giovedì 27 gennaio 2011

ERA SOLO QUALCOSA DI MOLTO MOLTO VICINO

Sono sempre stato uno che parte in quarta, nelle relazioni. Se mi piaci, se mi impressioni positivamente, posso arrivare a trattarti come un fratello nel giro di cinque minuti. La diffidenza la riservo solo a chi non mi conquista.

Il presente paga per il passato e il futuro paga per tutti e due. È così, la vita. I nipoti pagano per i nonni e i genitori. Le scommesse di oggi dipendono dall'esito di quelle di ieri. I nuovi incontri scontano le delusioni che ci hanno lasciato quelli passati.
È l'esperienza, è la vita, è il meccanismo che il più delle volte ci permette di sopravvivere, di adattarci, di imparare. Ma se invece alcune volte non imparassimo affatto? La morale può essere scritta a lettere ben chiare in fondo alla fabula, ma se non sapessimo leggere bene o se fossimo tanto distratti e superficiali da perdere il filo del discorso?
Una storia che delude fin da subito merita di certo di essere troncata all'istante, ma quella persona per cosa deve pagare? Certo non ha soddisfatto le nostre aspettative, ma merita davvero di essere tagliato via dalla nostra vita anche laddove nutra un sincero affetto nei nostri riguardi? La delusione di un bambino capriccioso, che esigeva per regalo un cavalluccio a dondolo, giustifica il fatto che egli cancelli dalla sua vita l'affetto per i genitori che non hanno saputo portarglielo? Io credo di no. Credo che quando c'è l'affetto non basta un capriccio, non basta una sensazione, per dire BASTA. Perché il basta ha un suo significato, e non si può pretendere che gli altri lo interpretino secondo una nostra personalissima e distorta visione. Per quel basta ci vuole prima di tutto consapevolezza, di sé stessi e della propria volontà. Non si può improvvisare un BASTA. Già, perché finisci per dirlo a destra e a manca, oppure finisci per dirlo a tutti quelli di cui ti importa meno che pensi possano ferirti, per proteggerti dal dolore che ti hanno fatto persone davvero vicine a cui magari BASTA non sei mai riuscito a dirlo.
Io oggi pago per tutte le ragazze che ho visto e che ho visto passare. Forse alla fine passa ogni cosa, e non possiamo farci nulla. Affannarci a trattenerla, o incatenarci con catene di paure d'acciaio per tentare di soffrire di meno non ha alcun senso. Non è quello lo scopo. Non è lì che si vince il premio. Forse è meglio che in un sogno, prima che svanisca, ci crediamo davvero.
Io oggi pago per il mio passato, ma anche quando qualcosa è durata poco ed è finita in tragedia, ho vissuto dei momenti belli, momenti veri ed autentici. Sono quelli da cui riparto, quelli che cercherò da domani, quando starò davvero meglio.

Stamattina mi sono svegliato con la sensazione di aver perso qualcosa durante la notte. Era come se fossi andato a dormire con un'idea di perdita che poi non ricordavo.Nella posta in arrivo un'email di Interflora mi ha ricordato di prepararmi per S.Valentino. Ho riso. Avrei riso comunque, anche se fossi stato ancora con lei. Poi però allora mi sono ricordato, e ho smesso di ridere. Il fatto che mi avesse chiesto di cancellarla, come se io ne fossi capace.

È difficile spiegare, quando ti capita di innamorarti più di una voce e di uno sguardo, di una certa sensibilità, piuttosto che della persona. Perché quando sei a distanza, hai tempo da buttare perché non trovi lavoro e hai un certo abbonamento telefonico tutto incluso,puoi arrivare a condividere tutta la tua vita passata e i tuoi piani sul futuro, ma ti perdi il presente. Il presente alla lunga te lo perdi, lo trascuri per farne abbuffate quando puoi finalmente stringerla tra le braccia. Ma quando ti abbuffi l'indigestione è dietro l'angolo. Mangi così veloce che in bocca mischi i sapori. dovresti assaporarne uno per volta, ma semplicemente non puoi. Ormai ci stai dentro e mandi giù tutto insieme, con foga, non badando se ogni tanto senti qualcosa di amaro. Ecco cosa è successo. Sono stato male. E ho cercato di capirne la causa. Ho capito che forse quel sogno che i primi tempi abbiamo provato ad essere l'uno per l'altra non poteva avverarsi. Credo lo abbia capito anche tu, subito, dalla prima volta che abbiamo discusso per quel bacio che mi hai parato con la guancia. So che non è facile da ammettere, "non essere capaci a inventarsi l'amore". Quando ne hai così tanto bisogno non puoi accontentarti di mezze versioni. E io ne ho davvero tanto bisogno, di sentirmi amato. Così tanto che è almeno quanto il tuo.

Quelle rose, ecco come il mio indirizzo è finito da quelli di Interflora. Regali fatti col cuore, da subito. Era già amore, ma lei non ci credeva e non posso darle torto: a tratti non ci credevo io per primo. Ma che senso aveva non viverlo? Perché scegliere di avere me senza credere alle mie parole, senza fidarsi di quelle lenzuola comprate apposta per noi. Lei che era troppo buona, ma che mi ha tagliato via con un colpo di scure. Io che a sentire lei l'ho usata solo per raccontarle la mia vita. Sì, forse tra le altre cose ho fatto anche questo. Ho raccontato la mia vita a una ragazza che avrò visto tre volte. Dopo averla raccontata a molti e a molte per anni, ne ho fatto una nuova versione solo per lei. Non solo perché ne sentisse una nuova che piacesse di più anche a me, ma soprattutto perché fosse l'inizio di una storia da poter proseguire insieme. Le ho aperto la mia vita, i miei sogni sgangherati, le mie battute più stupide e i miei modi più ridicoli. Le ho aperto le porte di casa mia e della mia famiglia. Ma tutto questo, forse ha ragione lei, non era amore. Era solo voglia di avere qualcuno vicino, qualcuno per cui cucinare, di cui prendersi cura, magari di cui scrivere. Forse non era chissà che cosa, non era amore sul serio. Era solo qualcosa di molto, molto vicino.

To be continued or deleted
dipende da come me arzo domani mattina

lunedì 24 gennaio 2011

Amici miei




Proverò a spiegartelo, perchè per me è tutto chiaro, ma so che per te non è così.

Io sono quello che vive tra le pagine. Che quando torna a casa con un libro nuovo, ha ancora quella curiosità che ha perso per tante altre cose. Che un libro nuovo, per me, è quello che per te può essere il telefonino, la tv al plasma, il computer.

Io sono quello che in libreria può passarci le ore. Nonostante stiano diventando anch’essi dei puttanai, nonostante tutta quella carta sprecata in pessimi libri mi faccia sentire più ambientalista di Greenpeace, lì dentro perdo la nozione del tempo. Tu vai pure al cinema, fai un giro al centro commerciale, vai per negozi. A me, però, lasciami qui.

Per me, quei nomi sulle copertine erano persone vere. Li immaginavo tridimensionali, con la loro stupenda follia, i loro abissi, i loro problemi, il loro vivere, in un modo più vero delle persone vere –così come la voce della tua radio preferita sembra più precisa, più pulita, più credibile.
Loro parlavano, ed io li stavo ad ascoltare affascinato. Ero un giovane vecchio, e in quei momenti rivivevo un’altra infanzia. Imparavo cose che nessuno mi avrebbe mai insegnato. Scoprivo che c’erano dimensioni diverse, persone diverse, diversi cieli e mondi. Capivo che non era tutto lì.
Sognavo, in una parola.

Per me, Fante e Bukowski sono stati degli amici. Kerouac, un ottimo compagno di viaggio. Dostoevskij, un maestro geniale che sapeva sorridere.
Salinger, una persona a cui ho voluto bene.
Gli altri andavano a ballare ed io leggevo i racconti di Carver. C’era l’inaugurazione di quel locale, ed io mi perdevo nelle magnifiche chiacchiere di Miller.
Sentivo in giro discorsi banali, stupidi, poi tornavo a casa e leggevo Cèline, leggevo Kafka, leggevo Pirandello, e mi sentivo bene.
Sentivo che non ero solo.

Io sono quello che trovava eccitante il periodo dei Beat, quando ancora erano dei ragazzi sconosciuti che volevano cambiare il mondo con le parole. Che trovava una spinta nei vagabondaggi parigini di Hemingway, nei chilometri macinati a piedi da Rimbaud, nelle parole affamate di Hamsun. Tutte cose che mi facevano esaltare di più della partita della tua squadra, dell’elezione del tuo partito, delle tue vittorie di mezz’ora.
Non capisco il tuo gossip, ma ho sempre capito cosa volevano dirmi Cechov, Turgenev e gli altri russi.
Tondelli e Buzzati mi hanno fatto essere orgoglioso di essere italiano più delle vittorie della tua Nazionale. Kerouac e Baudelaire mi hanno fatto venire voglia di andare.
Orwell e Camus mi hanno fatto riflettere più del tuo giornale.
Fante mi ha fatto ridere più del tuo film di Natale.

Questi nomi, per me, hanno voluto dire qualcosa. Hanno voluto dire tanto. Continuano a farlo.
Ho bisogno di pensare che c’è stato qualcuno di Grande, perchè mi permette di respirare sotto questo cielo. Mi permette di sognare. Mi permette di pensare alla prossima evasione.
Perchè per me la vita senza quelle parole, quelle pagine, quella poesia, quel dolore e quelle risate, non so se si potrebbe ancora chiamare vita.
Per me non erano solo cose da mettere sul comodino, da sfoggiare, da usare per rimorchiare. Lo capisci?
Capisci perchè non mi rassegnerò, perchè non mi accontenterò mai, perchè non sarò mai come gli altri?
Capisci perchè voglio provare anch’io ad essere su quelle copertine?
No, probabilmente no. Allora ti chiedo uno sforzo. Cerca di capire il più possibile, e di accettarlo per com’è.
Tutto quello che non riesci a capire, fallo rientrare nel grande mistero dell’essere Uomo. Ognuno ha il suo modo di esserlo.
Questo è il mio.

domenica 23 gennaio 2011

Proposito per il nuovo anno: fare una piccola fermata di tanto in tanto su di me.

Quando andavo al liceo avevo un sogno nel cassetto: fare l'artista di strada. Ben truccata. Con un abito d'epoca.
Pensavo che se avessi avuto le doti, avessi imparato a tirarle fuori e avessi avuto il coraggio, un giorno sarei riuscita a girare un po' l'Italia e magari l'Europa per esibirmi nelle piazze delle belle città. E, per l'appunto, fare l'artista di strada.
Così un giorno dei miei diciotto anni, mi sono alzata una mattina e ho deciso di provare. Di scoprire che effetto fa esibirsi davanti a tante persone, in mezzo a una piazza del centro della tua città, ma comunque protetta da tubetti di cera in faccia. Ho scelto le musiche. Ho scelto la cera. E alla fine ho scelto l'abito per farlo. Mi sono preparata per mesi in casa. Davanti allo specchio del salone, controllando i movimenti del corpo e i tremolii agli occhi. Poi è arrivata la primavera, ho preso stereo, cera e due amiche sotto braccio per farmi accompagnare al centro. Piazza Navona.
Mi sono truccata in piazza con uno specchietto, attenta a ogni angolo facciale. L'emozione tanto cercata la ritrovavo anche nell'atto preparatorio. La gente si fermava per osservarmi. Incuriosita. Forse stupita. La fase di preparazione è stata gustata in ogni minimo istante, finchè non mi sono decisa. Ero pronta. Potevo mettermi in piedi e provare il mio pezzo mimico. Un'amica mette lo stereo in play, l'altra si mette nella prima e unica fila davanti, a guardarmi. E parte lo spettacolo.
Il vero gusto è stata la soddisfazione di sentirmi qualcosa di diverso. Un manichino in movimento. Sotto celate spoglie. Non ero Clelia. Non ero donna. Non ero voce. Ero qualcun'altro. Qualcosa che dava i brividi anche a me stessa. Ultimamente il desiderio di quella sensazione si sta rifacendo sentire. In fondo, in fondo quel sogno nel cassetto è sempre rimasto dentro di me. Dentro quella parte di me che si è sempre immaginata un po' più forma che persona. Un po' più Cles che Clelia.

mercoledì 19 gennaio 2011

LA VITA É SABBIA

Ehi amico, questo post te l'avevo in parte promesso più di due mesi fa. Dico "in parte" perché in fondo non ricordo più nemmeno io se era questo, quello che avevo in mente di scriverti.

La vita è sabbia, un po' chiara un po' scura, un po' farina un po' breccia, un po' bagnata dal mare e un po' rovente per il sole.
La vita è sabbia, amico mio, e credimi ci mette poco a sfuggirti dalla mano, se non ci stringi intorno un pugno come si deve. E con l'altra mano devi essere bravo a prenderne sempre un altro po', di sabbia. Perché il bello della vita è anche lasciarla passare, oltre che stringerla. Un giorno sarai sabbia anche tu, e intanto sei già adesso la sabbia che qualcuno ha lasciato cadere, la stessa che forse un'altra persona raccoglierà a breve.

E nel frattempo puoi sorridere, o essere triste. Puoi guardare l'orizzonte lì in fondo, lì dove le due linee azzurre si incontrano. Puoi guardarlo e mettere il muso, puoi incazzarti. O puoi addormentarti sotto le stelle dopo aver visto il tramonto, e riempirti di luce con l'alba del giorno dopo. Puoi fare tutto quello che vuoi, mentre hai quella sabbia con te. Quello che conta è che stringi quel pugno, almeno un po' da non lasciarla cadere via tutta in un colpo.

sabato 15 gennaio 2011

Contest x chi ha le palle


Vi piace giocare ospiti del morgana?

e allora giochiamo.

Nuova versione del sogno...

Scrivete 6700 caratteri con quello che vi ispira il disegno...

tatatataaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa

giovedì 13 gennaio 2011

?


martedì 11 gennaio 2011

VOLARE COI PALLONCINI

Penso a un grappolo di tanti palloncini di diversa grandezza. Ogni palloncino è un desiderio, e sono legati fra loro e sono legati tutti in un unico intreccio che si riduce a sempre meno fili e finisce nella mia mano destra.
Non so se quel filo conduce direttamente a uno o più palloncini. Non so nemmeno se conduce almeno ad un palloncino. Per il momento, però, li tiene assieme tutti.

E se domani il vento li spingesse sempre più forti fino a sciogliere il groviglio che li tiene assieme, disperdendo il più dei palloncini nel cielo infinito? Non saprei più dove andare a prenderli, e nemmeno a cercarli.

Sono sempre stati qui, pochi metri sopra la mia testa che guardava troppo in basso. Poi col tempo ho imparato ad alzare gli occhi ed eccoli lì.
Palloncini.
Colorati, leggeri, tondi e simpatici. Uno spettacolo immenso. Ed erano miei.

Ora ho questo filo, e i palloncini sono davvero a portata di mano. Non sono abbastanza leggero per volare via con loro, e pure il filo non è forte abbastanza.
Paure. Di perderli, sì. O di vederli scoppiare uno a uno.
Ma la paura più grande resta quella di tirarli a me e prenderli. Tutti.

E se domani ci riuscissi? E se domani il filo tenesse fino almeno al primo palloncino, quello rosa con la faccia sorridente?
Sarebbe l'accadimento più spaventevole della mia vita. Non potrei più stare qui a commiserarmi, ma dovrei subito passare al secondo e poi al terzo. Dovrei metterne al sicuro quanti più possibile. Potrei abbracciarli tutti e forse allora, forse, col sole a scaldarmi potrei davvero cominciare a salire. In mezzo ad aria più fresca e con una visuale migliore, baciato dal sole di giorno e dalla luna di notte.

E se domani volassi?

A Terra, nel fango, non voglio tornarci mai più.



lunedì 10 gennaio 2011

I Giovani sono morti, i Giovani sono santi

Uno dei (pochissimi) vantaggi dell’aver passato i 30 è che finalmente ti sei scrollato di dosso quella parolina lì –Giovane- che in tutti i modi hanno cercato di cucirti addosso. Non ho mai capito chi rientrasse nella categoria. Non mi sono mai sentito giovane, nemmeno a 20 anni. Forse sono sempre stato un giovane vecchio, uno strano misto di pubertà e vecchiaia. Mi sono sempre sentito addosso 50 anni. Forse, se sopravviverò abbastanza da arrivarci, a 50 mi sentirò come un ventenne. Di sicuro, mi sento meglio ora che da Giovane. Però ho un pensiero per loro. I Giovani sono morti, e proprio per questo, i Giovani sono santi.

Per ogni volta che hanno fatto della loro freschezza un crimine, della loro ingenuità un peccato, e che hanno cercato di inquinare ogni momento godereccio col loro senso di colpa, i Giovani sono santi.

Per ogni volta che si sono trovati sputtanati per colpe non loro, per momenti storici del cazzo, per saracinesche chiuse e bei tempi che non tornano, i Giovani sono santi.

Per essere passati attraverso serie tv con protagonisti “ventenni” che avevano già i capelli bianchi, con dialoghi idioti, storie stupide, sesso facile e amicizia che conta più di tutto (perchè in fondo, non è questo essere Giovani?), per tutto questo i Giovani sono santi.

Per essersi sorbiti cantanti entrati nella fase del Viagra, che si vestono per apparire eterni adolescenti, che riempiono i loro testi di cuore-amore-dolore (perchè in fondo, non è questo essere Giovani?), per miliardari che parlano al ragazzo senza una lira in tasca, per gente triste che mima i sogni di una generazione, per tutto questo i Giovani sono santi.

Per aver sopportato con pazienza le recriminazioni e le accuse dei vecchi in strada, quelli che sono andati in pensione a 40 anni, quelli che le pensioni le pagheranno questi Giovani, e devono sentirsi dire che il lavoro c’è ma loro non vogliono farlo, che vogliono tutto e subito, e altre amenità del genere, mentre loro la pensione non la vedranno mai, per tutto questo i Giovani sono santi.

Per essere stati definiti bamboccioni da un ex-ministro da poco scomparso, che aveva proposto generosamente come aiuto-affitto 1000 euro in TRE anni, mentre suo figlio era ad delle Assicurazione Generali, per tutto questo i Giovani sono santi.

Per le prediche a tavola, quelle del pranzo della domenica, quelle in macchina, fatte da gente che è vissuta in un tempo dove il lavoro esisteva ed era ben pagato, gente che non ha mai capito cosa sono i contratti a progetto, i co.co.co., il precariato, la riforma Gelmini, ma hanno lo stesso la loro bassa opinione di voi, per tutto questo i Giovani sono santi.

Per essere arrivati tardi, quando già s’erano pappati tutto, ed essere stati anche sfottuti per questo, i Giovani sono santi.

Per quelli che non li capiscono e, visto che temono quello che non capiscono, li attaccano, i Giovani sono santi.

Per quelli che cercano da sempre di banalizzarli, di fare di tutta l’erba un fascio, di farli rientrare in patetici stereotipi, per tutto questo i Giovani sono santi.

Per aver sopportato le leggi peggiori, i tagli, la disoccupazione alle stelle mentre si pensa solo a giudici e auto blu, e poi aver dovuto PURE sentire quello che ti dice che nessuno ha mai fatto per i Giovani quanto Lui, per essere stati cornuti e bastonati, i Giovani sono Santi.

Perchè molti si romperanno il cazzo e cominceranno a dare ragione a tutti e un giorno, invecchiati, cominceranno a dire queste stesse cazzate ai nuovi Giovani –perchè la pazienza va bene fino ad un certo punto- ma in mezzo a loro ci sarà sempre qualcuno che non molla, che non mollerà mai nemmeno da vecchio, e continuerà a sentirsi Giovane a modo suo, nonostante questo NON sia un mondo per Giovani, soprattutto per questo, i Giovani sono santi.

Amen.

domenica 9 gennaio 2011

L'ultimo

L’ultimo film che ho visto
è stato un porno
L’ultima volta che ho ordinato una coca
è stato a scuola
L’ultima volta che mi sono confessato
nemmeno la ricordo

L’ultima cosa che mi serve
è che tu che mi dica
come dovrei vivere questa
mia vita
sbagliata e
perfetta.


Marco Zangari, 2011©

mercoledì 5 gennaio 2011

Augurare buon anno a una sconosciuta, della quale si è innarmorati

Odore di fumo, di una festa privata tra due semi-sconosciuti entrambi ammalati.
Si spogliano. I loro corpi stretti l'uno contro l'altro alla luce del camino.
Pelle contro pelle, pelli nuove e mai così vicine, pelli che si toccano.
Si guardano sullo sfondo delle fiamme, si dicono "ti amo" per la prima volta.

Mangiano carne alla griglia e bruschette, brindano con birra e asprina sciolta nell'acqua.
Poi vanno in camera e fanno l'amore fino allo sfinimento.
Lenzuola nuove, che sono lì solo per loro, si contorcono assieme alle loro gambe. Come onde anticipano l'arrivo delle loro mani.
Dopo essere venuti si addormentano.
Raffreddati, un filo di mal di gola, tossiscono a tratti.
Ma dormono sereni.
Ma dormono agli esatti opposti del letto.
Si pensano, forse si sognano, ma non si sfiorano più per tutta la notte.
Non si toccano più fino al mattino, quando lui si sveglia.
Allora le prende piano la mano e la bacia.

È un nuovo anno.

martedì 4 gennaio 2011

Il primo

Quello da conto alla rovescia
in balcone
e quello che aspetta in cucina
con un bicchiere e un sorrisino

Quello da pranzi di famiglia
il giorno dopo
e quello che guida a zigzag
tornando dalla festa

Quello che nell’autostrada vuota
lampeggia e sorpassa
e quello che rallenta e
alza l’autoradio

Quello che tutto un anno
e quello che intanto un giorno
e poi si vede

Quello che butta le bottiglie vuote
e quello che lo fa fischiettando
il Va Pensiero
in
glorioso
doposbronza

(Marco Zangari, 2011)