sabato 19 aprile 2008

Quelli che scrivono

Quelli che scrivono sono gente strana. Quelli che scrivono vivono una vita diversa da quella delle altre persone. Quelli che scrivono a volte scrivono ma non vivono. Quelli che scrivono sono alienati, sono pazzi, sono dei casi speciali.
Quelli che scrivono non sanno fare niente, solo scrivere. Quelli che scrivono pensano che scrivere sia la cosa più importante del mondo. Quelli che scrivono scrivono perché è più facile che lavorare. Quelli che scrivono sono dei furbi riusciti male.
Quelli che scrivono non capiscono quelli che non scrivono. Quelli che scrivono non sono capiti da quelli che non scrivono. Quelli che scrivono sono quelli che perdevano le risse, perdevano il pranzo, perdevano la ragazza. Quelli che scrivono cercano di vincere scrivendo. Quelli che scrivono non hanno ancora smesso di perdere.
Quelli che scrivono sono dei sognatori, dei santi imboscati in stanze oscure. Quelli che scrivono sono delle mezzeseghe che hanno paura di tutto. Quelli che scrivono sono innamorati di sé stessi, dei propri lamenti, del proprio pensiero. Quelli che scrivono cercano di vederci un po’ più chiaro. Quelli che scrivono a volte ancora lottano. Quelli che scrivono, poi qualche volta vincono.
Quelli che scrivono erano quelli che non erano invitati alle feste –e se erano invitati, non ci andavano –e se ci andavano, stavano tutta la sera seduti da una parte e non vedevano l’ora di tornare a casa, e quando tornavano a casa pensavano a tutto quello che avrebbero potuto fare alla festa e non avevano fatto.
Quelli che scrivono erano quelli che parlavano una lingua che i loro genitori non capivano. Quelli che scrivono avevano amori restituiti al mittente. Quelli che scrivono restavano a casa molti sabato sera.
Quelli che scrivono sono dei gran coglioni. Quelli che scrivono sono pieni di sé stessi. Quelli che scrivono sono pessimi attori, sono caricature di geni, sono bambini che non sono voluti crescere. Quelli che scrivono puntano alla Gloria, alla Luna, alla Fama, e intanto non sanno come pagare la prossima bolletta.
Quelli che scrivono sono immersi in magnifici pensieri sempre. Quelli che scrivono si dimenticano la fermata dell’autobus. Quelli che scrivono si dimenticano di preparare la cena per le loro ragazze che tornano dal lavoro alle nove. Quelli che scrivono sono fortunati a trovare ragazze molto pazienti.
Quelli che scrivono fanno ridere. Quelli che scrivono parlano o troppo o troppo poco di quello che fanno. Quelli che scrivono o si vergognano o c’è qualcosa che non va. Quelli che scrivono pensano –questo andrebbe bene- e intanto la vita gli scorre via. Quelli che scrivono si vedono tra 10 anni, tra 20, ma mai domani.
Quelli che scrivono o si amano o si odiano con tutto il cuore. Quelli che scrivono almeno ci provano. Quelli che scrivono non hanno mai smesso di avere insonnie e incubi. Quelli che scrivono parlano poco, e quando parlano parlano male. Quelli che scrivono guardano oltre le spalle. Quelli che scrivono, guardano.

mercoledì 16 aprile 2008

Tre Km di mare

Ricordo la mattina in cui tornai dall’Australia, lasciavo un paese bello, caldo, pacifico, pieno di gente allegra che sa sorridere, gente che non porta alcun segno del tempo che passa, come se per tutta la loro esistenza avessero vissuto in un grande luna Park: dove ci si preoccupa, unicamente, del peso delle nuvole.

La pioggia e il vento contraddicevano l’estate di qualche ora prima

Tutto non era mai sembrato così distante.

Le strade erano sporche, la gente, appena sveglia, correva già con quello sguardo colmo di rancore e sospetto, dove capita in quei posti in cui crescere lascia un segno che ti trasforma piano piano… ovviamente in peggio.

Già, pensavo all’indomani , al lavoro che mi aspettava, al padrone che mi aveva lasciato raccomandandosi di ritrovarci più carichi di energia e di entusiasmo.

Avevo i conati di vomito.

Dopo un po’, naturalmente, il mio corpo ha trovato un equilibrio, L’Australia non c’era più, messa da parte.

un giorno dopo l’altro…

…era quella la misura dei miei passi.

Poi ho capito.

Ho capito che non ne avevo avuto abbastanza.

Ho capito che c’era un cazzo di Koala in un cazzo di zoo ad aspettarmi e questo era, sorprendentemente e meravigliosamente importante almeno tanto quanto il peso delle nuvole!)

Ho capito che dovevo sentirmi ancora parte di quella meravigliosa cartolina che va dall’Opera fino all’Harbour…

Ho capito che c’è ancora una birra fredda da gustare sotto un sole caldo e giusto

… e un fratello da riabbracciare .

Poi ho notato che lo stretto non era mai stato così bello…

Allora ho fatto finta che fosse per me: forse era il suo modo per salutarmi!

In fondo anche Lui sapeva: il viaggio era già iniziato.

mercoledì 2 aprile 2008

La Linea d'Ombra

Alcuni, prima che partissi, avevano previsto che sarei stato colpito dalla nostalgia, che mi sarebbe pesato il mio essere straniero. Beh, dopo quai 7 mesi qui posso dire di non essermi mai sentito straniero in Australia, pur con tutte le difficoltà linguistiche e culturali che ci sono. Io e Oz ci capiamo con uno sguardo.
Più che altro qui ho cominciato a sentirmi straniero nella mia stessa vita. Oz però, poverina, non c’entra. Semplicemente, è arrivato anche per me il momento di superare la famosa Linea d’Ombra, senza sapere un cazzo di niente. Il senso di spaesamento, la terra che ti si muove di sotto, i tuoi ricordi che cambiano forma e odore, a volte perfino colore. Qui ho capito che i nostri genitori, di solito, sono come gli intellettuali: quando li ascolti parlare ti sembra tutto più che sensato, non puoi che essere d’accordo. Poi però ti basta mettere un piede fuori per capire che tutto quello che ti hanno detto non ha alcuna attinenza con quello che ti circonda. Tutta quella teoria, e niente di pratico su quello che è veramente la vita. lo sai perché non appena affronti il primo vero ostacolo da solo, è così che ti ritrovi: completamente, assolutamente impreparato. Chi ti ha parlato apparteneva a un’altra generazione, aveva altre aspirazioni, aveva un’altra idea di come andavano le cose. Là fuori ci sei tu in mutande, e basta.
Arriva così il momento in cui anche tu ti ritrovi con la sola lampadina della tua scrivania accesa e tutto il resto spento. Che fare? È una parola.
Lì capisci davvero che la scuola è stata una colossale perdita di tempo. Lì impari solo com’è che funzionano tante teste messe dentro la stessa stanza –non molto bene. anche l’università, vissuta come l’ho vissuta io (cioè da mantenuto fuorisede), è solo un girarci attorno, un voler prolungare la pausa pranzo. Il mondo è là fuori che aspetta, e non ha fretta. Nel frattempo, pagando le tue bollette, sprecando il tuo tempo in trafile burocratiche, alzandoti presto per sbrigare le tue cose, impari che la scuola, al confronto, era uno zuccherino. Impari come sarà veramente la tua vita, di lì in poi. I vecchi si fregano le mani, non aspettano altri. Ci sono passati loro, perché cazzo non dovresti passarci anche tu? Ecco cosa ci vendono per saggezza.
Insomma, che tu l’hai presa lunga oppure no, arriva lo stesso il momento in cui smetti di fare conto su mamma e papà –ovviamente non tutti, e per le ragazze c’è sicuramente un folto numero di quelle che si trovano il loro nuovo “papà”- e diventi una persona “vera”, dove “vera” sta per persona che si deve pagare l’affitto, il cibo che mangia, i vestiti che veste, e tante altre simpatiche cosucce.
E qui torniamo alla domanda che la tua Linea d’Ombra ti fa con sguardo beffardo, come a prenderti per il culo: che fare?
Boh, è la prima risposta che ti viene in mente. È il bello è che non stai scherzando.
Beati quelli che hanno sempre saputo che cosa avrebbero fatti. Sono quelli sempre senza dubbi, quelli che vanno dritti, quelli del partito di chi sa stare al mondo. Al Morgana c’è posto anche per loro, siamo di mpie vedute –ma ovviamente, qui adesso, con la mia VB a lato, non sto parlando con loro.
Parlo con quelli che quando gli chiedevano da piccolo –cosa vuoi fare da grande?- dicevano la prima cazzata che gli passava per la testa per togliersi quel seccatore davanti. Io non ho idea di come la gente possa scegliersi qualcosa da fare per tutta la vita. è la verità. Sono fuori dalla realtà, probabilmente –ma se la realtà è quella che vedo sul bus delle 7 e 45, allora ne faccio a meno. In questi 7 mesi ho fatto 5 lavori diversi, e tutti, leggeri o pesanti, mi hanno stancato dopo un po’. Come si può pensare che un uomo debba farlo per 30, 40 anni? È una quantità di tempo a cui nemmeno riesco a pensare. Tutte le mattine della tua vita sempre a quell’ora, la sveglia, le solite facce, aspettando venerdì, aspettando Natale, aspettando aspettando. E alla fine muori pure.
La gente è pazza, a non impazzire.
Ti tirano tutti da una parte o dall’altra, ti gridano consigli che non hai mai chiesto, ti danno informazioni sempre parziali, ti confondono ancora di più. Poi, arrivati a un certo punto, ti dicono: scegli. Ti mettono il microfono davanti, e aspettano.
E tu pensi, ma che cazzo vogliono questi?
Nei loro occhi leggi la stessa espressione, che ti dice –la pacchia è finita. Ti hanno fatto divertire, ti hanno fatto fare i tuoi viaggetti, le tue vacanze, il sabato con gli amici, certo, come no?, ma adesso sono cazzi tuoi. Da qui a quando sarai buono solo per pisciarti addosso e raccontare storie senza senso, la tua vita sarà un tantino diversa. Hai esaurito le tue scorte di divertimento. Per te, basta più. Per questo i vecchi guardano cob questo disprezzo quelli più giovani. Sono stati fottuti, e aspettano che capiti anche a loro. Tu intanto ti guardi indietro e rivedi la tua vita fin lì, e ti sembra che sia stata solo una fiera di risate ed emozioni. Niente di più falso, ma questa è la sensazione che hai mentre tutti intorno ti sussurrano quella parolina –RESPONSABILITA’- e capisci che o hai avuto culo a nascere in un certo modo in una certa situazione in un certo paese, o è meglio che ti dimentichi i tuoi ditalini alle tue Mary Jane Ficarotta (per citare il film).
Vogliono tutti conto e ragione di ogni singola risata che ti sei fatto. Vogliono che rimpiangi ogni singolo secondo della tua vita passata, quando –povero coglione!- potevi ancora spassartela senza troppi pensieri e invece ti sei inutilmente complicato la vita. non preoccuparti, povero coglione, adesso alla tua vita ci pensiamo noi. Con 8 ore al giorno più il tempo per andare e tornare e lavati e vestiti e mangia e caga e fai l’amore, anche questa tua nuova vita sarà senza troppi pensieri. Non ne avrai il tempo.
Ho riletto anche La Linea d’Ombra di Conrad, ma tutto quello che ne ho ricavato, ancora una volta –perché rileggo i libri brutti? Sono dunque malato?- sono stati i deliri di un povero minchione che si è ritrovato in una cosa più grande di lui. Ma forse i poveri minchioni siamo noi, che fino a ieri giocavamo e adesso siamo qui a decidere delle nostre vite lì, sul momento, come fosse niente, come scegliere bianco o rosso?, e tu ti guardi intorno, rimandi, e loro sempre lì col fiato sul collo, hai delle RESPONSABILITA’ non scordarlo mai bello mio, e stai sicuro che non te lo fanno scordare mai.
Se uno ha un sogno, allora basta che lo segue. Certo, come no? Anch’io ho il mio, lo sapete già voi birichini, ma non è facile, anzi. Quanti muoiono inseguendo il proprio sogno? Si dice che ci sia dell’onore in questo. Per carità, niente in contrario. Ma a me scrivere ancora qualche sonetto non discpiacerebbe, e quindi l’opzione Morte Affamata la lasciamo da parte. E quindi?
Non sono solo io che mi sono scelto un ideale irrealizzabile. Vengo da un paese dove hai un gran culo se trovi un lavoro di merda senza garanzi e per un periodo di tempo limitato. Pensa tu. Inoltre ho studiato nella facoltà di Psicologia, forse la Capitale di Tutti gli Ideali Irrealizzabili.
Il punto è che nessuno sa niente. Non sappiamo niente. Forse non vogliamo sapere. Non vogliamo rinunciare a niente di quello ch abbiamo, perché abbiamo avuto così poco. Non vogliamo piegarci perché credevamo in qualcosa, eppure ogni lunedì la banca vuole il suo affitto puntuale. Non vogliamo scegliere perché vogliamo tenerci tutte le strade aperte, vogliamo sognare, vogliamo sapere che c’è dell’altro. Ma cosa?
È come un brutto sogno: mentre te la dormivi sulla nave, sottocoperta, convinto che qualcuno stesse badando sia alla nave che a te, ti svegli mentre scoppia la tempesta e vedi lì il timone da solo, sotto la pioggia. E tu non hai una cazzo di idea di come si pilota una cazzo di nave.
Ti fanno tutti i conti in tasca, e alla fine vogliono delle conclusioni. Stringi!, ti urlano da sotto il palco. Dicci quello che ci devi dire, e poi togliti dai coglioni. Sappi che dovrai vivere di questo. Sappi che quello che farai, nella Nostra Società, dirà chi sei e quanto vali. Sappi che quanto guadagnerai, nella Nostra Società, dirà chi sei e quanto vali. Sappi che non hai tempo. Sappi che hai delle scadenze.
Sappi che hai delle RESPONSABILITA’.
In ogni caso, buona fortuna a tutti quelli
che hanno la loro lampada accesa
sulla scrivania
come me adesso
Il Morgana aspetta le vostre parole, le vostre Linee d’Ombra.