giovedì 7 agosto 2008

29 anni (secondo tempo)





Una volta ho scritto un racconto. Si chiamava “23 e 50”. Il messaggio di fondo era abbastanza chiaro: i compleanni mi sono sempre stati sulle palle. Come il Natale, Capodanno e la Pasqua, non ci ho mai trovato niente da festeggiare. È questa la parola magica: festeggiare. Cosa ci sarà mai da festeggiare in un giorno in cui diventa ufficiale il fatto che stai lentamente, inesorabilmente invecchiando?
In più, i numeretti rossi sul calendario non mi hanno mai ispirato. Quei giorni di divertimento stabilito, mi sembrano tutti una truffa.
Eppure, sarebbe ipocrita fare finta di niente. Il compleanno è un giorno con cui, ti piaccia o no, ci devi fare i conti. Non può mai scivolarti via indifferente, anche se vorresti. Non basta non organizzare feste, non andare fuori a cena, non fare niente e barricarti in casa fino alla mezzanotte successiva. Il compleanno è sempre lì, paziente e stronzo.
Ne avrei un bel po’ di storie sui compleanni, e quasi tutte diverse da quelle a cui di solito siete abituati. Ce ne sono stati anche un paio piacevoli, in mezzo alla massa. Gli altri, beh...
Qualcuno è così lontano nel tempo che fa quasi tenerezza. Altri, invece, fanno ancora male. Ce ne sono stati di folli (ma nel senso noioso del termine). Ce ne sono stati di dimenticati.
L’unica costante era lui, il Tempo. Sentirtelo passare addosso, con una leggera aria di minaccia. Rispondere alle sue domande insinuanti sul come sta andando, sul come te la stai cavando. Vederlo diventare di anno in anno un po’ meno paziente, e un po’ più arrabbiato.
E veloce. Fottutamente, inutilmente veloce.
Per questo la gente si ubriaca, ai suoi compleanni. Mica sta FESTEGGIANDO. No. Sta cercando di dimenticare. Sta cercando di non rispondere a quelle domande che si fa da sola una volta all’anno.
Di solito lo facevo anch’io. Non quest’anno. Non in questo strano giorno che di solito è afoso da morire e quest’anno invece indosso 3 strati di vestiti. Non mentre bevo una birra (il primo regalo di compleanno, la gente mi conosce) e guardo questo sole e questo cielo assurdi e bellissimi.
Non ho ancora tutte le risposte. Anzi, a essere sinceri, non ne ho nessuna. La differenza è che ora non ho paura di ammetterlo.
Non so dove sto andando, e non m’importa, fintanto che è un bel giro. E poi, in una vita dove un anno fa spegnevo le candeline a Orto Liuzzo e ora mi preparo per una cena alcolica a Sydney, non ha nemmeno molto senso, avere delle risposte ferme, fisse. Basta aspettarti l’inaspettato, avere le spalle larghe. Vedere il sole con la memoria di tutto quel buio.
Vivere con la santità di un doposbronza infinito.
È il 7 agosto e mi guardo indietro. È stata una lunga corsa. Bella, molto, in certi momenti. In altri, è stata più che altro una rincorsa. I muscoli che bruciavano, le energie ridotte allo zero. Ma si correva, si correva sempre. Anche in quei tratti in cui sembrava non esserci forza sufficiente nemmeno a camminare. A zoppicare.
Ci sono state delle soste, spesso forzate. Inutile recriminare. Non ero maledetto allora, e non sono benedetto adesso. Ho corso come un matto per quello che ho, e quello che ho è sempre qualcosa che può essermi tolta in qualsiasi momento. Quindi godersela, e prepararsi a sprint improvvisi.
La mia vita fino a qualche anno fa assomigliava al film “Blow”, parti strappalacrime comprese. Non è per fare il piagnone. Diciamo solo che sono capitate diverse mani storte, lì a quel tavolo. Così storte che veniva d’alzarsi e mandare tutto affanculo.
Ero stato fottuto dalle persone, dalle circostanze, dalla Fortuna, dalla Luna, da centinaia di cattive stagioni.
Io c’avevo messo il mio, ovviamente.
Come un imbecille, come l’ultimo degli illusi, ho continuato a crederci, da qualche parte. Ho continuato a correre. Ho continuato a giocare.
Proprio per questo sono qui a scrivere questo post, in un pomeriggio di sole di Sydney (guarda caso, dopo un temporale), con la birra ormai finita accanto, e con la pace fatta con questo Sette Agosto che mi perseguita da una vita. Mi tocco la barba, mi tocco il pacco. Le scarpe da corsa sono sempre lì. Il piatto è davanti.
Abbiamo avuto i nostri momenti. Abbiamo fatto ballare un po’ di gente, qui e lì.
29 anni.
Il viaggio è appena cominciato.
Al prossimo 7/8.

martedì 5 agosto 2008

"a carta s'annamura di fissa"


Io sono cresciuto a Lamezia Terme, per esattezza Neocastro.

Infatti, Lamezia Terme era una città che comprendeva tre frazioni di cui una, appunto, Neocastro.

Credo che Neocastro fosse la frazione, che dall’unione con le restanti due, avesse tratto minori benefici.

Di Neocastro ricordo due cose: la scuola elementare, e le bombe sotto casa.

A Neocastro la mafia c’era e si faceva pure sentire, la mafia non era “babba” e ti svegliava di notte (anche al quinto piano) perché qualcuno non aveva pagato il pizzo.

Ricordo che Messina, da piccolo , sembrava una grande metropoli che sorgeva sul mare.

Era infinita.

Ancora adesso, C’è un momento in cui, quando mi avvicino alla mia città, intravedo lo stretto e non posso resistere, devo osservarlo e mi sembra sempre la prima volta…

È come se questo pezzo di mare, questa “Falce” si fosse impressa dentro di me.

Lo stretto non riesce a stancarti poiché è semplicemente perfetto.

Ho sentito spesso parlare noi “immigrati” e il mare è ciò che più ci manca quando andiamo via, Lo stretto ci rende schiavi della sua bellezza.

Forse per questo le città di mare ci sembrano sempre più familiari.

È il nostro imprinting, il legame con questa terra, con i suoi sapori, con i suoi accenti e con suoi colori.

Non ha senso chiedersi se si è orgogliosi di essere Messinese.

Riconosco che questa è la mia terra e che in qualche modo le appartengo… è semplicemente un istinto, qualcosa che sento dentro.

Forse siamo l’ultima città d’Italia ma Qui io non mi sono mai sentito un ospite.

Penso che questo sia più che sufficiente.

Più esattamente , Quello che spesso provo verso Messina, è un senso di profonda frustrazione e rabbia: sento che questo posto dove siamo cresciuti (più VOI che io , visto che io sono cresciuto a Lamezia Terme) venga continuamente violentato e umiliato.


Quello che abbiamo qui è così tanto che mi fa incazzare vedere come sia andato sprecato: una città ferma nel tempo che non riesce ad impadronirsi di ciò che le appartiene.

A questo punto, Molti se la prendono coi Messinesi, come se sia responsabilità VOSTRA (e non MIA, dato che io sono cresciuto a Lamezia Terme) avere distrutto un patrimonio inestimabile di bellezze.

I Messinesi sono perditempo, stupidi, con la pancia grossa , eiaculatori precoci e buddaci.

Nessuno riesce a spiegarmi “Cosa” avrebbero dovuto fare esattamente i Messinesi, nel concreto, per potere avere oggi , una città che non fosse quello che è…

La verità è che Messina, paga il suo essere città del Sud, il suo essere città Siciliana.

Messina è stata distrutta… noi siamo stati feriti e continuiamo ad esserlo…

I Borbone non hanno mai lasciato questa terra e noi continuiamo ad essere luogo di conquista ...

Come noi continuiamo ad essere cittadini di serie B…

Sento che niente potrà mai cambiare questo e forse il futuro prossimo di Messina sarà il giusto epilogo per una città che ha sofferto troppo e che probabilmente non sarebbe mai dovuta rinascere… sepolta sotto un ponte, ultimo simbolo di una Roma mafiosa, che non vedrà mai la fine...

Mi rende triste vedere la mia terra ridotta in questo stato di coma indotto… Ma non vivo questo con distacco,non provo rancore per Messina, il dolore di questa Città è il mio dolore…

Scusatemi allora se mi incanto a guardare lo stretto e se anche oggi, con la valigia in mano, penso alle cose che ancora non ci hanno tolto, alla voglia di trovare un senso e mi convinco che la nostra terra, così sfortunata, sia creditrice di un miracolo…

domenica 3 agosto 2008

A Messina


Io vengo da Messina. Dato anagrafico incontestabile. Una delle poche certezze. Chi mi conosce pensa che io odio Messina. Non è vero. O meglio, non del tutto.
Coloro che, tra quelli che stanno leggendo, vengono da un piccolo paese sanno a cosa mi sto riferendo. Quella specie di odio/amore, quella lotta continua che non ti lascia mai indifferente –perchè quelle stradine, quei muretti, quelle panchine, perfino quei muri ti dicono qualcosa. Te la diranno sempre, anche se non vuoi sentirla.
Odiare Messina è fin troppo facile. Di questi tempi è come odiare Berlusconi, con tutto il rispetto –per Messina, ovviamente.io l’ho odiata, di cuore. Quando ero ragazzo e vivevo lì, non mi sembrava ci fosse bucodiculo peggiore nel mondo. Poi ho fatto la visita militare a Taranto, e ho capito che c’è di peggio. Lo stesso, arrivare al n.2 non è che ti fa stappare lo spumante. Partire, era tutto quello che volevo.
Tutti pronti a dire che da ragazzi è normali, ribellarsi al posto dove stai. Tutti ce l’hanno. Sicuramente stavo crescendo anch’io, ma non voglio far andare via Messina con la coscienza troppo pulita per questo. Ha avuto le sue colpe, e non le dimentico. Messina sa essere una città stronza, spietata, piccola, fredda. Certo, ma se la metti con Milano, con Roma, con New York...io sono cresciuto lì. Era Messina quella che doveva fare qualcosa per me, non Milano Roma New York.
Ci siamo lasciati male, io e Messina. Anche a distanza, ci stavamo sulle palle –reciprocamente, direi. Andare lì era una forzatura. Vivere fuori aveva tirato fuori –come sempre succede- la mia sicilianità, ma questa svaniva proprio quando ero lì. Facile, quando sei a Roma, tirare fuori la passeggiata il mare i colli i tramonti lo stretto. Quando sei lì, e rivedi tutto e tutti, ti deprimi così tanto che ripartiresti subito.
Perchè? Perchè Messina è quella lì. Non quella dei depliant, non quella delle foto. Non sei un turista, tu. Per te Messina non è la pesca del pescespada, o la Vara. Per te Messina era la tua scuola, i tuoi amici, la tua famiglia. Era tutto ciò che andava bene e andava male nella tua vita. E quando andava male, dello Stretto te ne sbattevi proprio. Fidatevi.
Adesso però non la odio più, Messina. È passato tanto tempo, e odiare necessita di troppe energie che mi servono per molto altro. Non saremo mai amici, questo è sicuro, ma una birra ogni tanto possiamo bercela.
Parlavo con un mio amico, l’altra sera. Mi diceva che era andato al mare, in uno dei lidi, una sera, e che senza fare niente di particolare, solo stando lì, si sentiva bene. Stava bene. Ubriaco senz’aver bevuto.
Gli ho detto che capivo. Era vero. La conoscevo quella sensazione. Messina è una vecchia baldracca capace ancora di stupirti. Te ne stai sulla spiaggia sotto le stelle, e qualcosa succede. Semplicemente, la vita ti passa addosso. Realizzi che quello è un posto da 5 stelle, nel quale vivere. Ti dimentichi di tutti i suoi omicidi. È una sensazione bellissima. Ti senti leggero. L’aria ha un odore tutto suo, la sabbia si fa morbida, il cielo sembra aprirsi solo per te.
Gli altri giorni non va così. Ma capita.
Ogni tanto, ma capita.

Messina santa, Messina puttana
Messina sporca col vestito da sera
Messina occhi puliti, Messina sana
Messina che non ha mai avuto la cura
Messina terremoto, Messina sotto le bombe
Messina che risorge e Messina che si scorda
Messina che se ne fotte, che se n’è sempre fottuta
Messina da mercato e da stadio, Messina sola
Messina due ristoranti e poi tutto chiuso
Messina questo non lo saluto, questo nemmeno
Messina cosa siamo usciti a fare
Messina com la faccia voltata dall’altra parte
Messina baracche, Messina sporcizia, Messina ponte
Messina sotto processo, Messina vuota
Messina senz’acqua, Messina senza vita
Messina che vorrebbe ma è troppo pigra
Messina laida, Messina da libro di storia
Messina traffico all’una, Messina uscita di scuola
Messina di birra, Messina a festa
Messina con case che sono sempre le stesse
Messina in rovina, Messina in ritardo
Messina con traghetti lenti, Messina che riposa
Messina cimitero, Messina tragica
Messina che è solo un ricordo nelle sere di agosto
Messina che non muore, Messina in coma profondo
Messina passeggiata al mare e topi sullo scoglio
Messina due discoteche per tutta l’estate
Messina cornetto di notte, Messina con la merda nel mare
Messina avvelenata, Messina mafiosa
Messina io quello lo conosco, io conosco quello
Messina università piene di raccomandati, Messina coi malati
Che sono rimandati
Messina vergine infelice, Messina troia sfondata
Messina piena di chiese e senza nessun fedele
Messina una festa all’anno e per il resto stai sul balcone
Messina parcheggiata in doppia fila
Messina abusiva, Messina di tajone, Messina di canti
Messina popolare
Messina che non esiste, che non è mai esistita
Messina che sbiadisce nelle foto e nei ricordi
Messina ragazzi in strada, Messina dialetto, Messina dei preti
Messina ragazze culo grosso
Messina zalla, Messina vestita di calia
Messina che dorme, Messina che russa
Messina cafona, rumorosa, che puzza
Messina chimera
Non voluta, non cercata
Ma c’è
Ancora