lunedì 24 dicembre 2012

Caro Babbo Natale...

Caro Babbo Natale,
ho tanti buoni propositi per l'anno nuovo.
Il desiderio di condivisione in questi ultimi mesi è cresciuto a dismisura. Vorrei alzarmi la mattina e fare il caffè anche e soprattuto per lui. Vorrei tornare a casa la sera dal lavoro e vedere il film che vuole vedere lui, dopo una rapida carrellata di canali, vorrei controllare che le sue piante in balcone stiano bene e sentire odore di buono, dopo aver sistemato la cucina.
Ma per fare questo, al di là di qualsiasi problema logistico, dovrò contribuire alle spese che dal prossimo mese aumenteranno dell'1% per l'aumento dell'IVA.
Per provvedere ai consumi e alle spese di manutezione della casa, oltre che alle spese del vitto, dovrò contare sul mio stipendio. Ed è qui, caro Babbo Natale, che vorrei mi ascoltassi e comprendessi ciò che intendo dire.
Del mio stipendio non dovrò tener conto del 28,72%, perchè andranno in mano agli strozzini (ovvero alla Gestione Separata dell'INPS). Dovrò mettere da parte anche il 5% di ciò che rimane per l'aliquota IRPEF (e ringraziamo il cielo che sono nel regime dei superminimi!), ovvero circa il 3,5% dello stipendio. La cifra netta che sarà propriamente spendibile sarà ulteriormente ridotta di circa il 10% a causa delle spese del carburante che dovrò acquistare per poter raggiungere il luogo di lavoro. Non ti parlo delle spese di manutezione dell'auto, che, a differenza della tua splendida ed economicissima slitta, comportano ogni anno il pagamento di bollo, assicurazione, acquisto olio più eventuali pezzi di ricambio.
Una cifra pari a circa il 7% dello stipendio se ne andrà semplicemente per pranzare sul luogo di lavoro.
Riassumendo, la somma di tutte queste spese (28,72%+3,50+10%+7%=49,22%) dimezzerà sostanzialmente le mie entrate.
Caro Babbo Natale, scusami se parlo in percentuali ma, senza dirti quanto incasso ogni mese, vorrei che sapessi che il 50% di quello che ottengo dal lavoro se ne va per il lavoro. E di anno in anno, questa cifra sarà destinata ad aumentare almeno dell'1% annuo, a causa dell'aumento dei contributi previdenziali obbligatori da versare alla Gestione Separata dell'INPS.
Per questo, carissimo, ti scrivo: per chiederti di rendere questi semplici cittadini italiani un po' più liberi.
In alternativa, se proprio non ce la dovessi fare, fa che almeno questo desiderio collettivo si tramuti in un migliore cambiamento a livello personale.
Vorrei ottenere la residenza, volendo, in un altro Paese caldo, per non dover versare i contributi a vuoto, già sapendo che di tutti questi soldi non rivedrò neanche un centesimo, per pagare l'IVA sui prodotti a una cifra ragionevole e risparmiare sulle spese dei trasporti. Vuoi un esempio? Eventualmente l'Ecuador (dove l'IVA si paga solo al 12%).
Grazie.

Tua fedelissima Clelia

domenica 16 dicembre 2012

Le domeniche mattina uccidono piu' uomini delle bombe, ma non sempre


Oggi è una di quelle mattine, e visto quanto sono rare, mi va di schiaffarvelo qui.
Una di quelle mattine buone, in cui ti svegli di buonumore o quasi. Non so voi, ma io con le mattine non ci sono mai andato troppo d’accordo. Il momento di alzarmi dal letto è sempre stato traumatizzante.
Un tempo non ero per niente quello che in inglese viene definito “morning person”. La mia convivenza con Mauro a Roma andava bene anche perchè lui sapeva bene che, per le prime 3 ore dal mio risveglio, non mi avrebbe dovuto rivolgere la parola. Non so di preciso perchè. Sarà stata la delusione di lasciare quel posticino che mi ero ritagliato per tutta la notte, fatto di sogni ed erezioni improvvise, e adesso non mi andava di lasciarlo. Sarà che, per un insonne come me, svegliarsi prima di mezzogiorno è sempre una sconfitta. Sarà che sentivo sulla mia testa gli scherzi degli dei, sentivo il mondo bussare con appuntamenti scadenze e cose da fare, sentivo la vicina cantare mentre io avevo le palle girate.
Qualsiasi cosa fosse, svegliarsi era un atto pieno di quotidiano orrore. Dal momento che ero felicemente disoccupato, ritardavo quel momento il più possibile –appendici erotiche o semplicemente cazzeggianti per posticipare il ritorno nel mondo di qua.
Ero sicuro che troppe mattine storte ti potessero fregare più delle notti sbagliate. Quei risvegli con quel sapore in bocca, la testa che gira, la confusione, il ricordo delle stronzate fatte. Preoccupazioni e scadenze che ti sbocciano nella mente ancora annebbiata dal sonno come fiori neri e grigi. Accendevi la televisione e le brutte notizie bussavano alla tua porta. Le bollette aspettavano sul tavolo. La stanza doveva essere pulita da un po’. Niente, l’unica speranza era allungare una mano verso le parti basse e provare a sognare un altro po’.

Adesso non sono più così incazzato da sveglio, anche se il mondo continua a prendermi alla sprovvista. Da insonne, poi, non c’è mai un’ora giusta per svegliarti –ti sembra sempre sia rimasto qualcosa in sospeso. Ti sembra un’altra delle tue cose lasciate a metà. Nel caso ti fossi dimenticato, in quel pugno di ore notturne, chi sei.
Apro gli occhi, trovo i libri sul comodino come compagni di sbronze che la mattina dopo sono confusi e pieni di strani ricordi. Trovo lei che dorme, e la luce che entra storta dalla finestra, ospite invadente. La mente subito piena di cose da fare, orari, senza neanche lasciarmi il tempo di pensare che, in qualche strano modo, sono ancora vivo, sono in Australia, sono qui che posso lamentarmi delle mattine storte e proprio per questo sono fortunato, cazzo se lo sono. Ma sentirsi fortunati la mattina non è per tutti.

Stamattina è stato diverso, e la cosa bella è che lo è stata senza un motivo ben preciso.
Ho dormito fino a mezzogiorno, che per un insonne è come uscire controvoglia di sabato sera e tornare a casa con la ragazza più bella della festa. Mi sono rigirato sul letto, stupito dell’essere vivo e lì. Ho acceso il cellulare e ho trovato messaggi di amici, alcuni dall’altra parte del mondo –un messaggio molto bello dalla Svizzera, che mi fa sorridere. Sorridere la mattina appena svegli non è per tutti.
Pipì, caffè. Fuori la giornata era calda ma così così, e almeno non dovevo sentirmi in colpa per aver saltato tutta la mattina. Non avevo doposbronza gloriosi, non avevo troppi conti in sospeso, non avevo scadenze. Non avevo catene in più di quelle che mi metto da solo.

Allora prendo il caffè, accendo il computer e vengo qui, alla mia solita finestra sul giardino. Guardo fuori, pensando a tutto e a niente. L’anima, qualunque cosa sia, non mi sembra del tutto persa in questo momento. Conosco della gente mica male. Ho 33 anni, e nel senso buono. Ho qualcosa di buono da cucinare, ho la solita erezione che mi dà il buongiorno, ho la calma tipica dei folli. Ho una mattina di quelle che potresti leggere “Big Sur” di Kerouac su un prato tutto d’un fiato e poi lavarlo via con qualcosa di John Fante e farci una bella risata sopra.
Ho qualcosa da dire, allora scrivo una poesia veloce e poi vengo qui per dirvi queste due stronzate. Non so qual’era il punto di tutto questo discorso, o quanto ve ne sia fregato. Le vostre mattine non saranno così complicate, lo so.
Ma era per farvi sapere che, adesso come adesso, sto bene, che sto sorridendo mentre ascolto della musica che ci sta. Che vi penso, e che mi penso.
Il titolo di una poesia di Bukowski era “Le domeniche mattina uccidono più uomini delle bombe”. Il che a volte è vero.
Ma a volte no.
Buongiorno a tutti.


domenica 9 dicembre 2012

Indian Ocean


In aereo abbiamo inseguito il tramonto per ore, arraffando tutti i raggi di sole possibili contemporaneamente alle birre offerte da hostess con divise come piagiami fuorimoda.
Il sole ha finito per cedere proprio quando ci stavamo avvicinando a Perth dopo 4 ore di volo. Il panorama era costellato di foreste precise e ben delimitate come pezzi di Tetris, e dalle famose miniere. Tutto sembra apparire all’improvviso nella vastità di questa terra della quale non si vede mai la fine, e perfino l’oceano sembra diventare un tutt’uno con le infinite lande desolate dell’interno, percorse solo da strade sterrate incredibilmente lunghe che sembrano state create dalla terra stessa, come se nessun uomo abbia mai potuto mettere piede su quel suolo.

Prime impressioni: Perth sembra pulita, piena di colori per il Natale, un po’ europea nello stile. Una minuscola Manhattan degli antipodi, dove si costruisce giorno e notte, coppie eleganti fanno il giro dei locali e una luna grassa se ne sta appollaiata tra grattacieli e case coloniali.

Il sole sembra metterci una vita, a Perth (anzi, precisamente a Scarborough, località di mare appena fuori dalla città), prima di inabissarsi nell’Oceano Indiano. Come se non volesse cedere alla notte, o come a voler illuminare ogni singolo angolo di questo panorama tranquillo fatto di gente al mare, auto che girano in tondo senza fretta, locali anni ’80 (flipper inclusi) e qualche bicicletta.
Questo paesino sembra dire: sì, lo sappiamo che siamo un posto turistico ma non ce ne frega niente, fate quello che dovete fare. Lo vedi nel tramonto sul mare, spacciato per una novità strabiliante, l’evento che manderà in orgasmo centinaia di macchinette fotografiche tutte uguali (e anche le foto saranno tutte uguali) –ma per la gente di qui è abitudine, come le stelle la notte che non le guardi mai, tanto lo sai già che sono lì.

E il mare, questo mare così blu, così falsamente calmo che ti inganna fino a pochi metri dalla riva –una distesa pacifica quasi verde, sotto la quale si agitano squali e altri mostri della nostra infanzia.
L’orizzonte, soprattutto, ti confonde e crea spaesamento –più che a Sydney, perchè lì l’immagine ha (quasi sempre) un limite, una costa, una rientranza, qualcosa.
Dalla mia stanza d’albergo affacciata sul mare vedo l’isola di Rottnest, che mi dà un inatteso punto di riferimento. L’isola è qualcosa che posso capire, è nel mio DNA –ma quelle vastità che si aprono dietro l’isola?
Andando sempre dritto non incontreresti niente per migliaia di chilometri –MIGLIAIA- supereresti perfino l’India senza mai nemmeno vederla (a dispetto del nome dell’oceano) e le prime coste che vedresti sarebbero quelle africane.
L’Africa –e in mezzo il niente.
Quel “mare aperto” di cui hai sempre sentito, e che fatichi ad immaginare –come se, sotto, in quegli abissi, si nascondessero piovre giganti e oscurità alla Jules Verne. Come se, sopra, pirati e correnti potessero decidere ancora della tua vita come secoli fa.
Questo oceano che mi fa subito pensare allo scrittore Joseph Conrad, che intingeva il suo pennino nell’acqua di mare –“Cuore di tenebra”, ma soprattutto “La linea d’ombra”. Conrad che aveva dovuto viaggiare e sentire queste acque, avvertirne fascini e pericoli, dolcezza e omicidi, per poi riportarle sulla carta e ricordare a noi come il mare ha, per i problemi degli uomini, una sola soluzione, e definitiva.
Questo oceano che ti spoglia, e ti lascia nudo e vivo, solido e confuso come isole nella corrente.