domenica 13 dicembre 2009

Loro e noi

Stavano tutti fuori sulla veranda
a chiacchierare:
Hemingway, Faulkner, T.S. Eliot,
Ezra Pound, Hamsun, Wally Stevens,
E.E. Cummings e qualcun altro.
"Senti", disse mia madre, "puoi
dirgli di starsi zitti?".
"No", dissi io.
"Stanno dicendo solo fesserie", disse mio
padre, "dovrebbero trovarsi
un lavoro".
"Ce l'hanno un lavoro", dissi
io.
"Un accidenti", disse mio
padre.
"Esattamente", dissi
io.

A quel punto Faulkner entrò
dentro barcollando.
trovò il whisky nella
credenza e se lo portò
fuori.
"Una persona tremenda",
disse mia madre.
Poi si alzò e sbirciò fuori
in veranda.
"C'è una donna con loro",
disse lei, "solo che sembra un
uomo".
"È Gertrude", dissi
io.
"C'è un altro tizio che sta facendo vedere i
muscoli", disse lei, "dice di
poterli battere a tre
a tre".
"È Ernie", dissi io.
"E lui", mio padre mi indicò,
"vuole essere come loro!".
"È vero?", chiese mia madre.
"Non come loro", dissi io, "ma uno
di loro".
"Trovati uno stramaledetto lavoro",
disse mio padre.
"Statti zitto", dissi io.
"Che?".
"Ho detto, statti zitto, sto ascoltando
queste persone".
Mio padre guardò sua moglie:
"Questo non è figlio
mio!".
"Spero di no", dissi io.

Faulkner entrò di nuovo nella stanza
barcollando.
"Dov'è il telefono?",
chiese.
"A che diavolo ti serve?", chiese
mio padre.
"Ernie si è appena fatto saltare
le cervella", disse lui.
"Lo vedi cosa succede alla gente
così?", urlò mio padre.
Mi alzai
lentamente
e aiutai Bill a trovare
il
telefono.

(Charles Bukowski)

venerdì 11 dicembre 2009

Somebody

I want somebody to share...share the rest of my life...
Share my innermost thoughts, know my intimate details,
Someone who'll stand by my side...and give me support...
And in return she'll get my support

She will listen to me...when I like to speak...
About the world we live in...and life in general...
Though my views may be wrong, they may even be perverted
She'll hear me out and won't easily be converted
To my way of thinking, in fact she'll often disagree...
But at the end of it all she will understand me

(...)

I want somebody who cares...for me passionately...
With every thought and with every breath,
Someone who'll help me see things in a different life
All the things I detest ,I will almost like

I don't want to be tied...to anyone's strings,
I'm carefully trying to steer clear of those things...
But when I'm asleep, I want somebody who will put their arms around
And kiss me tenderly...
Though things like this make you sick
In a case like this I'll get away with it...

(...)

(Depeche mode)

martedì 8 dicembre 2009

SE GLI INSETTI SI RIBELLANNO ALLE PIANTE

e le piante si ribellano alle case
poi le case si ribellano alle stanze
e le stanze si ribellano a mia madre.
e se mischio il sole e il tuorlo d’uovo
e il pompelmo e li bevo alla mattina
cresco bella come una mimosa
gialla e grandissima come la Cina.
poi se imparo davvero a riordinare
dati e abiti negli armadi e nel cervello
penso nulla mi potrà mai più frenare
a capire cosa è vita e cosa è bello.
allora l’amore crescerà da solo
come un timido geco ipocondriacoo un diamante talmente plateale
da sconfiggere persino lo zodiaco.

Francesca Gente

martedì 1 dicembre 2009

Nella mia ora di libertà

I vialetti sono puliti, ordinati. Le arance sono ancora tutte sugli alberi. Le zanzare che le mangiavano sono morte.
Ci sono delle panchine, un bidone della spazzatura. Una fontana asciutta. È quasi il tramonto.
Poi entri nei reparti. Puzza di piscio, di vomito, di chiuso. Di marcio. Di merda. Di dolore.
A confronto, il paesaggio autunnale là fuori ti sembra un paradiso.
In generale, l’ultimo posto sulla terra dove ti verrebbe in mente di passarci il Natale.
Eppure c’è gente che ce lo passa. E già che c’è ci passa anche la Pasqua, l’estate e il compleanno.
E San Valentino, anche se molti di loro non lo sanno.

In gruppo, dici loro che non è così male. Che la vita continua, anche in un posto del genere. Che non devono badare troppo al cibo, alla puzza, al freddo e al caldo, alle botte, alle medicine, all’ambiente in generale. Che c’è modo di vivere anche lì dentro.

La polizia è tutta ospitale, ti saluta con grandi sorrisi, e alcuni trattano i detenuti come gli amici di tutta una vita.
I detenuti si raccontano, con storie spesso strazianti. Ti parlano, ti chiedono. Anche loro vogliono essere tuoi amici. Ti si sono affidati, si sono aperti con te come nessun altro. Ti vogliono bene come ad un fratello. Sono pronti a ricominciare. Mai più, mai più. Tu sei quello che solo li potrà aiutare.
Tu conforti, spieghi, aiuti. Parli per ore. C’è tutto un mondo che vi aspetta lì fuori, dici. Tutto procede a meraviglia di là, dici. E’ pieno di opportunità. Il futuro vi aspetta. Vale la pena essere sani per un mondo del genere, dici. Tutti vi aspettano. La vita non è mica finita. Gli altri sono fuori a braccia aperte e vi hanno sempre nelle loro preghiere.
Così la prima cosa che impari è che qui si fonda tutto sulla bugia.

Li osservi. Padri di famiglia, studenti, analfabeti, lavoratori, persone semplici, gente che vedi tutti i giorni sull’autobus, negli uffici, perfino in chiesa. Spesso le cose procedevano come per tutti. Una vita normale, a volte noiosetta.
Ed ecco che ti arriva il terremoto. Chissà, forse il terremoto arriva per tutti. Alcuni magari lo sanno contenere.
Loro non ci sono riusciti.
Comincia a fare scuro. Vediamo il crepuscolo a scacchi, attraverso le sbarre.
E quell’uomo accanto è abbastanza grande da essere tuo padre. Un altro potrebbe essere tuo nonno. Un altro ancora così giovane da sembrare un fratello minore.
Un altro ancora, potresti essere tu.
Tendono a non parlare di come stanno, loro. Nemmeno le loro famiglie ne vogliono parlare. È un grande segreto.
E anche a te hanno insegnato, là fuori, che prima viene il corpo e poi tutto il resto. Che spendere centinaia di euro per uno specialista per la prostata, il fegato, le palle, la gola, lo stomaco, gli occhi, i reni, ha senso. Che correre dal dottore per ogni colpo di tosse, è più che accettabile. Che basta che c’è la salute, poi chi se ne frega.
Mente sana in corpo sano, sì. Il corpo comanda. I dottori, la nonna, gli altri, tutto ce lo dice. I serial televisivi parlano di uomini che possono o no salvare dalla morte, che possono donare di nuovo la vita, con un bisturi e delle paroline difficili. Con i loro effetti speciali. Le loro inquadrature. Le loro facce tragiche.
Nessuno però dice come la devi vivere, quella vita.
E se non lo sai?
Qua dentro ci sono persone dal fisico sano. Alcuni muscolosi. Altri meno. Non c’è niente che non vada nel loro corpo. Mangiano, bevono, defecano. Tutto regolare.
Ma non sono qui per un’ulcera o per le emorroidi. Nemmeno per il cancro, se è per questo.
Qualcosa non andava nella mente.
Un attimo, un mese, una vita. È lo stesso.
La seconda cosa che impari qui, è che i pensieri comandano e il corpo è l’eterno secondo.

Uomini enormi che piangono per quel loro pensiero. Mariti in salute che ripensano a “cose brutte”. Fidanzati che non hanno più nessuno ad aspettarli.
Gente intrappolata nei loro pensieri, prima ancora che dalle sbarre.
È sera ormai, là fuori.
Tu parli ancora, anche dopo che hai finito le parole. Ma lo senti. Senti che è sera per tutti, per te per loro per i poliziotti. Perchè quando fa buio, da queste parti, fa buio sul serio.
Saluti, allora. Cerchi di risollevare gli animi. Fai una battuta. Dài pacche leggere sulle spalle. Non t’importa nemmeno cosa abbia fatto la persona che hai di fronte.
Sai che è una persona, e questo ti basta.
Stringi loro le mani. Lasci che ritornino alle loro celle sovraffollate, agli stupri sotto la doccia, alla prostituzione per due sigarette.
Il futuro vi aspetta. Oh sì.
Saluti i poliziotti. Loro ricambiano. Il sorriso è sempre lo stesso.
Nel cortile autunnale si allungano le ombre, e sembrano non finire mai. Nella quiete innaturale di quel giardino disabitato senti un urlo che ghiaccia le vene. Magari è solo qualcuno che ha bisogno di sigarette. Magari no.
Ti chiedi persino se è un urlo umano, tanto è terribile e risuona nell’aria. Te lo chiedi, mentre passi al metal detector, mentre ritiri i tuoi effetti personali. Te lo chiedi ancora mentre stai tornando alla tua macchina, e lo fai senza voltarti mai, senza pensarci mai.
Cerchi di concentrarti sulla cena, su quello che c’è da fare a casa.
Perchè la terza cosa che impari è che la libertà non è scontata. La libertà è una gran bella cosa, quando c’è, quando la sai apprezzare.
Quando te la sai creare.
Perchè te la possono togliere. Perchè te la puoi togliere tu stesso. Te la possono togliere i tuoi pensieri.
Che duri un’ora o una vita, non c’è niente di meglio dell’essere liberi.
E lì dentro, alla fine, ci trovi tutto.
Metti la freccia. Ora di fare la spesa.
Libertà è anche questo.
E ne sei grato.

Ancora tu

Accade che una sera la luce salta, si spegne.
Buio, nient'altro che buio.
Sostituirla? Non puoi.
Buio.
Cambi stanza, ma lì non è lo stesso.
Altrove ancora la luce viene e va, non ti tiene lontana dal buio.
Ma tu stringi i denti, piccola Kz, che prima o poi arriva domani.
E domani sorge il sole.
Qui poi una torcia la trovi sempre.



(E.Sorani)

giovedì 26 novembre 2009

Vivi e vivi. E impara.

Bevi e vivi.
Abbandonati, lasciati trasportare dalle onde. Buttati.
Sai cosa ti piace, cerca di raggiungerlo. Afferralo, costi quello che costi.
Cimentati in cose che non conosci, gettati in abissi sconosciuti e che ti fanno paura. Fottitene, se puoi, della paura.
Di "ti amo", di "mi sento debole", di "ci penso io a te", di "ho bisogno di te". Di "sei un coglione", di "ho sbagliato".
Di quello che ti pare, quello che senti, ma dillo: hai una bocca, e dei polmoni per soffiarci dentro le parole.

Non aver paura di dire che stai bene, se così senti, e non aver paura di fare il contrario, se senti il contrario.

Bevi e vivi. E dormi felice. Senza stress e senza incubi.
Ma al mattino, almeno per un istante, interrogati.
Tra il caffé che sale nella moca e il rumore della mano che fruga nel pacco di biscotti, pensa.

Senza domande, senza risposte, senza capire, l'esperienza è infruttuosa.
Genera solo ricordi, piacevoli e non, ma non è utile. Non ti rende completo, non ti rende più saggio.
A patto che importi. A patto che ne valga la pena. A patto che ne abbia la voglia.
La strada per imparare passa per l'errore quanto per l'ammissione di averlo commesso: un ego superbo può rifiutarsi.
Un ego superbo è il primo nemico del miglioramento, del completamento.

Tu vivi e vivi. E impara.
Impara prima di tutto a non essere superbo.

mercoledì 25 novembre 2009

W le Nonne!

X: “Non ho tempo per queste cose,
ci sono altre priorità,
dovrò aspettare almeno un altro anno!”

Mary: “Ma non c’è un tempo per i sentimenti,
sono liberi e vanno vissuti quando arrivano,
non si possono mettere in lista d’attesa!!!”

X: “Parli come mi a nonna!”

Beh forse è vero!...
Non sarò alla moda facendo questo ragionamento
in un mondo pieno di impegni,
in cui non abbiamo più il tempo di far pipi’ e spesso nemmeno di pensare.

Ma se parlare come una nonna vuol dire:

credere che i sentimenti ed i rapporti con la gente siano qualcosa di meraviglioso;
qualcosa che ci arricchisce;
che ci fa sorridere e ci da sostegno e forza quando le priorità della vita ci stressano;

allora sono davvero fiera di essere chiamata Nonna.

Alcune volte è molto più semplice dire che non si ha il tempo di vivere
piuttosto che ammettere che ci manca qualcosa o qualcuno…

Comunque sia W le Nonne!

Paradiso

E' la destinazione che tutti ci auguriamo di raggiungere, prima o poi.
Magari non esiste, e allora chiamiamola semplicemente FELICITA'.
Felicità.
La vita è un enorme stazione in cui ogni giorno arrivano e partono decine di treni.
Sono le occasioni. Quelle cose da non lasciarsi sfuggire, da prendere al volo, carpe diem etc.
Alcuni di questi treni, però, non hanno la scritta che riporta la destinazione. Non sono come gli autobus su cui sali tranquillo dopo aver letto "Termini" o "Piazza Venezia".
Ne passano a iosa, ma solo alcuni, in verità pochissimi, hanno le carte in regola per portarti verso FELICITA'.
Che poi la destinazione è assolutamente personale. Ognuno vuole il suo angolo di paradiso, quello universale è solo un luogo turistico come Machu Picchu.
E quindi non dipende solo dal treno, ma nello stesso modo dal biglietto, dalla comodità (o scomodità) dei posti a sedere, dall'itinerario e dal panorama.

Poi ci sono treni in cui si sale in due.
Ci si può saltare sopra in corsa oppure mettersi d'accordo e salire mano nella mano.
I bagagli? Meglio comprare tutto di volta in volta, nei market delle prossime stazioni.
Se il treno è quello giusto, andare in Paradiso insieme è un valzer del lago cigni, è una leggera meraviglia.
Alre volte ci sono scossoni, brusche frenate e ripartenze stentate. Il treno potrebbe anche non essere quello.

E se ci vogliono prontezza e un po' di coraggio, per salire su un treno che passa e non si sa dove va, altrettanti e forse più ce ne vogliono per abbandonarlo prima che deragli. Si può concordare con l'altro una stazione, o alle brutte saltare in corsa.

Sempre ricordando che viaggiare e conoscere può essere fantastico anche al di là delle singole mete.

Buon viaggio a tutti.


lunedì 23 novembre 2009

Mattatoio n. 5





Faccio una piccola premessa, ma non la faccio lunga giuro, che qui non è un forum letterario e gli unici critici del Morgana sono quelli delle doppio malto (rosse o bionde?).


Facciamo così: io vi dico quel che mi piace, e voi ci fate con questo quello che vi pare (anche cose sconce, non mi scandalizzo).


La premessa (e speriamo non venga fuori troppo Pieroangela): il bombardamento di Dresda, durante la Seconda Guerra Mondiale, è un fatto storico sconosciuto ai più. Nemmeno io ne sapevo molto, a dire la verità, e vi assicuro che per qualche perverso motivo ho letto abbastanza sulla WWII.


Pochi sanno che il bombardamento avvenuto a Dresda nella primavera del 1945 è stato il peggiore di tutta la guerra. Per intenderci: a Dresda, in una sola notte, sono morte 135.000 persone. A Hiroshima, 70.000 e rotti. Ma rotti proprio.


Quello che fa di Dresda un caso particolare non è solo la violenza spropositata, ma anche inutile –se ne esiste una utile. La guerra per la Germania era ormai finita, i russi bussavano alle porte di Berlino. Dresda non aveva mai fatto male a nessuno. Ma gli Alleati erano incazzati. E quella sera, come un marito ubriaco e rissoso, sfogarono tutta la loro rabbia repressa.


Fine della premessa.



“Mattatoio n. 5” è un libro che parla di guerra, ma non è un libro di guerra.


“Mattatoio n. 5” è più un libro che parla di fantascienza. Ma non è nemmeno un libro di fantascienza.


“Mattatoio n. 5” è un libro strano, un libro che è vero e finto, immaginato e troppo reale. È il libro di un sopravvissuto. E la vita di chi l’ha scampata, si sa, ha sempre quella marcia e quella risata amara in più.



Kurt Vonnegut, l’autore, era un prigioniero americano che per caso, quel giorno del ’45, si trovava a Dresda. Si salvò solo perchè era nascosto nelle budella di un macello, mentre fuori le bombe cadevano più insensate del solito.


Per anni Vonnegut ha provato a scrivere un libro su quello che era successo a Dresda. Semplicemente, non ci riusciva. Ci aveva provato e riprovato, con la bottiglia di whisky accanto, ma niente.


Non voleva scrivere un libro di guerra. Ma forse la luce era stata troppo forte.


Poi un giorno una donna gli fece capire che il mondo ne aveva piene le palle di generali alla John Wayne con la barba di tre giorni e la parlata rude e il loro coraggio da propaganda. Che nessuno ne poteva più di quelli che soffrono a far la guerra ma in fondo gli piace e se tutto va bene torneranno a casa con qualche storia da raccontare. Che Hollywood ha sputtanato tutto, e che la guerra, persino la gloriosa WWII, non è quella dei film. La guerra l’hanno fatta dei ragazzini mandati al macello per motivi che nemmeno conoscevano.



Così un giorno la storia nasce, e con la guerra non c’entra niente.


non c’entra niente con un bel po’ di cose, ma poi finisce per entrarci. Perchè Vonnegut, ancora a bocca aperta dopo tutti quegli anni davanti a quello che l’uomo può fare nei suoi momenti peggiori, usa una fantascienza ripiena di triste umorismo, di ironia tagliente, di voli pindarici, di cazzate in fila e poi quelle 4 paroline che ti colpiscono allo stomaco.


La storia non è facile da seguire, ma nemmeno l’uomo lo è, in fondo. E di fronte ad un massacro così nobile e così stupido, l’unica cosa che si può fare, forse, è rifugiarsi nell’assurdo, è credere agli alieni, è vincere il tempo, è farsi una risata dopo troppe lacrime.

Perchè è facile dire che la guerra è orribile. Dimostrarlo, è tutto un altro paio di maniche.


Così, mentre Billy Pilgrim fa i suoi strani viaggi avanti e indietro nel tempo, e tra la Terra e Tralfamadore, noi restiamo attaccati alle pagine, senza retoriche senza sentimentalismi senza facili emozioni, e semplicemente fluttuiamo, incapaci di comprendere un Secolo così imbecille, che non sa nemmeno che per i tralfamadoriani tutto è successo, succede e succederà. Incastonati in un pezzo d’ambra, qui o lì, non fa differenza.


So che non ci avete capito niente.


E’ proprio questo il segreto della bellezza di “Mattatoio n. 5”.


Come al solito, buona lettura.



giovedì 19 novembre 2009

ANDATE A FARE IN ...... DIGITALE!

Torno adesso dalla terza "risintonizzazione" in tre giorni. Già non ne posso più.

Non ne posso più da molto prima, in realtà. Pubblicità, avvisi, pubblicità e avvisi, avvisi e pubblicità.

"Non si vede più la tv","Siamo rimasti al buio","Ieri sera che tristezza, senza la tv","E' sparita la Rai".

Io non sono un tecnico, non ne capisco una mazza di analogico e digitale. Però per colpa del loro avvicendarsi (da me mai richiesto) sono costretto a correre da una parte all'altra di Roma per porre rimedio a sfaceli televisivi.
E corro, e poi sudato sono bloccato nell'autobus con seimila persone che sudano anche loro e che tossiscono, e che si lamentano del traffico e che è saltato canale 5.

"E ora come si fa?" dice una signora.
"Deve chiamare il numero verde" gli risponde un uomo anziano coi baffi, che ha l'aria di sapere il fatto suo.
"Macché, quelli non rispondono mica. Hanno detto che i centralini sono occupati, perché sono stati presi d'assalto".
"Però potrebbe essere anche l'antenna, chiami l'antennista".

Un casino. Non di quelli belli e buoni, ma brutti e cattivi. Un casino di quelli peggiori.

E io provo a calmare le acque, a mettere un po' d'ordine in quella confusione di telecomandi, decoder, bollini blu, antenne e batterie.

"Però questi problemi ai canali possono continuare sino al 30 novembre", dico.

E tutti crollano di nuovo nel panico e nello sconforto, come se avessi detto loro "Fino al 30 novembre immani sciagure potrebbero colpire la nostra gente". Si lamentano, e magari hanno anche ragione.

La domanda più importante, la frase più profonda, però non la dico.

"Ma non ce la fate a stare senza tv fino a fine mese?"

mercoledì 18 novembre 2009

La conversazione

Negli uffici del manicomio

gli impiegati non facevano

niente

ma parlavano, parlavano tanto

di calcio fica berlusconi grande

fratello calcio ancora pettegolezzi

ed ero l’unico che

non aveva niente da

dire

Prendiamo un caffè, dissero

così andammo al bar

e sentivo gli altri che parlavano

di calcio fica berlusconi vecchi film

vecchie barzellette pettegolezzi cibo soldi

fica tette calcio

io bevevo il caffè in silenzio

non avendo niente da

dire

Più tardi quel giorno visitai

un paziente

tutto andò liscio

e anzi facemmo una bella conversazione

su viaggi città esperienze cicatrici arte

donne solitudine nuvole libri episodi

buffi tragici cristi sconosciuti ciò che amavamo ciò

che odiavamo

ciò che ci lasciava indifferenti

parlando & ascoltando

senza aspettare soltanto

il proprio turno

Alla fine gli

chiesi

ma lei perchè è qua?

lui mi guardò e disse

non avevo niente da

dire

nelle loro conversazioni

Lo salutai e

mentre stavo uscendo dal

manicomio

feci un cenno alla guardia

e dissi

-però che tette quella

bionda in segreteria, eh?

(Marco Zangari, 2009)

Perché a me mi girano le palle


è inutile negarlo a me mi girano le palle ed è un girare vorticoso, quasi un moto ipnotico. Gira che ti gira ho deciso di fermarmi all'Hotel, brontolarvi addosso le mie sciabordanti frustrazioni. Ho da poco ottenuto il visto australiano a "tempo indeterminato" (lo definisco in questo modo perchè voi non ne capite niente di visti, dato che siete ignoranti, nel senso che ignorate il tema, poi se ignorate troppe cose allora siete proprio ignoranti, quasta volta nel senso che siete stupidi).
Molti mi hanno chiesto se fosse un primo passo verso la cittadinanza... non so per quale motivo, forse la caffettiera sul fuoco, forse i rigatoni Barilla, forse le mie mutande firmate Oviesse, tutto questo ha risvegliato in me uno Tsunami di patriottismo alla Borghezio. Io, sdegnato, pottì (voce del verbo passato remoto di potere, ve lo specifico perchè il dubbio della vostra ignoranza è ormai quasi certezza) solo ricordare allo straniero Canguroto che il mio legame verso il tricolore non fosse in discussione. Evidentemente avevo presto dimenticato che zavorra puzzolente e sgradevole possa essere quello stivale...Sempre ultimi in tutto, sempre sgradevoli, sempre incompetenti... io odio l'Italia e gli Italiani , spero di potere al più presto dimenticare la lingua in cui scrivo e scordarmi di questo pasticcio che si chiama Italia... Viva la Lega Nord!

lunedì 16 novembre 2009

Quando si dice si va in toscana. Ovvero anche un'altra volta.

Il cielo è grigio fin dalle prime ore della mattina (vabbè, mo' "prime" è un eufemismo, cmq dalla prima mattinata). Grigio come una cappa, che si estende fino all'orizzonte. Ma è il compleanno di G. e quindi tutti si va in toscana. Sei con due macchine.
Ora, non starei qui a scrivere tutta la vicenda, se V. ieri non mi avesse fatto notare che è successo di tutto, ma proprio di tutto, tranne che, ecco, giuncerci. In toscana.
Allora c'è questo cielo grigio che ci accompagna fino all'imbocco della roma-firenze e che poi si affeziona tanto che decide proprio di non abbandonarci più. C'è questo cielo, dicevo, e fin qui ci siamo. Ci siamo io, P. e il Bella in una macchina. L., V. e S. nell'altra.
Nella macchina di P. c'è il Bella che ci racconta la settimana di lavoro a Rimini trascorsa appresso al "capo", un truzzo talmente truzzo che se ne va in cantiere con i pantaloni attillati di pelle e le scarpe a punta (rigorosamente di pelle pure quelle). C'è l'mp3 nello stereo della macchina di P. (e ci sono io tutta contenta perchè finalmente ho l'impressione che regalargli una nuova autoradio in fondo non sia stata una cattiva idea), quando a un tratto si sente un fischio. Compare la spia luminosa dell'olio e cos'è-che-cosa-non-è la macchina si ferma. Tum, tum, tum. Quattro frecce. P. si sposta sulla corsia di emergenza appena in tempo per evitare uno sfracelo dovuto al cossiddetto tamponamento a catena.
Ci guardiamo tutti attoniti senza pronunciare parola fino a che non giunge la bestemmia di P.

Mezzogiorno circa. Siamo poco prima dell'uscita per Orvieto. L. fortunatamente (si può dire in questi casi?), andando a un'andatura più lenta, è dietro di noi. Telefoniamo. Compare la macchina. E così da tre ora siamo in sei sulla corsia di emergenza. Diciamolo pure, sei cojoni, che balbettano e osservano, con l'attenzione propria degli ignoranti, l'interno del cofano della macchina di P. giungendo alla conclusione di telefonare al numero verde dell'assicurazione, che promette di assisterci entro la mezz'ora seguente.
Mezzogiorno e quindici. Si ferma dietro di noi una volante della polizia (faccio notare che i cojoni diventano otto).
Cos'è-successo-cosa-non-è-successo, chiedono il libretto e scoprono che la revisione della macchina doveva essere fatta entro la scorsa estate. Nonostante tutto, P. non sviene. Appare lucido e quieto (che uomo!).
Dopo la telefonata alla madre di P., revisione-fatta-revisione-non-fatta-boh-, giunge anche il carro attrezzi.
Il poliziotto si mette una mano sul cuore, osserva P. con espressione dolorante e proferisce poche parole "Ragazzo mio, io credo che la tua macchina sia morta. Tanto vale evitare il fermo dell'autovettura e farti pagare la multa." Eh sì, tanto vale. Oltre al danno, almeno si evita la beffa. Così io e P. saliamo sul carro attrezzi e arriviamo ad Attigliano, dove l'auto viene lasciata all'interno dell'autofficina.

Il cielo è sempre grigio e abbiamo appena varcato il confine con l'Umbira. Ma in più abbiamo anche una gran fame.
I sei poveri-affamati-sfortunati giovani cercano un ristorante a poco prezzo (nel frattempo l'amico G. di cui è il compleanno finirà di mangiarsi un boccone in toscana per poi raggiungerci nel pomeriggio). S. conosce un agriturismo vicino, ma si fanno convincere dal mio cattivo sesto senso che il ristorante più vicino all'officina sia ancora più economico.
Così si entra in quest'ultimo, si va in bagno, si apre il menù per poi scoprire che i prezzi sono inaccessibili.
In un battibaleno siamo di nuovo fuori.

Terminato il pranzo nel buon "ristorante a poco prezzo", giunge finalmente anche G.
Il cielo è inconfondibilmente grigio. Manco a dirlo.
S. ha uno zio a Giove. Si prendono baracca e burattini e si riparte.
Lo zio si S. ha una villa circondata da enne_ettari di verde e una piscina di acqua salata.
Il piano terra è tutto un salone distinto in più ambienti con camini grandi quanto la casa di G. e divani grandi quanto letti a una piazza e mezzo. La casa per "giganti" ci fa restare tutti a bocca aperta. Prendiamo un caffè chi con zucchero raffinato, chi con quello di canna (perchè la coca è finita), quando sentiamo un bimbo gridare "papà, papà, sei in televisione".
Ora guardiamo tutti lo schermo della TV. C'è Nancy Brilli che parla. E poi compaiono le foto dei suoi tre ex-mariti.
Il padre dei bimbi fa un gran sorriso sornione. Allunga le braccia come per stiracchiarsi e non proferisce parola.
Dove-siamo-dove-non-siamo, finisce che cerchiamo tutti di darci un tono. Schiena dritta, pancia in dentro.
Beviamo vino a sorsi brevi e mangiamo tranci di crostata lentamente, evitando di sbriciolare a terra.
I sei cojoni sono finiti nella casa di Zio Paperone e quand'è così, si sa che ci si scorda delle magagne.

sabato 7 novembre 2009

L'angoscioso problema del crocefisso





Qualcuno le chiama armi di distrazione di massa. Non so. So che a 4 giorni dalla sentenza che “vieta” il crocefisso nelle scuole, non c’è telegiornale o giornale che non gli dedichi uno spazio in prima pagina. Si intervistano ministri, vescovi e soubrette. Ci si domanda sul perchè questa Corte di Strasburgo sia così senza cuore, così cieca. Si parla di gruppi di giovani di destra che entrano nelle scuole per lasciare crocefissi come protesta contro questo abominio. Di sindaci che emettono ordinanze contro questa sentenza europea. Di crisi dei valori, di tradizioni, di religiosità. Di confronto. Di dialogo. Di ministri che urlano su persone che possono morire, ma quel crocefisso non si deve toccare (in evidente sintonia con lo spirito e la tolleranza del nostro Cristianesimo). Addirittura ieri ho sentito Sgarbi che dava la colpa di un omicidio-suicidio tra marito e moglie vicino Napoli alla sentenza di Strasburgo.


Ecco come ci fottono.



La tecnica è semplice: prendi una cosa di cui non frega un cazzo a nessuno ma che sai già che attecchirà sulla massa in quanto evidente ingiustizia, e ne parli ne parli ne parli finchè la gente non pensa ad altro. La distrai, e in più la unisci contro un nemico comune –in questo caso quei cattivoni della Corte. Ma che bastardi eh?, dicono agli italiani. Noi che c’abbiamo il Papa c’abbiamo le chiese, ma come si permettono questi stronzi senzadio eh?, li infuocano i telegiornali.


E intanto la gente non pensa.


Non pensa che questa cosa è inutile. Peggio: è offensiva. Ci siamo mobilitati tutti, il ministro che fà ricorso, le masse che mettono mano ai forconi. Come se questo fosse il nostro primo e unico problema.


Anzi, come se questo fosse UN problema.


Chi se ne fotte del crocefisso in classe. Non ricordo nemmeno se ne avevamo uno noi, ma anche se l’avessimo avuto NON era quello il problema. NON lo era allora, NON lo è adesso. Scudo fiscale, un premier sotto processo, una crisi infinita, il terreno che frana, la libertà che diminuisce sempre più, la mancanza di ricerca di soldi di lavoro di speranza...e noi ci indignamo per il crocefisso.


Hanno vinto.



Così si abdica al proprio pensiero, alle proprie opinioni, alle proprie responsabilità di uomo nel mondo. Gli dici, fate voi, e loro ci danno sotto. Ormai è la televisione a decidere per cosa ci indignamo e di cosa ce ne sbattiamo. Nemmeno delle nostre emozioni possiamo fidarci più. Basta un certo tipo di ripresa, una certa musichetta in sottofondo, e un piccolo incidente diventa una tragedia apocalittica da cannibalizzare.


Basta un silenzio in più, e 30 morti sotto il fango scompaiono da un giorno all’altro.


Ci sovvertono i sensi, ci cambiano la realtà, ci camuffano la verità. Ormai ti fidi solo dei telegiornali per quello che accade. Non hai nemmeno una tua VERA idea sull’accaduto. Vai al posto di lavoro e ne discuti ripetendo per filo e per segno quello che hai letto. Non ti chiedi nemmeno se è vero. Non ti chiedi nemmeno cosa DAVVERO ne pensi su quella faccenda. Sei un’altra delle pecore che fa bee bee. Sei il mediocre che loro volevano tu diventassi. Servi solo a votare, acquistare e stare zitto.



E così nella stessa settimana abbiamo questa notizia del crocefisso e quella dichiarazione del nostro premier.


Del crocefisso, dio mio, ma a chi cazzo vuoi che gliene freghi? Eppure diventa questione nazionale. Una cosa da lavare nel sangue. I giornali fanno partire i sondaggi, i presentatori tv aizzano la folla. Le casalinghe i vecchietti i soliti bigotti che si scandalizzano. Quelli che vanno a messa a Natale e dicono che gli immigrati dovrebbero morire al paese loro.


E la notizia è falsa, è pura superficialità. Mica dimostri così se uno Stato è laico –così come quello italiano dovrebbe essere, sulla carta. Lo dimostri fottendotene dell’ingerenze sempre più pesanti del Vaticano sulle leggi, sulla salute, sulla società. Facendo pagare l’Ici alla Chiesa, la più grande compagnia immobiliare del mondo che alza gli affitti e sfratta i poveracci all’insegna dell’amore cristiano, e poi ti chiede pure l’8 per mille facendoti vedere il bambinetto africano. Instituendo le coppie di fatto e legalizzando la prostituzione, dando diritti agli omosessuali e permettendo la procreazione assistita e la ricerca sulle staminali.


Questo è laico, signor Bersani. Non un pezzo di legno appeso al muro.



Di contro, quel nanetto lì che dichiara, in caso di condanna nei miei processi non mi dimetterò.


Ecco, lì ti aspetti che si scateni il finimondo. Che l’opposizione urli tanto da far cadere i muri. Perchè, che cazzo, qui c’è un tizio a capo di uno Stato che dice esplicitamente di non riconoscere la validità del suo apparato giudiziario –che lui stesso, in quanto Primo Ministro, dovrebbe contribuire a tutelare come istituzione fondante- e di sbattersene del risultato finale. In un Paese dove se hai dei precedenti per rissa al bar non puoi partecipare a certi concorsi. In un mondo dove i leader politici si dimettono anche solo se vengono INDAGATI, in attesa di scoprire la verità.


Questa, al mio Paese (che non so più quale sia) si chiama eversione. Fra un brigatista che mette le bombe e un Capo di Stato che fa una dichiarazione del genere, non ci vedo molta differenza (morti a parte).


E nessuno ha fiatato. Nessuno ha detto niente. il solito Berlusconi, ha ripetuto qualcuno, con quell’aria bonacciona di quando si parla del povero zio rincoglionito.


C’è un Capo di Stato eversivo, e nessuno dice una sola parola. Non i suoi alleati, non quell’opposizione di fiancheggiatori. Glielo dica quando andrà al Parlamento Europeo, signor D’Alema. Glielo dica che abbiamo un capo-dittatore eversivo. Come? Come dice? È stato proprio lui a mandarla lì?


Ah.


Ecco.



Una notizia importante, ma era messa dietro, come il papello tra mafia e Stato, come i morti sul lavoro, come i licenziati e i disoccupati. Dietro, in mezzo ai servizi sul dove passerete le feste di Natale e sul perchè nell’era di Internet i giovani non si scrivono più lettere d’amore. Dietro dietro, in fondo, per non farle vedere troppo.


E poi il posto davanti è già occupato.


C’è il crocefisso.


Per Dio.






lunedì 2 novembre 2009

Ciao



"Al tuo sguardo freddo e libero"


venerdì 30 ottobre 2009


Essere lesbica non sempre è stato facile.
Essere una segretaria lesbica è ancora più difficile.
Proverò a spiegarmi meglio.
L'ambiente aziendale è la balena di Pinocchio, la bocca del lupo di Cappuccetto Rosso, la carrozza che si trasforma in zucca di Cenerentola. Da grande scopri che tutto quello che ti narravano quando eri bambino ha un inesorabile fondo di verità...tutto sommato.
Ho scelto la strada impervia del posto fisso...non sempre più accogliente di quella da eterno precario.
Almeno da free-lance, da artista mancato, da disoccupato cronico le tue lamentele sono giustificabili. In Italia se hai un contratto a tempo indeterminato diventi un unto del Signore...
Anche se spali carbone sarai per gli altri un eletto di Gesù Cristo perché mensilmente hai una sicurezza economica.
Oggi è il lavoro a scegliere noi.
Prima di fare questo ingrato mestiere me la spassavo beatamente in un call center ...almeno rientravo in quella folta schiera di laureati in Scienze delle Zucchine che finiscono a blaterare inutili frasette di rito indossando cuffie di bassa manifattura...
All'improvviso la folgorazione... voglio crescere, fare carriera, far tacere il telefono per sempre.
Così mi ritrovo qui... è quasi passato un anno. Preparo caffé, stampo pagine su pagine, sopporto a stento mentecatti in cravatta e donnine assevite al mito dell'uomo di potere.
Ovviamente , per fortuna, ci sono le eccezioni...
Non mi sono piegata... ho mantenuto le mie scarpe da tennis e il mio sguardo rigido da osservatore esterno...
Sono il narratore onniscente di me stessa...
Il materiale qui non manca, l'umanità è fin troppo variegata...
Pensavo che il maschilismo fosse un retaggio di antiche generazioni... invece è attuale, è respirabile. Bisogna ammettere che lo zerbinismo delle donne alimenta questa malattia... specie in certi contesti lavorativi. Le donne sorridono maliziosamente, si imbarazzano, diventano rosse ... si precipitano con vassoi d'argento per servire con solenne mestizia il capo di turno.
Per quel che mi concerne, ho sviluppato il dono dell'invisibilità... sanno che la speranza di convertirmi all'universo tailleur è altamente blanda... l'ho indossato solo per i colloqui e poi l'ho riposto nell'armadio...tanto le fotocopie potrei farle anche in mutande.

giovedì 29 ottobre 2009

per un nuovo hotel..una nuova valigia..


E’ ora di preparare la valigia…un viaggio? Si…si può chiamare così…è un viaggio un po’ diverso però…parto? Probabilmente…me ne vado per un po’ da tutto ciò che ha provato ad anestetizzarmi…sentire…questa è la mia meta… Ora per un viaggio ambizioso si rende necessaria una valigia piena di buoni propositi…perché mi spinga a perdere la voglia di tornare…dentro ho messo…
Ci ho messo la mia risata…è troppo clamorosa per lasciarla qui, mi farà compagnia…è un po’ contagiosa…non so bene quanto…ma credo quel po’ che basta per farmi incontrare sorrisi…
Ci ho messo i miei occhi…perché siano filtro attivo di quello che mi verrà offerto…perché possano spiare l’inosservabile ed eludere il palese…
Ci ho messo la mia curiosità…perché continuerò a scoprire, continuerò a chiedermi, proverò a non essere passiva…
Ci ho messo dentro anche i miei sbagli, gli errori perché ci sono cresciuta…li ho messi perché li vorrò rivedere di tanto in tanto…per pentirmene ancora…o per riderci su…o semplicemente per farmi avere sempre la voglia di farne ancora…
Ci ho messo del disinfettante…perché saprò ancora sbucciarmi le ginocchia…
Ci ho messo una bottiglia di vino….forse ne aggiungerò delle altre…perché sia con me quando avrò voglia di scaldarmi…quando sentirò la necessità di inebriarmi o semplicemente quando avrò voglia di gusto…
Ci ho messo la passione, la stessa che cerco di mettere in tutto quello che amo…la stessa che fin’ora ho usato per farmi calzare a pennello le mie situazioni…la stessa con cui salgo su un palco…la stessa con cui studio la mia disciplina…la stessa con cui sfioro i corpi con i quali mi fondo…
Ci ho messo qualche vecchia foto…di quelle che quando le guardi sorridi perché ti ricordano attimi che vorresti rivivere milioni di volte…
Ci ho messo qualche buon cd…cioè…buono per me…così da avere la colonna sonora della mia vita…
Ci ho messo qualche foglio di carta e qualche penna…per non scordarmi di appuntare i colori..gli odori…i silenzi e le risate che la memoria tende a tralasciare…
Ci ho messo il profumo di mia madre…così che possa sempre sentirlo quando ho bisogno di sentirmi a casa…così che possa sempre immaginare lo sguardo che mi farebbe..e da lì..capire qual è la strada giusta da percorrere…
Ci ho messo tutto…tutto quello che mi serve… Non resta che partire… Strade diritte o sbagliate è il tempo di continuare a percorrerle…con la mia valigia…
E dentro…”ci sono solo quelle due farfalle dure a morire”…

mercoledì 28 ottobre 2009

Di corsa piano piano

Così diceva mio nonno buon'anima, che forse non c'era mai salito sulla metropolitana.

Io invece lo faccio spesso.
Coi tempi che sono cambiati, con le linee che sono diventate due e pensano a raddoppiarsi entro breve. Coi parcheggi che lì sopra sono finiti, con le strade che tra ingorghi e semafori non trovi posto nemmeno a camminarci in punta di piedi.

Io la metro la prendo spesso.
Nonostante abbia le sue pecche, come ogni altro servizio urbano di Roma, riconosco che per i tempi di percorrenza valga almeno il prezzo del biglietto (quello dell'autobus dovrebbe invece essere dimezzato).

Ci siamo chiusi in spazi sempre più piccoli e li abbiamo resi affollati come formicai. Sottoterra, specie nelle fermate più importanti, la sensazione di soffocamento e confusione è in grado di disorientare anche il più esperto metro-viaggiatore, talvolta.

Tutti in fila a sgomitare per entrare per primi, per accaparrarsi uno dei pochi posti a sedere rimasti in palio. Sgomitare con chi li brama come e più di noi, sgomitare con chi invece abbandona il vagone felice di "aver già dato".
Ma non è detto che per lui sia finita. Non è affatto detto che sia salvo.
Ora forse deve correre in superficie, deve uscire a riveder le stelle a tempo di record, prima che il suo appuntamento sfumi nel nulla rendendo inutile tanto affanno.
Altri si cercano, e forse a loro non basterà ritrovarsi tra la folla per tornare a stringersi la mano.
Altri ancora avanzano senza piglio e senza vita, come fossero anime in marcia verso l'attracco del malevolo traghetto.

Io invece voglio solo correre.
Per allontanarmi da quell'inferno, per fuggire via lontano verso l'aria esterna che sarà pur sempre sporca ma almeno anche più viva.
Scatto tra quegli spettri, ne scarto due o tre alla volta tra un "permesso" e uno "scusi". Saltello tra i non morti, zompetto agile e un po' sudato tra gli zombi.

Poi però mi fermo, di colpo.
Una decina di persone deviano il flusso di spiriti come una specie di promontorio.
Nel gruppo, che cerca di non perdersi come un trombo nella circolazione, dei ragazzi down.

E io, che voglio solo correre, rallento con calma e aspetto.
Capisco.
Ma da dietro uno spirito appena superato mi rivela una sua insospettata consistenza fisica.
Muscoli, ossa. Carne.
Mi urta per trovare un varco ai margini del promontorio, mi spinge contro quel gruppo di persone circondate dall'inferno.
I ragazzi sono confusi e spaventati, e io finisco praticamente in mezzo a loro.
A parte per lo sguardo e il cappellino che io non porto, non sono affatto diverso.
Anche loro vorrebbero solo correre, scappare. Solo che hanno bisogno di qualcuno che li aiuti.
Commento amaramente la spinta di quel morto vivente, scusandomi per aver impattato contro alcuni di loro. E loro hanno la forza di sorridermi.
E in quell'inferno di ribollente magma, di romboanti suoni metallici, di anime intente a andare piano verso una morte che si rinnova ogni giorno, il tempo si ferma.
E filtra una luce, fatta di simpatici sguardi sorridenti.

Dura un attimo, ma la ricorderò per sempre.
Riprendo la mia strada, in salita verso le stelle.

domenica 25 ottobre 2009

Il sogno

Cammina lentamente l’Anima,
volto di donna
vesti candide e cuore in fiamme.
In una tiepida giornata di Maggio si adagia,
e con grazia,
la mano della quiete la sfiora,
aprendo le porte della felicità.



Mariagrazia

Inneres auge

L' ora legale lascia il posto all' ora solare
prendo due euro e vado a votare.
Non piove neppure e io ci voglio vedere un segnale positivo.
Peccato che lei non ci sia tra i candidati, friulani fortunati.
Adesso, dopo una settimana, vinto il virus, esco.
Giusto in tempo per un' altra lotta.
Augurandoci che non finisca proprio così.
Buona domenica hotel.
See you
G

Per

Per quel sorriso di L, che a volte ho il meraviglioso potere di accendere.

Per C che alla fine si fa viva, anche se per un favore.

Per gli occhi di Z, poco più chiari dei miei, in cui leggo chi sono.

Per il mal di stomaco di B, che io ho capito solo dopo.

Per le piccole occasioni mancate con E, che non sono la parte centrale dell'amicizia.

Per quell'amore che a S non fa aprire gli occhi.

Per E che soffre per un amore finito, ipotizzando a torto che fosse l'ultimo.

Per M, cui correggo gli errori con l'evidenziatore giallo.

Per T, che forse alla fine sarà quella che mi taglierà i capelli.

Per il viaggio avventuroso con F, che mi rimarrà sempre nel cuore.

Per tutti voi. Per la vita.

sabato 24 ottobre 2009

H-DE

Accade che è Accadì, diceva una pubblicità.
Te la ricordi, amico mio?

Ma cosa accade realmente, al di là del triste e piccolo schermo?

Accade la vita.
Quella di routine che la conosci a menadito e ti aliena, che potresti diventare matto e fare una strage senza riconoscerti.

Accade la vita.
Quella emozionante che ti lascia respirare a stento, tanti sono gli eventi che veloci si susseguono fin quasi a soffocarti.

Accade che ti ritrovi a correre sotto la pioggia, senza logica, avendo cura solo una rosa.
Accade che tornare a casa ti sembri più inutile e sbagliato che mai, quindi non torni.
Accade che l'amicizia va oltre qualcosa che poteva esserti detto e non lo è stato.
Accade che un telefono, all'improvviso, segna il numero di chi davi perso per sempre.

E a te, amico mio, cosa è accaduto?

Comunicazione di servizio

Cari Amici,
Mi è giunta voce che qualcuno di voi mi cercava disperatamente così ho pensato di lasciare i miei contatti.
A presto
M.

mauro.gagliardi@hotmail.com

0061 437498259

2/6 McKay Street, Gatton, QLD, 4343
AUSTRALIA

venerdì 23 ottobre 2009

Kurt






Ci sono le cose che ti vengono bene e poi ci sono i capolavori. Ci sono i concerti, con un tizio lassù che canta, e poi attimi di pura magia, un’alchimia che chissà come cazzo è venuta fuori, ma c’è stata e il cielo si è aperto solo per quello.


Non so quante volte, da ragazzi, abbiamo ascoltato l’Unplugged a New York dei Nirvana. L’ultimo album della band. Una gemma da conservare accanto al rock dei Settanta, le suonate per archi di Mozart, certe poesie di Fabrizio. Uno di quei momenti lì, quando il cielo si apre.


E l’Unplugged, nelle nostre teste matte sedicenni, era più di tutto “Where did you sleep last night”, cover di un vecchio brano blues che tutti conoscevamo familiarmente con le prime parole della canzone “My girl, my girl”.


Ed eccolo Kurt in video che annuncia il pezzo, eccolo che fa ridere il pubblico (ma come, non era quello sempre triste lui?), ecco che attacca con la sua chitarra mancina. E ogni volta che lo fa, è come se fosse ieri.



Strano, ma non ho mai pensato a Kurt Cobain come un mito. Nessuno di noi lo ha fatto. Anche se ognuno dopo ha fatto i soliti accostamenti, lui non c’entrava niente con quei nomi lì.


Kurt suona ancora il suo pezzo, ispirato come non lo è stato in tutta la serata. Riesce a mantenersi intonato anche nelle parti più acute. Regge che è una bellezza. I muri dell’auditorio respirano con lui.


E tu vorresti dirgli non fermarti per nessun motivo, Kurt.



Quella è stata l’ultima canzone. Nessuno lo sapeva. Dopo, però, tutti sapevano tutto. Dopo quel giorno di aprile, tutti avevano capito ogni cosa. Tutti avevano la loro verità. Tutti avevano in tasca i loro ma chi cazzo te l’ha fatto fare, i loro era solo un tossico, i loro no no da padri che non ci sono mai stati.


Non fermarti, Kurt. Non farli cominciare con le loro stronzate.



Kurt Cobain non era un mito. Ci avrebbe fatto ridere solo l’idea.


Tutti lo ricordano per una quel giorno di aprile. Io invece me lo ricordo per questo aneddoto sulla sua vita che ho letto da qualche parte.


Un giorno Kurt si trovava ad Aberdeen, la città di taglialegna alcolizzati nella quale si trovava bene come un onesto in Parlamento. Cosa non rara, si era trovato coinvolto in una discussione con uno dei suddetti taglialegna in un pub. Il taglialegna aveva cominciato a menarlo. Era una montagna. Kurt invece pesava quanto un bambino, viveva nel giardino degli amici e mangiava quando capitava.


Ovviamente il taglialegna l’aveva pestato a sangue. Kurt però non reagiva. Non faceva niente.


Quando il taglialegna si stancò di menarlo e fece per allontanarsi, Kurt da terra dove si trovava ebbe la forza di sollevare il braccio e mostrare il dito medio, con un sorriso tumefatto. Il taglialegna gli diede ancora addosso. Si stancò nuovamente. La scena del dito si ripetè. Il taglialegna ricominciò a dargliele.


Per tutto il tempo Kurt non reagì. Quando l’energumeno si stancava lui alzava il dito medio e sorrideva.


Alla fine il taglialegna si stancò e lasciò perdere.


Ecco perchè volevamo bene a quel figlio di puttana.



Siamo alla fine della canzone. Eccolo che prende la rincorsa finale. Respira a fondo. Guarda appena il pubblico, e poi si lancia nell’urlo finale. Quell’ultimo verso.


Tu sei ancora lì a chiedergli no, fanne un’altra dai, fanne altre cento. Ma sai che non è così.


All’inizio della canzone Kurt aveva detto, “Fuck you all, this is the last song”.


Aveva ragione.


http://www.youtube.com/watch?v=4xHl-P_arVA&feature=related

giovedì 22 ottobre 2009

Amici miei

ho una rinofaringite acuta virale causata, per la maggioranza dei casi, dagli antigeni del Piconaviridae virus.Sono stremata.
A presto.
G

lunedì 19 ottobre 2009

Week-end HERO

Immaginate un eroe.
Un eroe particolare, part time.
Un uomo normale con la sua vita normale, che solo per un week-end diviene un superuomo.

Corre in biciletta di notte, contro il muro d'aria fredda e umida.
7 rocchetti, 3 corone, due ruote, due freni e due pedali.
Una sola sella. Un solo cuore. Il suo.

Lo trovi in giro per la città, sembra uno dei tanti ma è unico.
Perché lui pulsa. Perché lui batte.
Se guardaste nella tracolla, che con difficoltà cerca di tenere al suo posto dietro le spalle, trovereste due pacchi di film in dvd, una confezione di pastarelle, fogli e libri con dentro storie bellissime.
Se guardaste, dentro vi vedreste un'anima romantica.

Ed egli pedala, e cammina. Corre, se necessario.
Si ferma a scrivere alla luce di un lampione, durante le attese.

Sotto il cappotto, il suo spirito brilla. Non lo si vede solo perché è coperto bene. Fosse una serata d'agosto, dovreste mettervi gli occhiali da sole.
Per questo non si cura del freddo, del sonno, delle lacrime: perché in questo week-end potrebbe abbracciare ogni cosa.
Ma lui non lo sa. Nessuno gliel'ha detto. Lui si sente solo un po' strano.

E intanto brilla.

Le uniche persone ad accorgersi sono quelle che saluta, quelle a cui sorride. Quelle a cui parla, quelle che abbraccia.

Quale sia il suo segreto?
La sua forza è nei momenti belli, quellidi vita vera.
Quelli intensi, quelli che respiri a fondo e che dopo puoi tornare a trattenere il fiato per una settimana intera.

La sua forza è l'amore, la sua forza sono le persone che gli stanno accanto.

Grande eroe.

giovedì 15 ottobre 2009

Ritorno all'hotel.



“I silenzi mettono a disagio... Perchè sentiamo la necessità di chiaccherare di puttanate, per sentirci a nostro agio? È solo allora che sai di aver trovato qualcuno di davvero speciale, quando puoi chiudere quella cazzo di bocca per un momento e condividere il silenzio in santa pace.”


“Lo sai perchè hai l'ulcera? Perchè hai solo due forme di espressione: il silenzio e la rabbia.”

martedì 13 ottobre 2009

upppsssss!!!

I’m surprised , i still remember my way to the hotel. It has been a while but the Morgana is ready to welcome me back. I’m pleased that there are new clients and the Morgana is alive like never before.

To be honest, I was dragged back here…

Well it is not like I ‘m not happy about that and I understand that all of us needed a bit of incitement but the land lord has been a bit rude this time …

He just wrote a note : “you must come back to the hotel” , “the hotel needs you”… no shit! This time he was scary! (eh eh eh) ...

He also told me that I should write in English … again I’m quite happy about that because sometimes I wish I could forget my own language and not say another Italian word ever…

Sometimes I would like to send back my own passport …to mail it to our Ponzio Pilato president… This Italy doesn’t belong to me and I don’t belong to her… it is too embarrassing to be real…

Yet I still stand for her… I remind people around me about our History, our Culture and the fact we didn’t need an army to make our home somewhere (I feel kind of superior!)…

To tell the truth I believe in my background , I believe in our values and in the way most of us live our life…

Look at me , still speaking about Italy , Politics and some other bullshit … maybe it is just too hard to turn your back and forget…

mercoledì 7 ottobre 2009

Quei 70 kilometri...

La discesa è eccitante quando è ripida e lunga.
Pensi possa essere per sempre, che quel vento in faccia e tra i capelli possa non finire mai.

Le ruote un po' traballano, tra il peso e il fondo stradale, ma vanno che è una meraviglia. Sono un po' dubbiose forse, si pongono delle domande, ma sanno e vanno dove devono andare.
Beate loro.

E io immagino di non sapere dove vadano, e intanto mi godo il viaggio.
Sono il passeggero di una barca che segue una rotta sconosciuta.

La velocità, l'aria nei capelli e contro il viso.
Apro le braccia.
Socchiudo gli occhi.
Sto volando.
Senza meta precisa, magari.

Sono il naufrago aggrappato ad un'asse di legno, in balia delle onde del mare.
"...portami lontano a naufragare, portami lontano sulle onde".

Il compagno è sempre lì. Perché un viaggio si fa sempre da soli ma mai in solitudine.
A volte è più avanti, altre più indietro. Ma c'è.
Questo deve fare un compagno. Esserci.

Magari per tirarti lo sprint, o invece per rallentare ed aspettarlo. Il compagno deve esserci anche solo per dirti che stai viaggiando anche tu. Perché una strada vuota è come una strada che non porta da nessuna parte. E' inutile.

E poi la scritta ROMA, quella che una volta tanto aspettavi sul serio.
Due ruote. Un viaggio ed un sogno.

E realizzare un sogno è il modo migliore per sognarne subito uno nuovo.


domenica 4 ottobre 2009

...RRA

Aspetto il tuo segnale e intanto scrivo. Di te.
Di una serata come sempre bellissima. Di una compagnia a cui non rinuncierei mai e che cercherei sempre di integrare con qualsiasi altra disponibile.
Amica, sorella gemella.
Nei tuoi occhi mi specchio e mi perdo. Riflettono me stesso, i miei dubbi e la nostra amicizia su cui dubbi non ne ho.
Ti guardo e mi vedo, ti ascolto e mi scopro. Così da circa 10 anni. La più bella storia che potrei raccontare.
Perché ci sei tu, forse. Ma anche perché di me c'è molto più che nelle altre storie.
E sì, forse ti avrò rovinato qualche film al cinema con i miei commenti, forse ti avrò fatto cascare le palle con alcune mie battute.
Ma non ho smesso un attimo di volerti bene.

E' un periodo strano, in cui gli amici partono, si allontanano, si dissolvono nel nulla.
Prego allora affinché ciò non accada a noi.
Tu PROVA ad allontanarti, vedrai sempre l'ombra del mio affetto seguirti.
Qualcosa di me, che come il pensiero ti resterà sempre attaccata.

Sei sorriso, abbraccio, amore e affetto.
Sei tu. Punto.
Sempre.


venerdì 2 ottobre 2009

Per tutto il resto c'è l'evasione

Ferrara è calda che pare ci si possa svenire. Dopo la nebbia delle prime ore della mattinata esce il sole, quanto basta per illudersi che sia ancora estate. Terminato il colloquio, ci ritroviamo tutti un po' sconvolti e forse incapaci davvero di comprendere cosa questo comporti. Siamo seduti a un tavolo con qualche bottiglia d'acqua, da cui tentiamo di riattingere le nostre energie. Il dott. M. ci è sembrato un po' folle. Un po' disorganizzato, ma decisamente entusiasmato. Forse più di noi.
Ci salutiamo con un arrivederci e mi ritrovo in macchina con quelli che ribattezzerò come i ragazzi di Urbino. Così gentili da offrirsi di darmi un passaggio a Fano. "E così risparmi con il prezzo del biglietto". Un breve giro al centro prima di partire e siamo in autostrada. Le ore di sole sono ancora calde. L'aria condizionata pare non riesca ad attenuarle. Ma la musica consola.
Consola con qualche accordo di pianoforte e la voce di De Gregori, e con un po' di sana taranta salentina.
"Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone,
la storia entra dentro le stanze, le brucia,
la storia dà torto e dà ragione.
La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere,
siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere."
Pensare ai prossimi mesi un po' brucia e allora si parla di tutto e di niente, magari di Bob che si deve iscrivere all'università ma non è ancora tanto convinto. Diventa una barzelletta pronunciare qualche parola di consiglio. Io penso che, Io fossi in te... Quando, a dirla tutta, non so nemmeno io cosa farei al posto di me stessa.
Arriviamo a Fano alle 18.38, giusto in tempo per veder partire il mio treno senza di me.
I ragazzi di Urbino si offrono nuovamente disponibili. Questa volta a concedere un tetto sotto il quale trascorrere la notte. Il tetto è in aperta campagna. Un posto isolato dal mondo, nel silenzio più assoluto e naturale. Eppure a me è scoppiato un mal di testa che non mi uccide solo per pietà.
M. ha lasciato Roma a 18 anni per trasferirsi nella casa dei nonni. Dice che la lascerebbe a fatica. Che lo fa stare così bene.
Il silenzio gli fa compagnia e la natura lo rasserena.
La mattina seguente il sole che si sente è ovattato, non invadente, e il mio mal di testa se n'è andato lasciando al suo posto i postumi da trauma cranico (!?). Facciamo colazione al bar di ritrovo, poco fuori il paese. Il cappuccino si rivela capace di riacquietare finalmente la tensione accumulata il giorno prima. Il tavolino del bar dà sulla vetrata. La posizione migliore da cui osservare le montagne, con una bomba alla crema in una mano e il cappuccino nell'altra.
Alle 12.30 siamo a Fabriano. il treno che prendo mi conduce, infine, a Roma.
La mia Roma di caos e consumo, che sempre e comunque, mi scioglie il cuore. Sentirsi sovrastare da una tale emozione non ha prezzo. Per tutto il resto c'è l'evasione.

giovedì 1 ottobre 2009

Viaggio al termine della notte



Ci sono quei libri che –sì insomma, quei libri che ti dici, ma chi me lo fa fare? Che ti viene voglia di chiudere tutto, dare un bacio d’addio a quei 20 euro e sbattere la copia lassù a prendere polvere fino alla fine dei tempi.


Capita. Così come capita dopo qualche pagina di Henry Miller. Dostoevskji poi rischi di non aprirlo nemmeno, sconfortato dalle dimensioni del mattone.


Eppure, così come capita a chi si addormenta dopo venti minuti di “Apocalypse now”, rischieresti di perdere qualcosa di buono.


In questo caso, di maledettamente buono.


E’ vero: se un libro è un capolavoro, tra le sue doti dovrebbe avere anche quella di tenerti incollato alla pagina e non farti scappare più. In teoria. Nessuno però direbbe nemmeno sotto tortura che è rimasto rapito dalle pagine dei “Fratelli Karamazov”. Eppure si tratta di capolavoro, non ci sono cazzi.


Cèline è un po’ così. Lo devi seguire, mentre barcolla tra le stradine della periferia di Parigi, o ammalato in mezzo alle foreste d’Africa. Lui non ti aspetta. E parla, Cèline, dio quanto parla. All’inizio ti viene voglia di frmarlo. Poi però vorresti che parlasse per sempre.


Lui parla e tu lo capisci, anche in mezzo ad uno stile tutto suo, spigoloso, parlata che diventa scritta, pensiero che viene vomitato sulla pagina, frasi e frasi che ti si srotolano davanti agli occhi con una potenza che non troverete da altre parti.


Perchè “Viaggio al termine della notte”, come la bumba buona, ne vale davvero la pena. Brucia, raschia la gola, e ti ubriaca senza che nemmeno te ne accorgi.


Cèline parla tanto, ma dice tutto quel che deve dire. Tutto quello che c’è da dire, non trascurando niente. non vuole convincerti delle sue ragioni, lui. Non vuole che fai il tifo. Se ne fotte, lui. Se vuoi lo ascolti, sennò aria, via, a diventare uno dei tanti falliti del suo libro, di quelle vittime peggio degli aguzzini, di quelle cavie in un esperimento andato a male che si riempiono la bocca di parole come guerra amore onore vita dio.


Non si oppone, Cèline, a questa pericolosa idiozia che permea la sua storia e il nostro secolo. non picchia, ma fa qualcosa di infinitamente più violento: ride.


Cèline ride. Ride con disperazione, con una tristezza che già gli solletica la gola, ride da malato, da matto, ride per non piangere, e forse la sua risata è molto più atroce proprio per questo, perchè non resta da fare altro di fronte ad un mondo di finti eroi e veri coglioni. Cèline li guarda in mutande, li denuda, e se la ride un mondo. E tu con lui.


Ecco la grandezza del “Viaggio”.


Ridere di quello che siamo, che siamo sempre stati, che saremo. La storia si ripete, dicevamo. Non esiste altro libro che parli di questo cazzo di Novecento meglio del “Viaggio”. Il Secolo della Bomba, dell’Onore e della Sifilide. E di storia ce n’è parecchia in Cèline, ma neanche quella è molto importante. Neanche la trama lo è, anche se Cèline ne ha davvero per tutti.


L’importante è perdersi in quella notte lì con Bardamu e Robinson, due facce della stessa umanità già 60 anni prima del “Fight Club” di Pahlaniuk. Perdersi in una notte che davvero sembra non finire mai, e che noi ora sappiamo per certo, che non è mai finita.


Cèline metterà delle bombe dappertutto, ma non gliene frega niente di rivoluzioni. Lo sa che è sempre la stessa cazzata. Più gli danno addosso, e più lui scuote la testa e va avanti. Giustizia, progresso, famiglia, carità cristiana, amore...


Ecco che Cèline ride un po’ più forte.


Lui parlerà, più anarchico degli anarchici, più triste di un clown depresso, più vivo di tutti quelli che lo danno per morto. Parlerà tanto, anche.


Stallo ad ascoltare.


Non te ne pentirai.


Ad un fratello, oggi


Buon anno fratello buon anno davvero e spero
sia bello sia bello e leggero
che voli sul filo dei tuoi desideri
ti porti momenti profondi e i misteri
rimangano dolci misteri
che niente modifichi i fatti di ieri
ti auguro pace risate e fatica
trovare dei fiori nei campi d'ortica
ti auguro viaggi in paesi lontani
lavori da compiere con le tue mani
e figli che crescono e poi vanno via
attratti dal volto della fantasia
buon anno fratello buon anno ai tuoi occhi
alle mani alle braccia ai polpacci ai ginocchi
buon anno ai tuoi piedi alla spina dorsale
alla pelle alle spalle al tuo grande ideale
buon anno fratello buon anno davvero...
che ti porti scompiglio e progetti sballati
e frutta e panini ai tuoi sogni affamati
ti porti chilometri e guance arrossate
albe azzurre e tramonti di belle giornate
e semafori verdi e prudenza e coraggio
ed un pesce d'aprile e una festa di maggio
buon anno alla tua luna buon anno al tuo sole
buon anno alle tue orecchie e alle mie parole
buon anno a tutto il sangue che ti scorre nelle vene
e che quando batte a tempo dice andrà tutto bene
buon anno fratello e non fare cazzate
le pene van via così come son nate
ti auguro amore quintali d'amore
palazzi quartieri paesi d'amore
pianeti d'amore universi d'amore
istanti minuti giornate d'amore
ti auguro un anno d'amore fratello mio
l'amore del mondo e quello di Dio...
(Lorenzo Jovanotti)