domenica 31 gennaio 2010

DOVEROSAMENTE VOSTRO

PERDONATE, OSPITI DELL'HOTEL PIU' BELLO DEL MONDO.
PERDONATEMI MA STO PIANGENDO DA DIVERSI MINUTI E MI SENTO COME SE AVESSERO UCCISO LA PERSONA PIU' IMPORTANTE DEL MONDO. INTERROMPO DOVEROSAMENTE I NOSTRI POST SULL'AMORE, SUI VIAGGI. FACCIO UNA PAUSA, NON POSSO FARE DIVERSAMENTE. ME LO IMPONGONO QUESTE LACRIME.
PRENDIAMO ESEMPIO. SFORZIAMOCI AFFINCHE' DA OGGI, DA QUI, DA QUESTO STESSO HOTEL, I NOSTRI CUORI SIANO SEMPRE PURI, E FORTI.
UNITI.



--------------------------

Giuseppe Gatì: un ragazzo libero

di Salvatore Borsellino - 31 gennaio 2009

Mi ha telefonato un minuto fa Sonia Alfano, con la voce rotta, mi ha detto che è morto Giuseppe Gatì, un ragazzo libero, un ragazzo coraggioso, un ragazzo che qualche settimana fa aveva contestato Vittorio Sgarbi presso la biblioteca comunale di Agrigento.


Quello che successe allora ve lo faccio raccontare da lui stesso.



Con alcuni amici l’altro giorno mi sono recato presso la biblioteca comunale di Agrigento per contestare con volantini e videocamera Vittorio Sgarbi. Ci siamo soffermati su due punti in particolare: la condanna in via definitiva per truffa aggravata ai danni dello stato, e quella in primo e secondo grado, poi andata prescritta, per diffamazione del giudice Caselli. Dopo quasi due ore di ritardo ecco che arriva, in sala la gente rumoreggia e fischia. Subito dopo aver preso la parola, naturalmente con qualche volgarità annessa, inizia la nostra contestazione. Nel video non si vedono o sentono certe cose. Sono stato subito preso e spintonato da un vigile, mentre qualcuno tra la folla mi rifilava calci e insulti. Sgarbi, prima chiedeva che venisse sottratta la videcamera alla mia amica, e dopo cercava lui stesso di impossessarsene.
Ma è importante sapere cosa succede dopo. I miei amici vanno via perchè impauriti, mentre io vengo trattenuto dai vigili. Si avvicina un uomo in borghese, che dice di appartenere alle forze dell’ordine e cerca di perquisirmi perchè vuole la videocamera (che ha portato via la mia amica). Io dico che non puo’ farlo e lui mi minaccia e mi mette le mani addosso. Arriva un altro personaggio, e minaccia di farmela pagare, ma i vigili lotengono lontano. Dopo vengo preso e portato in una sala appartata della biblioteca, dove la polizia prende i miei documenti e il telefonino. Chiedo di vedere un avvocato (ce n’era addirittura uno in sala che voleva difendermi), per conoscere i miei diritti, ma mi rispondono di no. Mi identificano piu volte e mi perquisiscono. Poi mi intimano di chiamare i miei amici, per farsi consegnare la videocamera, ma io mi rifiuto. Arriva di nuovo il presunto appartenente alle forze dell’ordine in borghese e mi dice sottovoce che lui dirà di esser stato aggredito e minacciato da me. Non mi fanno parlare, non mi posso difendere. Dopo oltre un’ora e mezza mi dicono che non ci sono elementi per essere trattenuto ulteriormente, mi fanno fermare il verbale di perquisizione e mi congedano con una frase che non posso dimenticare: “Devi capire che ti sei messo contro Sgarbi, che è stato onorevole e ministro…”.

Quando mi ha telefonato Sonia stavo lavorando al computer. Come 17 anni fa, quando mi chiamò mia moglie e mi disse che stavano dicendo alla televisione che c'era stato un attentato a Palermo, in Via D'Amelio. Ho provato una sensazione troppo simile a quella di allora.
Si, lo so, è una cosa diversa, allora era stato una attentato, un attentato che aveva provocato una strage. Questa volta dicono che è stato un filo scoperto, un filo sul quale sembra che Giuseppe abbia camminato mentre lavorava vicino a un silos pieno di latte. L'autopsia dirà se le cose sono andate come si legge in questo momento nelle prime notizie di agenzia.
Ma io sento un nodo alla gola che non si scioglie. E' morto un ragazzo coraggioso, un ragazzo libero, un ragazzo che aveva il coraggio delle sue idee e le gridava in faccia senza timore anche ad un pregiudicato travestito da sindaco e protetto dalla forza pubblica e dai suoi amici, che hanno preso quel ragazzo a calci e pugni,
Questa è la legalità ad Agrigento, essere forti con i deboli e deboli con i forti. ma questo ragazzo non era debole, era più forte di tutti noi, era una ragazzo che aveva il coraggio di fare quello che tutti noi doveremmo fare. Non assistere in silenzio a quello che sta accadendo in Italia, allo scempio della nostra Costituzione, all'assassinio senza spargimeto di sangue di magistrati, alla distruzione della nostra democrezia, ma gridare dovunque la nostra protesta, la nostra rabbia, la nostra voglia di Giustizia.
Adesso Giuseppe, grideremo anche per te, te lo promettiamo, e la nostra rabbia diventerà più forte, più forte di tutto, non riusciranno più a fermarci.

Tratto da: 19luglio1992.com



VITTORIO SGARBI CONTESTATO IN UNA BIBLIOTECA DI AGRIGENTO (video YouTube)

ARTICOLI CORRELATI:

Incidente sul lavoro nell'Agrigentino, ragazzo muore folgorato in caseificio

31 gennaio 2009

Agrigento - Un ragazzo di 24 anni, Giuseppe Gatì, è morto questo pomeriggio a Campobello di Licata, in provincia di Agrigento, dopo essere stato folgorato da una scarica elettrica. L'incidente è avvenuto nel caseificio di proprietà del padre della vittima, coordinatore cittadino del Pd. Il ragazzo, che lavorava con il padre, non si è accorto che c'era un filo scoperto, inavvertitamente l'ha toccato ed è morto folgorato. I carabinieri hanno aperto un'inchiesta. Nelle settimane scorse Giuseppe Gatì si era reso protagonista di una accesa contestazione al sindaco di Salemi, Vittorio Sgarbi durante la presentazione dell'ultimo libro del critico d'arte ad Agrigento.

Tratto da: la Repubblica

venerdì 29 gennaio 2010

BRINDISI

Ai corsi di html di base fatti al volo in una settimana.

Ai gesti pazzi.

Alla fede, per qualunque cosa essa sia.

Ai valori, che danno valore alla vita.

Agli amori che svaniscono, e a quelli che all'improvviso ti prendono e non ti lasciano più.

Agli amici che restano, anche quando tira bufera.

Alle parole non dette e alle dichiarazioni ufficiali.

Al coraggio di parlare o di tacere.

Alla vita, che in fondo è stupenda.

Alla morte, che rende la vita stupenda.

A te.

lunedì 25 gennaio 2010

Oggi decido io

Oggi decido di prendere le mie poche cose e di partire per un viaggio.

Il mio viaggio comincia dal mare e arriva non so dove. Solo i matti partono senza sapere dove andare.

La mente dell’uomo è come l’abisso del mare..

Stavamo lì seduti ad osservare la superficie di quella distesa infinita di acqua salata, senza pensare che proprio lì, sotto le onde, c’era un altro mondo che i nostri occhi non riuscivano a vedere. Un mondo che può spaventare e affascinare come una terra inesplorata, con le sue meraviglie e le sue insidie.

Così siamo noi. Come questo mare, immenso e profondo. Così calmo in superficie, ma sotto..giù dove nessuno vede, dove neanche noi arriviamo, giù dove le ferite non si rimarginano, nessuno sa cosa si nasconde.

E per questo oggi parto. Vado alla ricerca del mio immenso per leccare le mie ferite e quelle del mondo.

Mi immergo sotto la superficie delle cose alla scoperta di me.

Parto per quel viaggio che fanno solo gli eroi.

Un viaggio verso dentro, che tutti dovrebbero, ma pochi lo si fa..per coraggio, per caso o solo per pura follia.

Parto per quel viaggio per cui molti decidono di restare a casa ancor prima di fare i bagagli. Ed è normale. Non puoi mica biasimarli. Hanno chiuso la valigia in fondo ad un armadio insieme ai loro sogni ed hanno continuato a leggere distratti il giornale a casa in poltrona, mentre ogni santa mattina vendevano l’anima a un padrone. E lo hanno fatto di certo per il bene di qualcuno, o al massimo per salvarsi la pelle. Non puoi chiamarli perdenti, non sarebbe giusto. Loro ogni giorno portano a casa pane e insoddisfazione.Ma è pur sempre roba da inghiottire. E in questi tempi di crisi si butta giù tutto, anche i bocconi amari.

Il pazzo sei tu che hai sete di sapere invece che calli sulle dita, che non hai paura di sfidare la sorte, ma non hai voglia di lavorare. Sei pazzo perchè pur di non vederti morire seduto su quella poltrona, sei pronto a camminare a braccetto col tuo peggior nemico, te stesso.

Ed eccomi qui, pronto per partire. Destinazione sconosciuta perché l’animo umano non ha confini. Biglietto troppo caro per pagarlo tutto davvero.

Porterò con me un coltello per sfidare i miei demoni e una torcia per farmi luce nei momenti buii. Se tornerò sarò salvo, se non tornerò dì ai miei nemici che li attendo alle porte dell’inferno.

Bisogna perdersi un po’ per potersi trovare. Ed io riporrò l’orologio nel cassetto, getterò via il cellulare, perderò ogni punto di riferimento conosciuto, e aprirò gli occhi solo nella notte più nera.

Cerco me stesso da quando sono nato. E a volte penso di essere tutto qui, in questo cercare, dentro e fuori, ma sempre in un luogo preciso, come un sasso sul bagnasciuga di una spiaggia cubana. Altre volte mi sento in nessun posto, avanti e indiero, egualmente in luogo preciso, come un pensiero folle nella testa.

Questo cercare mi da la forza di respirare e vorrei sapere cosa voglio quando me lo chiedono e non perdermi dentro ai miei vorrei come sto facendo adesso.

Per questo devo partire, e non ti chiedo di perdonami se non puoi, ma almeno comprendimi.

L’isitinto più forte che si è sviluppato in me è questa ricerca smaniosa, infinita, costante del mio senso nel mondo. Più forte dell’attaccamento verso chi ti ha concepito, più pressante della fame, più asfissiante dell’arsura della sete. E’ un bisogno fisiologico, un’ urgenza. E’ la mia necessità.

Forse ti scriverò, ma nn è una promessa la mia.

E’ un lavoro molto delicato quello in cui sto per tuffarmi a capofitto, che mi sottrarrà energie vitali. Guardami bene, perché domani potresti non riconoscermi più.

Tratterò il respiro ancora un attimo e poi mi getterò tra le onde di questo mare, in una gimcana tra ferite e respiri, movimenti e pensieri.

Non è cosa da principianti guardarsi dentro e mettersi a tu per tu con la vergogna, il desiderio,la paura e la voglia di fare a pugni col mondo. Ma io è da una vita che mi alleno a questo momento ed oggi è il grande giorno.

Bevo il mio ultimo goccio di caffè e mi chiudo la porta alle spalle. Addio.

Mi perderò nel mondo, in me.

Oggi ho deciso di partire non per un viaggio, ma per il viaggio e so già che non ritornerò.

domenica 24 gennaio 2010

Where I'm calling from

Premetto che questa è la prima e probabilmente ultima recensione che mi accingo a scrivere. Non credo molto nelle mie capacità, parlando di un libro, di sedurre chi non l'ha letto e di esaurire le aspettative di chi invece l'ha già fatto.
Questa non è una recensione classica. Non farò il sostenuto e non userò (credo) paroloni.

Inizierò dunque col parlare del libro che ho letto. Non del suo contenuto, che è comune a tutte le copie della tiratura e quindi a chiunque ne prenda in mano un esemplare, ma del preciso e unico esemplare che è arrivato tra le mie mani. Quello che ho preso, quello che ho letto e sfogliato, è un libro che è speciale già in partenza. Un libro che ho sempre sospettato, sin da quando ne sentii parlare e anche mentre sfogliavo le prime pagine, mi avrebbe cambiato.

Era a casa di una ragazza con cui sono stato. Lo trovai in mezzo ad altri libri su una mensola della sua camera. Mi colpì il suo ingombro (quasi seicento pagine). Era in verticale, naturalmente, e il nome dell'autore lì per lì non mi disse nulla. Poi però lo afferrai e rimasi conquistato dal blu e dal disegno della copertina. "Carver...Carver...ma certo!", mi dissi. Un mio amico mi aveva parlato di lui. Secondo il mio amico era uno scrittore che rappresentava un ideale punto di riferimento per la narrativa breve. Per i racconti, insomma. Per me, che ogni tanto ne scrivo uno, doveva probabilmente essere una tappa obbligata per imparare qualcosa. La proprietaria mi disse che potevo prenderlo, che comunque a lei non era piaciuto poi tanto. E io lo presi.
E dico subito che è strano, leggere un libro che è stato letto da una ragazza che è stata la tua ragazza. Una ragazza con cui le cose sono velocemente precipitate e alla quale ancora adesso, comunque, voglio molto bene. Non c'è solo il suo nome, scritto dentro al libro, ma ci sono anche i suoi segni. Ha sottolineato a matita delle espressioni, forse quelle che più le sono piaciute o che l'hanno fatta riflettere. Forse quelle frasi cerchiate sono quelle in cui si è più ritrovata. E io lì a leggere e a pensare a lei, a cosa avesse pensato mentre l'aveva letto lei.

Veniamo al libro inteso come opera, adesso.
Secondo me è una grande opera. Una raccolta ben varia e potente, innanzitutto. Ci sono decine di racconti, scritti molto molto bene. Lo stile è veloce, le frasi sono brevi e spesso colgono nel segno. Nei racconti di Carver c'è molto di più di quel poco che molti lo accusano di scrivere. Ci sono le paure, ci sono le emozioni, ci sono le tragedie e le gioie, ma sono quelle della vita reale. Non quelle finte ed esasperate che siamo abituati a vedere sullo schermo. Non c'è nulla di cinematografico in Carver, da questo punto di vista. Ed è una fortuna. Specie in tempi dove tutto ciò che è molle e falso, artificioso, non passa solo in tv nelle fiction ma anche sulla più nobile carta. Non c'è nulla di questo schifo, in Carver. Nulla che pretenda di essere e dare di più di quello a cui realmente serve. Ammesso che serva. Perché in fondo nella vita reale, quella di tutti i giorni, le cose vanno così e accadono spesso senza motivo, a volte persino senza significato. Non siamo dentro a una fiaba Disney, nessuno piange per un'unghia rotta o per un giocattolo rubato. Se lo fa, comunque può passare per stupido.

Oggi ho sentito improvvisamente il bisogno di sapere qualcosa sulla vita di Carver. Il MINIMALISTA, come molti lo appellano. "Minimalista un cazzo", dico io. C'è tutto, nei suoi racconti. Se manca qualcosa, è perché forse non è necessario. Specie all'inizio della lettura, quando non ero entrato ancora nello spirito giusto, sono rimasto a volte sorpreso da come il racconto di colpo si tronchi. Stop, taglio netto. Finale e sotto con un altro. Ci sono rimasto un po' male, all'inizio. Non capivo che poteva starci tutto. Certo. Prendete una foto. Non cominciate ad immaginare che questa foto porti l'anteprima di quelle future o qualche macchia di quelle passate. C'è da uscire fuori, dal meccanismo della cinepresa. E' solo una foto. Una foto sola.
Ci sono due persone che si dividono un bambino. Ognuna tira il piccolo per un braccio, e dalla foto pare che un braccio sia teso e l'altro no. Come si fosse strappato e chi tirava dalla sua parte avesse mollato la presa. Perché quei due litigavano? Quali erano stati i loro primi amori? Si erano mai amati, quei due? Questo nella foto non c'è. E' una foto, non un filmato. Non possiamo mandarlo indietro e conoscere tutta la loro storia. Non possiamo mandarlo avanti e vedere se seguiranno altre tragedie. Stop, taglio netto. La foto è quella. Punto.

La sensazione che ho avuto leggendo i racconti è quella di una limonata in una giornata estiva. Mettiamo che un uomo sia per strada, che abbia la gola molto secca e che trovi un chiosco che vende limonata fresca. Razionalmente è chiaro che un bel bicchiere basterà, a reidratare il corpo. A far passare la sete. Così quell'uomo prende il bel bicchiere fresco. Ora, succede che la limonata è così fresca e così buona che, se anche l'uomo volesse farla durare un po', non ce la fa. La tracanna tutta d'un fiato giù per la gola e restituisce il bicchiere vuoto. Era buona, fresca, ma in un certo senso non se l'è gustata per niente. Sente come un qualcosa di incompiuto, quell'uomo accaldato. Cosa può fare, allora, se non prenderne un altro bicchiere? Questo è l'effetto che ho avuto. Di volerne ancora, di volere un altro racconto. Così, d'istinto.

Quali sono le tematiche? Mi viene da sorridere.
C'è la pesca, in DA DOVE STO CHIAMANDO. C'è la provincia statunitense divisa tra fanciullezza ingenua e maturità consumata e fallita. C'è l'alcol, Dio quanto ce n'è. Ci sono coppie, tantissime coppie. Coppie che litigano, che si separano, che si sentono ancora dopo essersi separate e che si soccorrono. Coppie che vorrebbero qualcosa di più di quello che hanno, ma che in fondo hanno pur sempre una storia da raccontare. Ci sono padri e figli. Figli che vorrebbero essere come i propri padri e padri che si ritrovano ad essere come i propri figli. C'è la nostra vita, quella che viviamo tutti. Niente di più, niente di meno.

Insomma è evidente che mi sia piaciuto. Spero che chi lo leggerà lo trovi bello quanto l'ho trovato io.
E c'è da tenere presente che non sono un fan delle mezze parole, non sono uno che bada solo ai fatti e che è molto cinico. Sono un sentimentale del cazzo, io.



venerdì 22 gennaio 2010

COMPRO UNA VOCALE

Chi non ha mai avuto occasione di vedere almeno una volta lo storico programma "La ruota della fortuna" del mitico ed indimenticabile Mike!? Io devo ammettere che per un certo periodo avevo con lui l'appuntamento fisso e speravo con tutta me stessa di riuscire a dare la soluzione corretta, insomma livello di immedesimazione pari a mille...Ultimamente per motivi a me sconosciuti il ricordo è riaffiorato nitido nella memoria, e ho pensato che il mio primo (e speriamo non ultimo) intervento qui avrebbe tratto spunto proprio dalla ruota di Mike. Ebbene io scelgo di comprare una vocale e opto per colei che svetta con vezzi da primadonna davanti a numerosissime parole che nel linguaggio comune hanno un'importanza tale da renderle super utilizzate, ripetute quasi come un mantra: scelgo la A!!!!!! La A di amore, e qui potremmo mettere in piedi un intero summit sull’argomento, ma non voglio subito identificarmi con il ruolo di sonnifero, quindi andiamo oltre. La A di amicizia, che io personalmente tendo ad inglobare con il vocabolo precedente…la A di arte e vorrei che in questo istante iniziassero a suonare campane e cinguettassero uccellini a lode di ciò che considero una delle ragioni dell’esistenza umana…La A di arrivederci, ma anche quella di addio…La A di ancora, e forse ognuno di noi ha un ancora cucito all’altezza dello stomaco…La A di ascolto, questo frequente latitante…Potrei andare oltre e rimpolpare questa lista, ognuno di noi ha le proprie A scritte nella mente e nel cuore, ma quello che conta è che so che la scelta della A è fortunata in partenza, perché collaudata ed approvata Mike grazie alla sua Allegriaaaaaaaaaaaa!!!!!!!

giovedì 21 gennaio 2010

A RUOTA LIBERA

"Sono un ecoalfiere, cazzo. E so che quando arriva la salita c'è solo da stringere i denti e salire sui pedali. Fermarsi non serve a niente".

sabato 16 gennaio 2010

Por fin Càdiz

Fuori dalla finestra del salòn c'è il sole. E non è affatto scontato. L'inverno è arrivato anche qui, nel profondo sud andaluso. A Siviglia la scorsa settimana ha addirittura nevicato, dopo circa 60 anni. Le case qui a Càdiz non contemplano l'uso dei termosifoni, perciò abbiamo dovuto rimediare comprando un nordico, un piumone per non soffrire il freddo la notte. L'oceano è un po' inquieto. Grandi onde giungono in serie fino alla battigia, lungo tutta la costa della ciudad, orchestrando all'unisono con il vento proveniente da nord est. E per alcuni è una fortuna. Juan si sveglia tutte le mattine per andare a surfare. Recupera le forze con un pranzo veloce quanto basta per affrontare le quattro ore del master che ci aspettano.
Oggi anche io e Jana ce ne andiamo alla playa. Non tanto per fare il bagno (anche se Jana sembra fermamente convinta), ma magari per prendere un po' il sole. Rilassarci davanti al complesso di onde e perchè no, leggere in caso un buon libro (o il mio amatissimo formulario dei verbi spagnoli, di cui ho tanto bisogno).
Arriverà l'ora delle tapas, di una cerveza fino a che non calerà il sole.
Scaricherò probabilmente la stanchezza accumulata questi ultimi dieci giorni e mi adagerò sul concetto del godimento, inteso come assaporamento di qualcosa di nuovo, che ti possa appartenere poco a poco, ogni volta di più. Ogni giorno di più.

mercoledì 13 gennaio 2010

A piacere

Quanto può metterci una pasticca di aspirina effervescente a sciogliersi in mezzo bicchiere d'acqua?
Ho al massimo un paio di minuti, magari anche meno. Cosa posso scrivere, in così poco tempo?

Che non ci sono adulti e bambini, uomini e donne, genitori e figli, bianchi, gialli e neri. Esiste solo il solito schifo di esseri umani. Noi, con le nostre penose debolezze, coi sogni di gloria che diciamo inarrivabili solo per pigrizia, che scambiamo per umiltà. Noi che lasciamo che il destino cambi la nostra vita, piuttosto che il contrario.
Noi coi nostri miserabili interessi terreni, sempre più forti. Coi nostri vacui capricci che diventano innegabili bisogni, colpa di un DNA che vizia l'ego a crescere e a dominare, ove possibile, a insidiare subdolamente, quando non c'è scontro faccia a faccia, a mentire, laddove la ritirata rimane l'unica via di salvezza.

L'aspirina si è sciolta.

martedì 12 gennaio 2010

SORRIDI?

E queste sono giornate intense. Intense eccome.
Te ne stai tutta la mattiana a casa a dormire, perché a differenza di qualche anno fa non resisti più a fare due notti insonni stando male. Poi però pranzi, sistemi un paio di cose sugli appunti, e poi ti lanci nella vita, che per una volta pare sia lì ad aspettarti.
Ti fai un incontro per un nuovo lavoretto, una sorta di "REPERIBILITA' PART TIME CONTRATTO DI CHIAMATA". Ti piace, soprattutto l'idea. Il resto si vedrà.
Poi corri verso la stazione, dove guarda un po' c'è un treno che sta partendo. Avresti preso quello seguente, ma c'è la possibilità di fare prima, per raggiungere il tuo amico. E guarda un po', quell'amico è proprio su quel treno.
Non ci sono solo scogli nel mare. Alcune rare volte delle onde ti cullano verso i lidi più belli.
E allora sorridi.

lunedì 11 gennaio 2010

And i find it kind of funny i find it kind of sad

venerdì 8 gennaio 2010

Non si fa mai tutto da soli

Di "Stranizza D'Amuri" mi sono innamorato grazie a Laura, che me l'ha fatta sentire la prima volta.

E' stata Azzura, invece, a farmi fare la mia prima homepage, con la quale sono cresciuto. E' diventata un blog, grazie al quale per anni ho sfogato le mie frustrazioni, incontrato persone, accompagnato il mio interesse per la scrittura.

Se scrivo è per merito di Eleonora, Cristina, Laura, Marco, Roberto, Clelia, Sara, e tante altre persone.

La passione per i videogiochi la devo tutta al Mio Omonimo.

L'amore per la montagna lo devo invece a uno Zio sacerdote e ad un Fratello Apprendista Metereologo.

Il parziale interesse politico lo devo a Cristina, a Zio Frank, all'Alabastrino e ad Annerita.

Se a volte me la cavo con le ragazze (ho detto "se"), è merito solo di Andrea.

Se amo stare da solo è invece soprattutto grazie ai Miei Genitori.

E se domani suonerò la chitarra? Sarà grazie a Federico, ad Azzurra e a Daniela.

Le foto? Se saprò farne di belle sarà grazie a uno Zio "Stralunato" che mi ha regalato una macchina e a Paolo, che forse mi insegnerà qualche cosa.

E se domani dovessi trasferirmi in Australia? Sarà grazie a Marco e anche a Becca.

Se la mia vita è sempre più piena di quanto non mi sembri durante certe serate, lo devo alle tante persone che la rendono ricca con quello che hanno. E dire questo è comunque dir poco. Come anche il mio grazie. Per tutto quello (anche qualcosa di meno buono e bello) che mi è stato e mi sarà dato.

E se ho preso a scrivere in rosso grassetto alcune parole, è per colpa di Marco.

E se infine mi sono ricordato più o meno di tutti, questo è solo grazie a Dio.

PS: Bregovic però l'ho scoperto da solo.


(E.Sorani)

mercoledì 6 gennaio 2010

PLANE

Arrivi e partenze in continuazione.
L'ultima spiaggia per un incontro, di qualunque tipo esso sia. Per accogliere un amico lontano, per salutarne uno vicino che parte. Per pregare qualcuno di restare, per assicurarsi che qualcuno vada via da noi. Incontri vissuti e incontri mancati. Mancati per poco o mancati del tutto, volontariamente. Verso qualcuno che non ritenevamo degno dell'ultima spiaggia. O magari siamo stati noi, ad aver paura di quella sabbia. Per non parlare delle volte in cui ci viene chiesto, di rinunciare a quel saluto.

Buon viaggio amica mia. Stai bene.



lunedì 4 gennaio 2010

Lettera ad una casa editrice

Gentile casa editrice “XY”

Io conosco voi, ma voi non conoscete me. Proprio per questo motivo ritenevo opportuno scrivervi qualche riga sui miei racconti, su cosa parlano. Ci ho pensato un bel po’, guardando fuori dalla finestra, tanto che mi stava venendo sonno. Ho sbadigliato e mi sono messo seduto alla scrivania. Non e’ cambiato molto. Allora sono andato di sotto a prendermi un ghiacciolo. So che sarebbe stato meglio farmi una birra, ma e’ estate, e’ Australia e sono le 10 del mattino. Un ghiacciolo puo’ andare bene, anche se non dovrei. Non dovrei, ma mi piace lo stesso. Forse mi piace proprio perche’ non dovrei.

I miei racconti –e qui torniamo al discorso iniziale e lasciamo perdere almeno per un po’ il ghiacciolo- sono pieni di cose che non dovrei. Non dovrei essere cosi’ pessimista, dicono alcuni. Cosi’ negativo. Non dovrei essere cosi’ sconcio, qualche volta. Non dovrei far bere i miei personaggi cosi’ tanto. Non dovrei forse metterci tutte quelle parolacce, ne’ infilarmi in situazioni piccole e difficili. Non dovrei essere cosi’ arrabbiato.

Non dovrei ma mi piace tutto questo, quasi quanto il ghiacciolo. Mi piace anche perche’ sento che devo. Devo parlare di alcune cose che mi sono rimaste qui. Devo buttarle fuori, dar loro fuoco e ballarci intorno un’ultima volta. Devo colmare quel vuoto che quasi tutti i libri che ho letto non sono riusciti a fare –perche’ era il mio vuoto, certo, ma anche quello di altri. Un vuoto di cui non si sente parlare, che non fa notizia. Il vuoto di un sabato sera con l’anima sanguinante e niente da fare. Il vuoto di una valigia da fare verso nessun posto dove andare. Il vuoto di una coppia che a malapena si parla, e nessun amore piu’ da salvare.

Lo so, gentile redazione dell’ “XY”. Sto straparlando. La descrizione della propria opera dovrebbe avvenire in due, massimo tre righe, asettiche, concrete, ordinate. Dritte al punto, la’. Senza ironia, senza eccessi, senza vaneggiamenti.

Si’, lo so. Ma senza tutte queste cose, gentile redazione, come faccio a parlare dei miei racconti?

Non ne tiriamo fuori nemmeno quelle due o tre righe in croce.

E non perche’ voglio fare quello profondo, non perche’ cosi’ snaturerei la POESIA di quello che sto cercando di dire. Chi se ne fotte della poesia (e vogliate scusare la parolaccia, gentile redazione).

Non ci riesco perche’ nemmeno io lo so di cosa parlano le mie storie. Vengono cosi’, impellenti e improvvise, d’istinto come dicevo prima, e allora devo buttarle fuori altrimenti annego. Scrivo per salvarmi la vita, nient’altro. Della casalinga, del ragazzino, dell’intellettuale, non me ne frega niente. Nemmeno di voi, gentile casa editrice, m’importa granche’.

Non e’ menefreghismo, strafottenza. Sono solo sincero. Parliamo di parole in fila, qui. L’Arte proprio non potremmo farcela entrare in 3 righe.

E allora cosa mi resta da dirvi? Della morale delle mie storie? Delle caratteristiche dei miei personaggi? Dell’intreccio avvincente?

Non c’e’ nessuna morale, signori, proprio come nella vostra e nella mia vita. Ognuno ci trova il senso che vuole, sempre se vuole.

I personaggi? Ma siete voi, signori. Sono io. E’ la donna che vi russa accanto nel letto. E’ il tizio mezzo addormentato sul vostro autobus. E’ vostro padre e vostra madre. Cosa resta da aggiungere?

Forse resta l’intreccio. Ma anche quello, ahime’, manca. I miei racconti non costituiscono un corpus omogeneo. Non ho una mission specifica, tranne quella di farmi capire. Magari il punto e’ questo: parlarvi di voi, di me, in modo chiaro, semplice. Un modo dove le parole parlano per le parole, e non c’e’ altro. Nessun trucco. Siamo voi e io a guardarci negli occhi. A ridere, a volte, a piangere, a fare a cazzotti. A comunicare, urlare, a vivere e morire. Lasciate perdere tutto il resto.

Ho superato un po’ le 2 o 3 righe di descrizione dell’opera, mi sa. Poco male. Se fossimo all’inizio della lettera vi direi di saltarla tutta e andare ai racconti, dove le parole bastano a se’ stesse. Visto che siamo alla fine, non mi resta che ringraziarvi del vostro tempo.

Buona lettura.

Distinti saluti,

Marco Zangari.

sabato 2 gennaio 2010

Si ricomincia (BUON CIUTAUSANDENDTEN)

Di nuovo in pista, come è giusto che sia.
Con la voglia di fare, con la certezza di una vita sempre più ricca.
Si ricomincia da dove si era rimasti, con un pizzico di lingua straniera (tranquilli, solo nel titolo) che ha suscitato le aspre polemiche di una piccola parte dei nostri assidui lettori (sono molti di più di quello che pensate).
Si ricomincia coi buoni propositi e con le tante cose imparate durante il buon 2009.

Personalmente il "duezerozeronove" va archiviato sinteticamente come l'anno della Carsoli-Roma in bici, dei tanti racconti scritti in modo pessimo, del "ciò" scritto "c'ho". L'anno dell'estate più bella della mia vita, del Carver in malinconica eredità che mi ha conquistato. L'anno delle sbronze, l'anno delle navi e dei rimorchiatori, degli aerei e degli amici extracontinentali, l'anno del viola anti papi e dell'arancio dei mandarini, l'anno del mare blu di Sicilia e delle innevate cime del parco nazionale d'abruzzo, l'anno della vita e delle cose giuste da fare.

Il mio augurio per tutti voi, ammesso che ve freghi qualcosa, non è solo quello ovvio di guardare al futuro, ma quello di buttare anche un occhio al passato. Si rischia sempre di dimenticare quanto di buono s'è fatto e di quanto si è imparato. Andare avanti senza questo sarebbe un grande peccato.

Per voi del Morgana, infine, un grazie per avermi accolto e ascoltato, per avermi parlato. E' sempre bello stare in buona compagnia.
Passate in camera mia, quando avete cinque minuti liberi. Il mio mini bar è a vostra disposizione.

venerdì 1 gennaio 2010

Per favore, facciamo gli eroi

Per me l’unica gente possibile sono gli eroi. Non ne esiste altra. Non so che farmene delle persone comuni, delle loro vite piatte, insulse, delle loro zero aspirazioni, della loro mancanza di coraggio, del loro fuoco spento, delle loro palpebre sempre velate di sonno. La gente mi opprime, mi annoia, mi stanca. Mi pesa sull’anima, mi toglie l’energia. Loro e i loro cinema, le loro discoteche, i loro supermercati, il loro traffico nell’ora di punta. Loro e i loro programmi tutti uguali che parlano di altri mediocri come loro ma un po’ meglio perche’ loro almeno sono in tv. Loro e i loro luoghi comuni, le loro banalita’ erette a sistema, loro e la loro conoscenza generale da telequiz, loro e le emozioni che vengono imboccate col cucchiaino. Loro che credono a tutto, che si bevono tutto e solo alla fine si accorgono di essere stati fregati alla grande. Loro e le loro scopate a buon mercato, loro e le battute zozze sul posto di lavoro, loro che non si sono mai chiesti, mai domandati, loro che non sanno distinguere il cielo dall’inferno, loro e il loro dio preconfezionato, loro senza orgasmo, loro che il sesso e’ quello dei film porno. Loro che piangono solo al cinema, prima dei titoli di coda.

Questa gentarella mi devasta. So che non dovrebbe, ma lo fa. Le loro vite sprecate mi deprimono, le loro stronzate mi fanno incazzare, le loro facce svuotate mi fanno venire voglia di bere.

Ed e’ a quel punto che devo pensare a loro. Agli eroi. Devo poter sollevare la testa da tutta questa miseria umana, da questi uomini piccoli, ed accorgermi che c’e’ stato qualcuno di piu’ grande, che c’e’, che l’umanita’ non si esaurisce in quelli che leggono Baricco e guardano il Grande Fratello. Mi serve alzare la testa e vedere qualcuno li’ sopra, come esempio, come aria in una stanza senza ossigeno, come speranza. Con la speranza si fanno grandi cose.

Si puo’ evadere dal carcere, con la speranza.

E anch’io evado in quei momenti, e penso ai miei eroi –che non sono molti, a dire il vero, ma quelli che ci sono bastano.

E non pensiate che siano solo quelli dei poster. Ne ho anche di quel tipo, non lo nego. Mi serviva sapere di quel pazzo cubano che con un sigaro e una camicia sporca ha provato a cambiare il mondo. Mi serviva leggere di quel pazzo tedesco-californiano che ha rischiato di morire e poi si e’ ritrovato scrittore a 50 anni, miracolato, ancora vivo. Mi serviva sentire quel pazzo genovese e le sue poesie infinite, tra il fumo e i bicchieri vuoti.

Ho anch’io alcuni eroi che avete voi. I soliti, diciamo. Ma per me l’eroe non e’ solo quello. L’eroe e’ quello che non accetta il suo destino, che lotta contro la merda che gli e’ capitata in sorte, o anche piu’ semplicemente vede cos’e’ il mondo, e decide che vuole cambiarlo. Gli eroi che abbiamo tutti, hanno provato a farlo in larga scala. Abbiamo letto tutto di loro, abbiamo gioito con loro, le loro sofferenze sono state le nostre. Anche noi siamo stati a Capaci o in via D’Amelio con loro.

Ma gli eroi piu’ comuni fanno cose di cui nessuno sa niente. Cambiano il mondo a modo loro, sebbene il mondo non ne sa nulla. Cambiano le persone intorno con la loro sola presenza. Lo senti, quando ci sono loro. Ti mettono in pace e allo stesso tempo ti riaccendono il fuoco sotto il culo, quel fuoco vitale. E’ questo l’effetto che ti fanno gli eroi: ti fanno sentire fortunato anche solo per avere diviso la loro storia con te.

Ce ne sono, di questi eroi. Basta guardare, basta sentire. Come dice Caparezza nella sua canzone, l’eroe e’ anche l’operaio che va avanti in mezzo a mille problemi, all’usura la disoccupazione il carcere la morte bianca, e ogni sera si prepara ad un’altra battaglia. Quelli che stringono i denti in silenzio, che non trovi sul giornale, che la loro vita e’ stata tutta una soap scritta male ma lo stesso trovano la forza di vivere e qualche volta sorridere.

Io ne ho conosciuti. Sono il motore che mi fa andare avanti. Sono loro il motivo per cui mi impegno, vivo, scrivo, e qualche volta sorrido. Quelle persone che fanno cose piccole che non sono mai piccole. Quella ragazza che ha lasciato perdere una vita e un matrimonio che non le andavano e a 18 anni e’ andata dall’altra parte del mondo, da sola, col suo meraviglioso sorriso e il suo italiano stentato, con la voglia di fare, pronta a cambiare completamente il suo destino e quello degli altri.

Quella donna che si e’ ammalata anni fa e stanotte ha passato il Capodanno in ospedale, e ha quello sguardo che cura e fa ridere.

Quell’amico che si fa mille km per vedere una persona, in una macchina scassata. Che una volta ha salvato una persona, parlandogli. Che una volta ha detto ad una persona, penso che dovresti scrivere.

Sono io, quella persona.

Fortunato di vivere circondato da giganti.

Questa e’ per voi.