venerdì 8 agosto 2014

Restare umani (ovvero: un altro di quei post sul compleanno)

Lo dico subito: non avevo per niente voglia di mettermi qui a scrivere. Un malditesta che mi accompagna da stamattina e un generale senso di rilassamento totale mi tenevano lontano da questi tasti. Inoltre, ero un po’ stufo di essere “quello dei compleanni”. Un mio amico, l’altro giorno, subito dopo gli auguri mi ha detto: e allora, quando lo metti il post sul 7 agosto?
Cazzo, ho pensato, sono davvero così prevedibile?
Per questo motivo sono stato lontano dal computer tutto il giorno. Poi ho sospirato, mi sono versato un bicchiere di Bowmore (un regalo di compleanno, tra l’altro, fatto da chi mi conosce molto bene) e mi sono seduto.
Le persone, quando invecchiano, tendono a diventare davvero prevedibili.

Rileggevo prima il post sullo scorso compleanno (se siete masochisti, lo trovate qui), che a sua volte riprendeva quello dell’anno prima. Avevo appena superato il buon Gesù, in una giornata che aveva visto come momento culminante una visita medica per quel problemuccio all’occhio, e che aveva portato, proprio un paio di giorni dopo il compleanno, ad un ricovero d’urgenza in ospedale. Lì avevo passato il Ferragosto. Ovunque tu sia, 2013, sarai sempre nei miei pensieri.
Ricordavo tutto questo ieri mattina, mentre la gente mi faceva gli auguri e si decideva cosa fare per la serata e sembrava un compleanno come tanti altri. In fondo lo era. Anzi, erano più di dieci anni che non mi capitava di essere nello stesso posto e con la stessa gente per due compleannni di fila. Invecchiare è anche questo?
Se è così, ci metto subito la firma.
In ogni caso, per me non era un compleanno come tanti altri. Avevo di nuovo quella sensazione di essere l’unico a ricordare (e com’è giusto che sia: abbiamo già troppi casini nostri, per ricordarci anche quelli degli altri). Questo era il mio primo compleanno del “dopo”, il primo senza benda, il primo dopo la minaccia di qualcosa che poteva farmi schiattare in una maniera non troppo simpatica. Il primo di questo “nuovo” Marco, qualunque significato vogliate attribuire a questo “nuovo”.
Per carità, non è che ci abbia pensato tutto il giorno. Ma quando mi sono guardato la mattina allo specchio, prima ancora di dirmi che m’ero fatto vecchio come il cucco, mi sono guardato gli occhi, tutti e due, e sono stato contento di ritrovarli al loro posto. Di sapere che avevo passato anche quella.
Le persone, quando invecchiano, tendono ad essere felici con poco.

La giornata in sè è trascorsa in maniera abbastanza tranquilla (ritorno ubriaco e canterino in motorino a parte). Le persone a cui tieni, che sai che sono lì anche senza auguri o abbracci o regali. Tutti gli altri, che dimostrano una gentile adesione alle regole della società (ed in questo Facebook dà una grande mano). La serata in pizzeria è stata il culmine di una serie di festeggiamenti che, con la scusa del compleanno, vanno avanti da giorni.
Oggi però ho deciso di prendermi un giorno dal lavoro, ho dormito fino a tardi, ho smaltito la sbronza. Mi sono preso il mio tempo, ed in questo tempo ho cercato di prendere le misure a questi 35 anni, a cosa vogliano dire.
Le persone, quando invecchiano, tendono a farsi noiosamente riflessive.
Alla fine ammetto che non ci ho pensato molto. Volevo solo starmene qualche ora lontano da tutto, in pace, senza progetti o programmi.
Mentre me ne stavo seduto in giardino, ancora in vestaglia e con i postumi, ho provato a fare un piccolo sforzo di riflessione, e ho pensato che forse sta tutto qui. Il tuo posto, il tuo tempo, le tue cose, i tuoi pensieri. Le ore che ridiventano tue, anche solo per un giorno. Guardarti intorno e trovare mura che sono state gentili con te. Vedere le mani attaccate ai polsi, e sapere che possono fare ancora molto. Inspirare ed espirare, e sapere che te lo puoi permettere. Chiudere gli occhi, rallentare il ritmo.
Non certo un pensiero da rockstar, ma ci sarà anche un motivo, se nessuno di loro è mai arrivato a quest’età. Che poi non è che uno diventa tipo da station wagon solo perchè ha superato una linea fittizia: la differenza è che investe diversamente le proprie energie. Quelle energie che non dimimuiscono perchè, come sappiamo, l’energia si trasforma, non si distrugge. Un po’ come il dolore, che se preso bene, può dare una mano di colore ad ogni sorriso.

A 35 anni una cosa la capisci: il senso di tutto, lo scopo più grande, l’obbiettivo più difficile, è quello di restare umani. In 35 anni uno accumula abbastanza botte, calci e fregature per diventare uno stronzo cinico senza che gliene si faccia una colpa. Ti rubano le ore, le speranze, ti imbottiscono la testa di stronzate e ti costringono ogni giorno di più a pensare che mollare, dopo tutto, non è un’opzione così malvagia. Ma sì, lascia perdere, fai il tuo, il resto che si fotta. Tira avanti un altro po’, non pensare a niente, non esagerare, non rischiare, sii serio. C’è l’affitto, ci sono le bollette, ci sono quelli che chissà cosa penseranno, ci sono capi e presidenti e governi, ci sono le feste comandate, e tutto diventa di una tinta di grigio di un tale squallore che il tuo cuore si rimpicciolisce fino a che non lo senti più.
Le persone, quando invecchiano, tendono a invecchiare male.
Tutto ti rema contro. Per questo motivo, restare umani è un atto controcorrente, coraggioso e folle. Il Che diceva che bisogna essere duri senza perdere mai la tenerezza. Sembra facile a leggerla su un diarietto, ma provateci voi. Eppure senza quella tenerezza, siamo quello che De Andrè definiva un “mostruoso animale, un cinghiale laureato in matematica pura”.
Per questo ho ripensato a quando, qualche giorno fa, sono stato sommerso da 15 bambini che volevano che gli insegnassi come cucinare, ed io l’ho fatto sorridendo tutto il tempo, o perchè il momento più bello di ieri è stato quando ho fatto una donazione per una causa di quelle che ci stanno.
Ho pensato tutto questo e poi mi sono ripromesso di provare a restare un po’ umano anch’io, a fare la mia parte, a riprendermi le mie ore.
Ho cominciato subito: lì, in vestaglia, col sole che bussava alle mie palpebre chiuse, in un giorno feriale, col rumore delle auto in coda che assomigliava a quello di una risacca che finiva col mischiarsi a quello del fiume lì accanto finchè tutto ha continuato a scorrere, scorrere, giù fino all’oceano.
E da lì, poi, al largo.