lunedì 27 febbraio 2017

Writers Hotel


quando ero giovane
immaginavo il palazzo
dove stavo
abitato da tutti gli
scrittori
che mi aiutavano a
vivere
facendomi dimenticare
della vita
-in una stanza sul
retro
John Fante si muoveva in circolo
furiosamente
disperatamente
sempre aspettando Camilla
da quel balcone ingombro di
carte appallottolate
-Pirandello metteva su il caffè
la mattina presto
poi si infilava in bagno
per evitare Saroyan &
il suo insulso chiacchierare
di favole & sole
-a Céline bisognava passarlo
da sotto la porta
solo le sue donne potevano
entrare
-Hemingway spuntava per
pranzo
portando pesci & storie
difficili da credere
-tutti a tavola
con Miller che chiedeva
prestiti alle pance piene
e sognava solo di fuggire
-nella stanza accanto Kerouac
e gli altri
tenevano la musica alta
e
riuscivano a far incazzare
tutti
essendo solo se stessi
-Bukowski si svegliava
solo dopo mezzogiorno
pieno doposbronza
qualche volta andava
da Čechov il dottore
che si faceva pagare
in storie
-i russi erano scorbutici
si ficcavano sempre nei guai
discutevano per ore
diventavano saggi per
pomeriggi interi
prima che Dostoevskij prendesse il cappotto logoro
per andare a donne &
roulette
-Baudelaire scriveva
lunghe lettere alla madre
quando faceva sera
e Kafka tornava stanco
affranto
io chiedevo –Ragazzi,
che si fa stasera?
tra tutti
Rimbaud era quello
con cui uscivo per discutere
ma a lui interessava solo
vivere
e te lo insegnava anche
coi suoi scarponi rotti
incrostati di fango
a nascondere
i suoi 16 anni
-la sera nell’hotel
diventava una notte
che non finiva mai
arrossata dal vino
riempita di urla e canti
temuta e scopata
rischiarata da tante
lampade accese
dita bevute & dolorose
a toccare quelle pagine
che io poi ritrovavo
la mattina dopo
e che mi permettevano
di
vivere.





Marco Zangari © 2017
www.marcozangari.it

martedì 7 febbraio 2017

Mai una gioia (o forse sì)

se non è la stanchezza
è la macchina che non parte

se non è la macchina
sono i casini con la tua donna

se non è la tua donna
è l’eccesso di lavoro
o la mancanza di lavoro
o il lavoro

se non è il lavoro
è l’otturazione ai denti
da rifare
o quella strana macchia
che ti devi ancora far
controllare

se non è la macchia
sono le telefonate
che devi ancora fare

se non sono le telefonate
è il mal di vivere
che provi a curare
quando tutto intorno è
notte

se non è il mal di vivere
sono mille pensieri quotidiani
come una nuvola spezzettata
in tanti piccoli, ostinati temporali
che finiscono sempre
per infradiciarti l’anima

se non sono i pensieri
è il tempo
è sempre il tempo

tutto questo
ti allontana
dal poterti sentire
come in quei pomeriggi pigri
d’inizio estate
col cielo colorato
i profumi dell’erba e
della terra
l’odore di altre cene
fuori dalla finestra
la luce che scende con
grazia
il sentirti vivo e protetto
come un’intima
segreta
banalissima felicità
che non sapresti spiegare
che cerchi da
sempre

scrivere
sa d’estate.


Marco Zangari © 2017