli occhi e guardo le mie valigie. Adesso sono piene. Sono in movimento.
Era ora.
Marco