mercoledì 25 febbraio 2009

La merda capita. Spesso. Forse troppo.

Non facciamo le cose in grande. Colazione al sacco e bicchiere di bianco già in mano. La lezione del giorno è che la vita è una merda. Ma qualcuno di voi mi sa che ha già guardato tra gli appunti, eh?
Niente di speciale, ovviamente. E niente di diverso. Chi non lo sa? Tutti. E chi lo dice? Quasi nessuno. Come mai? Ripassate per la prossima lezione.
La vita fa schifo, ma non facciamoci prendere dal panico. Mettiamola così: la vita non ha mai smesso di fare schifo. L’amore? L’amicizia? Le esperienze? L’arte?
La vita è svegliarsi un lunedì mattina che piove e fa freddo, con lo stomaco che fa male e nessuna rete. Ma tranquilli. Capita.
Cammino con la mia quieta angoscia. Attraverso marciapiedi come se fossi in bilico su funi e cornicioni alti chilometri. Mi sporgo dalle nuvole, facendo finta di giocare, facendo finta di essere ubriaco. Il vento mi scompiglia capelli troppo lunghi, e non m’importa.
C’è stato un tempo in cui. Poi un altro. Poi un altro ancora. Ma tu sei quello. Sì, sono io. Come ti invidio. Sorrido. Sorride. Sorridiamo. Alcuna gente non conosce la disperazione. Come non conosce la felicità. E un mucchio di altre cose.
Mi ritrovo in questa solitudine di un’estate mai iniziata, lenita solo dalla mia Morgana che entra ed esce dal mio guscio, e mi porta i fluidi che mi servono. Quando sento che sta per arrivare un altro temporale, è come se quello fosse il mio giorno.
Ma capita sì, ve l’avranno detto. Vi avranno detto anche come superarla. A me no. Sono qui nella mia stanza. Dalla mia finestra entrano rumori. Uccelli, auto. Qualcosa che si perde in lontananza. Il rumore finisce. Il cuore si stringe ancora un po’.
E’ ora di un drink.

P.s. Capita sì. E intanto continuate a spedire le vostre Risposte per l’Estate, che in momenti così a volte avviene la rinuncia a quel tipo di vita lì, a volte invece la totale rassegnazione. Dipende. Capita. Sapete com’è.

domenica 22 febbraio 2009

Domanda per l'Estate a tutti gli abitanti del Morgana

Tanti anni fa, in una terrazza, eravamo io, un mio amico, delle birre e troppe sigarette. C'era anche una chitarra, che suonavamo come veniva. Una delle canzoni che venne fuori su quel terrazzino sul mare, tra una Lucky Strike e l'altra, fu "Canzone per l'estate" di De Andrè (Scritta con De Gregori, il testo lo trovate postato proprio qui sotto). Come spesso con Fabrizio, il testo era bellissimo e agghiacciante. Sembrava fin troppo reale.
A quante persone capita di finire così?, chiesi al mio amico.
Prima o poi a tutte, rispose lui.
Me ne accesi un'altra e dentro di me pensavo, non è vero. Ancora adesso lo penso. Però sarei curioso di sentire da altri.
Quindi la mia domanda è: quando si cresce, si finisce per forza così, come in questa canzone? Si nasce, si trova un lavoro, si scopa, si figlia, si muore? Tutto qui? E' una questione solo di soldi, di fortuna, o di pura volontà? Non so, magari è una domanda di merda. Però si sa, dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.
Aspetto risposte di fanciulle e fanciulli.
Le vostre risposte per l'Estate.

Canzone per l'estate

Con tua moglie che lavava i piatti in cucina e non capiva
con tua figlia che provava il suo vestito nuovo e sorrideva
con la radio che ronzava
per il mondo cose strane
e il respiro del tuo cane che dormiva.
Coi tuoi santi sempre pronti a benedire i tuoi sforzi per il pane
con il tuo bambino biondo a cui hai donato una pistola per Natale
che sembra vera,
con il letto in cui tua moglie
non ti ha mai saputo dare
e gli occhiali che tra un po' dovrai cambiare
Com'è che non riesci più a volare
Com'è che non riesci più a volare
Com'è che non riesci più a volare
Com'è che non riesci più a volare


Con le tue finestre aperte sulla strada
e gli occhi chiusi sulla gente
con la tua tranquillità, lucidità,
soddisfazione permanente
la tua coda di ricambio
le tue nuvole in affitto
le tue rondini di guardia sopra il tetto.

Con il tuo francescanesimo a puntate
e la tua dolce consistenza
col tuo ossigeno purgato
e le tue onde regolate in una stanza
col permesso di trasmettere
e il divieto di parlare
e ogni giorno un altro giorno da contare
Com'è che non riesci più a volare
Com'è che non riesci più a volare
Com'è che non riesci più a volare
Com'è che non riesci più a volare


Con i tuoi entusiasmi lenti precisati da ricordi stagionali
e una bella addormentata
che si sveglia a tutto quel che le regali
con il tuo collezionismo
di parole complicate
la tua ultima canzone per l'estate.

Con le tue mani di carta per avvolgere altre mani normali
con l'idiota in giardino ad isolare le tue rose migliori
col tuo freddo di montagna
e il divieto di sudare
e più niente
per poterti
vergognare
Com'è che non riesci più a volare
Com'è che non riesci più a volare
Com'è che non riesci più a volare
Com'è che non riesci più a volare

(De andrè- De Gregori)

lunedì 16 febbraio 2009

I peccati dei Lavoratori

Non importa chi tu
sia
-che ci creda o no
arriverà un giorno
in cui vedrai un tuo
collega
che non sta producendo
quanto produci tu
e lo guarderai con
astio, rimprovero
un cupo borbottìo da
bambino deluso
e un senso di
terribile ingiustizia

Arriverà il giorno
in cui saprai qualcosa che
gli altri ancora non sanno
ma non la dirai ai
nuovi arrivati
né ai colleghi di una
vita
per non farti superare
per poter essere
il primo
-e li guarderai
scuotendo la testa e
stando bene attento
a non farti
scoprire

Arriverà il giorno
in cui guarderai al
tuo capo
come si guarda a
un padre severo
e farai di tutto
per un suo sorriso
una sua parola buona
la sua
attenzione
e cercherai di farti
vedere sempre
efficiente e fedele
e riderai a battute
che nemmeno hai
ascoltato

Arriverà il giorno
in cui penserai al giorno
dopo
e a quello dopo ancora
e ti dirai
che almeno tu ce l’hai un
lavoro
che ti resta comunque tempo
per viverti la tua
vita
che venerdì non è troppo
lontano e
che quest’estate ti farai un
viaggetto
anche se devi ancora decidere
dove

Arriverà il giorno
in cui vedrai qualcuno
che ha passato la sua giornata
bevendo e scopando
tutto il tempo a casa
tra il letto e la
finestra
lo stereo alto e nessun
progetto
e penserai con
disgusto
che c’è gente strana
che butta la sua
vita
nel cesso

Quando quel giorno arriverà
sarai troppo stanco
anche per pensare
per capire
che le tue ore
non sono state le uniche
cose
che si sono
presi.


(potete trovare questa poesia anche sul blog www.comitatogiuseppecoletti.blogspot.com, dedicato alle morti bianche)

sabato 14 febbraio 2009

"Al mondo sono andato, e dal mondo son tornato sempre vivo"







Un mese, che è volato in fondo. Un mese dove ci siamo stati tutti, anche se stretti. Un mese in quel posto lì, sempre lì, con la sua gente lì e le sue abitudini lì. Non fa male ritrovare tutto lì, almeno per un po’. Per un mese, insomma, va più che bene.
In Italia ho ritrovato un freddo siciliano che è molto australiano, mai eccessivo.
Ho trovato anche una pioggia, quella sì eccessiva e spietata, come se Dio avesse tanti bisognini arretrati.
Ho scoperto che Messina non rende affatto sotto la pioggia.

Ho trovato incredibilmente difficile riabituarmi ai ritmi delle strade italiane.
Ho ritrovato il solito coglione che ti suona dietro appena scatta il verde, quello con gli abbaglianti sempre accesi, quello che parcheggia in seconda fila per andare a giocarsi il lotto e comprare il pane, quello che parla al telefono (sempre che gli automobilisti si sentano molto soli in Italia, e anche quelli al motorino, dove la faccenda diventa tutta questione di equilibrio e bravura da circo).
Ho scoperto in Australia che senza tutti questi coglioni si circola meglio, senza farsi il fegato grosso così.
D’altra parte ho ritrovato anche i buchi nelle strade grossi così (vanto e orgoglio delle strade messinesi), la mancanza totale di parcheggi anche a pagamento, i trasporti pubblici questi sconosciuti (ancora una volta caratteristica molto viva nel messinese), tutte cose che aumentano a dismisura la vivibilità di una città pur di medie dimensioni.
Ho scoperto, insieme ad altri miei concittadini, l’installazione di nuove rotonde che nessuno sapeva usare, con risultati per tutti tra l’esilarante e il reparto traumi gravi.

Ho ritrovato gli ospedali italiani. Sporchi, con personale insufficiente, ignorante, maleducato, svogliato. Ho fatto file di tre ore senza motivo, e con me decine di altri. Ho ritrovato dottori cafoni che si prendevano il caffè e infermieri che mandavano affanculo, e poi i soliti furbetti che volevano saltare il turno.
Ho trovato che certe cose restano sempre le stesse.

Ho ritrovato tutto quel bendidio che non avevo mai scordato. Un giro al supermercato è stato come uno sulla giostra. Mi aggiravo tra salami e formaggi con gli occhi del bambino contento. D’altra parte, 5 chili in 30 giorni non sono impresa da poco.
Ho scoperto che la cucina italiana mi mancava parecchia.
Ho trovato che gli italiani sono parecchio fortunati ad avercela, e non solo in questo, ovviamente.

Ho ritrovato gli italiani. Che dire? Gli italiani sono gli italiani. Siete voi. Sono io. Dopo un anno e mezzo li paragono agli australiani, ma mi rendo conto che non è giusto.
Ho scoperto infatti col paragone che siamo proprio maleducati, che siamo rozzi, che la legalità per noi è un passatempo da usare davanti ai berretti con la fiamma, che siamo sempre i soliti furbetti e a forza di esserlo stiamo diventando i più stupidi di tutti. Che siamo chiassosi, strafottenti, indifferenti.
Ho trovato però che siamo però anche altre cose. Altro che gli altri non sono e non possono essere. Ci teniamo allora quel che siamo, sperando e tentanto però di migliorare le nostre zone d’ombra senza tenercele strette facendo finta che mammà ci ha fatto accussì.

Ho trovato un Paese nei Cazzi –e non per niente uso la maiuscola. L’Argentina è dietro l’angolo, e tutti sono dietro a delle tette di gomma di una del Grande Fratello. Meraviglia e squallore del nostro essere italiano.
Ho ritrovato quella faccia, quel nano di merda, che mai come questa volta mi ha disgustato –ma nel profondo, stavolta, al di là di differenze politiche o di pensiero (ah ah ah). Perchè un limite c’è (o ci dovrebbe essere) e stavolta lui e i suoi amici ci si sono puliti il culo. Usare quella storia lì per...rivoltante, ragazzi, semplicemente rivolatante. Troppo pure per il Morgana. Certe cose sono da Rivoluzione domani mattina. Ma stasera in televisione ci sono le tette di gomma in diretta. Pazienza.

Ho ritrovato mia nonna. Lo Stretto la mattina presto. Il sorriso di mia mamma. I piatti ingrassanti di mio padre. Ho ritrovato quel tipo di vita che per un mese davvero ci stai da dio.
Ho ritrovato le stesse persone, sempre lì, con le loro facce sempre le stesse.
Alcune altre le ho scoperte, e sono state bellissime scoperte, di quelle che valgono il viaggio. Altre sono state delle riscoperte, e anche loro ne valevano. È stato come guardarsi dietro la spalla e ricordarsi qualcosa di carino perso durante quella corsa allucinata. Nuovo e vecchio a mischiarsi tra viaggi e voli e sale d’attesa, mentre cercavo di ritrovare il mio nome sopra il biglietto.

Ho ritrovato Roma, Roma la Grande, Roma la Barbona, Roma Puttana, Roma Signora con troppo trucco e sottane disfatte. Era tutto come l’avevo lasciato, come fossi partito 2 giorni prima –e invece era un anno e mezzo.
Ho trovato un’accoglienza da star che non so come nè perchè, ma ringrazio accetto e brindo a voi.
Ho ritrovato me stesso perso a San Lorenzo alle 3 del mattino con birra in corpo esattamente come prima di partire.
Ho scoperto che mi piace perdermi da quelle parti.

Buon giro, ragazzi.
Ci vediamo al prossimo.
Intanto, lo zaino è sempre lì pronto...