mercoledì 31 agosto 2011

L'arcobaleno



Delfino rosa



Chi ha spento il sole?



Vie di fuga



sabato 27 agosto 2011

presenze

Fragile

venerdì 26 agosto 2011

Buon compleanno, Morgana






Esattamente oggi, il Morgana compie 4 anni.
Sì, lo so cosa state per dire. Le ricorrenze stanno sulle palle pure a noi. Con tutto quello che si vede in giro, non c’è proprio nessun bisogno di autocelebrazioni. E poi, in fondo, cos’è cambiato? Non ci pagavano prima, non ci pagano ora dopo 4 anni. Nella classifica di blog di Google siamo forse al miliardesimo posto. No, non c’è proprio verso di rimorchiare col Morgana.
E poi, 4 anni sono un numero del cazzo. Di solito si festeggia cifra tonda, se proprio si deve. Ma è, come dire?, un modo per tastarsi il polso. Per sentire il tempo che è passato, e cercare di capire in che misura è stato sprecato. Per farsi due conti, e magari fermarsi a ricordare.

Quattro anni fa esatti, io e Sergio stavamo sudando in una stanzetta in riva al mare, nel mio paesino Bucodiculo. Mi ero messo in testa di fare un blog “per tutti”, e lui mi stava aiutando. Dopo aver smadonnato sui comandi, sulle impostazioni e su mille altre amenità, ci trovammo davanti ad un bivio: come chiamarlo?
Fu anche il primo momento che pensai che avere un blog forse era una cazzata. Un’altra cosa di cui non si sente il bisogno. Chi aveva bisogno di sentire le nostre fregnacce? Comunque sia, ormai c’eravamo. Provammo una sfilza di nomi (tra cui il mai abbastanza compianto “Honolulu baby”, che un giorno o l’altro sarà nostro), finchè non pensai –Morgana. Era un nome che mi ossessionava da sempre, per una serie di circostanze e persone. Ci avevo anche scritto una poesia, ispirata ad un hotel Morgana che avevo visto da qualche parte. E da quel nome poi è venuta fuori tutta l’idea: l’albergo a ore, le stanze, gli ospiti, il bar...
Tenere un blog, improvvisamente, sembrava una cosa meno inutile.

4 anni sono passati, da quella cameretta afosa. Ero in pre-partenza, allora. Sono successe parecchie cose. Partenze, ritorni, tentativi, corse, lunghe pause, notti fredde e albe ubriache.
Ora sono lontano, di nuovo, e anche Sergio è partito. Il Morgana però è rimasto, e ne sono fiero. E’ rimasto grazie a tutti quelli che sono arrivati col tempo, che hanno occupato le stanze che avevamo preparato per loro, e che, a loro volta, hanno fatto in modo di creare un nuovo Morgana per i futuri ospiti.
Lo so, sono partito di nuovo per la tangente dell’autopompino. Dovete scusarmi. Ma è stato bello vedere che qualcosa nato come un gioco, un passatempo per due tizi annoiati, è diventato quello che è oggi. Siamo passati per sabbie mobili, periodi di stanca e defezioni: nessun problema. Il Morgana è vivo, ragazzi. Ogni tanto sembra se ne stia zitto, ma è solo perchè gli ospiti si rinchiudono un attimo nelle loro stanze, per uscirne dopo aver pensato, dopo aver fatto l’amore, dopo aver svaligiato il mini-bar.
Abbiamo parlato di cose serie e meno serie, ci siamo incazzati, ci siamo indignati, ci siamo innamorati. Abbiamo riempito il muro di splendidi disegni e graffiti osceni. Abbiamo appeso le nostre foto dappertutto. Abbiamo declamato poesie con la voce ubriaca. Ci siamo raccontati qualche storia per andare un po’ più a fondo in questa notte. Siamo passati per linee d’ombra, felicità presunte, maschere e pagliacci. Abbiamo parlato di arte e di come pulire il cesso. Ci sono stati complimenti e polemiche, gente che veniva e altra che se ne andava.

Il Morgana, nato per pochi, è diventato di molti. La naturalezza con cui l’ha fatto, è una delle cose che più mi fa godere.
Da qui è passata gente di talento, che ci sapeva fare, ma soprattutto gente che aveva qualcosa da dire. Il Morgana è stato il loro megafono. La loro voce è stata la nostra rivoluzione.
Sono grato ad ogni singola persona che ci ha scritto in questi anni, e anche a quelli che stanno cercando ancora di vincere il panico del debuttante. A quelli che ci seguono sempre, a quelli che lo fanno ogni tanto, e a quelli che ne hanno parlato in giro.
Chiedo ufficialmente scusa per aver rotto le palle a tutti, chiedendo la gente di scrivere. Ma ora che il Morgana va quasi all’asilo, ditemi la verità: non ne valeva la pena?
E mentre tra le mani abbiamo le prove di stampa di quello che (si spera) potrà essere il primo numero della rivista del “Morgana”, beh, la goduria è alle stelle. Sono quei momenti in cui mi viene da pensare che, forse, non ci siamo solo parlati addosso, in questi mesi. Forse qualcosa l’abbiamo fatto, e l’abbiamo fatto insieme. Quelle piccole cose che ti parlano di rivoluzione, in tempi in cui vorresti solo lasciar perdere.

Il Morgana è sempre qui, a parlare di noi e voi, perchè è fatto da noi e voi. Non sappiamo cosa ci riserva il futuro. I muri sembrano solidi, ma per abitudine dormiamo sempre con un coltello sotto il cuscino e la testa piena di sogni. Una cosa è certa, però: del Morgana non vi libererete molto facilmente.
Continuate a scrivere, a disegnare, a fotografare, a mandare. Unitevi al trenino ubriaco che stiamo facendo giù al bar, che stasera si beve gratis.
Passate dalla hall a farci e farvi gli auguri, se vi va. Raccontateci questi 4 anni per voi, magari, o fatevi un mojito.
Buon compleanno, e buon Morgana.
Ci si vede fra altri 4.

Marco.



giovedì 25 agosto 2011

messina

martedì 23 agosto 2011

Le sconfitte ti avvicinano a Dio, ma le vittorie ti mandano nel Disco Inferno


Sono qui, con una birra e una tastiera, per un motivo molto semplice: le celebrazioni possono essere fatte solo quando si e' da soli. Non so come dire, e non so perche', ma so che e' cosi'.
Chiaro, sono passato dalla trafila: festeggiamenti in famiglia, baci e abbracci, telefonate che mi hanno anche fatto commuovere (accidenti a voi!). Pero' alla fine ti trovi sempre solo con quella mezza birra sgasata che non smetti piu' di bere, e la testa ronzante di mille cose futili che ti allontanano da quell'unico pensiero che ti dovrebbe importare: ce l'hai fatta. A modo tuo, in quello che ti importava, coi tuoi tempi, e sempre pronto a cadere in qualunque abisso, ma ce l'hai fatta.
Scusatemi, non sono molto bravo in queste cose. Ecco, aspettate, mi bevo un altro sorso e sono da voi. Mh. Ecco, ecco, ci sono.
Dicevamo? Ah si': celebrazioni. Non sono cose a cui sono abituato. Penso che lo stesso si possa dire, purtroppo, per la stragrande maggioranza. E anche quando capita, chi ha voglia di festeggiare un cazzo di compleanno o anniversario o cazzate del genere? Sono solo numerini che non vogliono dire niente, se non per quelli che tengono il conto.
Pero', raramente, qualche volta capita. Capita di dover festeggiare, e allora che cazzo fai? Non lo so. Personalmente, sono sempre stato pronto per le cattive notizie, e mai per quelle buone. Lo so che sembra paradossale, o al limite anche una sbruffonata, ma e' cosi'. Le belle sorprese, le buone notizie, mi denudano, mi lasciano come un coglione, mi costringono alla ritirata dietro una battuta ed una faccia formale, proprio perche' NON ci sono abituato. Non so gestirle,queste cose, ne' tanto meno capirle. Vedo la gente intorno a me, e mi comporto di conseguenza -ma non sono mai spontaneo in questi casi, ne' genuino. Non faccio il finto modesto: mi sento coglione per davvero. Non sono mai stato quello che agitava la bottiglia di champagne e poi la apriva ridendo tra gli schizzi: semmai, ero quello che si beveva il suo whisky in disparte mentre tutti urlavano.
Non capivo le vittorie, perche' ero troppo impegnato a tendere i muscoli delle spalle per reggere le sconfitte. Mi aspettavo sempre il peggio, che poi puntualmente si avverava. Anzi, era l'unico settore che riusciva ancora stupirmi in quanto a risultati sempre piu' avanzati.
Non voglio fare la piccola fiammiferaia, ne' raccontarvi la mia cazzo di storia, o dirvi quanto, una persona come me, puo' aver aspettato un momento del genere. Sarebbe lungo, e noioso. Ognuno sa che c'e' quel momento che aspetta da tempo. Questo e' il mio.
Pier Vittorio Tondelli (sempre lui) all'inizio di "Rimini" fa dire al suo personaggio, che ha appena ricevuto una promozione: "Le vittorie si possono festeggiare solo col proprio barista preferito".
Sacrosanto, direi. Stasera mi andrebbe anche la presenza di 4 persone di mia conoscenza, che sono party animal anche se un paio di loro non lo sembrerebbero a prima vista. Ma sono lontani, e io brindo anche alla loro. E visto che stasera sono anche barista di me stesso, saro' indulgente e non mi caccero' a pedate nel culo come meriterei. Vi dico soltanto: ogni tanto, serve. Ma non fatevelo bastare mai.
C'e' sempre dell'altro.
E adesso, se permettete, mi festeggio.
Il prossimo giro lo offro io.
Per stavolta.

mercoledì 17 agosto 2011

Vicendevole

Ti amo. Sei libero.

Ti amo. Sei libera.

Una semplice rivelazione,il bodhisattva dell'amore va per le strade a rivelare alla gente il piccolo segreto dell'amore.

Il segreto non esiste, ma basta saperlo ascoltare.

La rivelazione passa per le vie più contorte, siamo d'accordo.

Alcune vite sono pozzanghere.

Altre sono brezza fresca sulla schiena.

Basterebbe ascoltare.

Cos'altro si può imparare, se non che noi siamo mondi isolati..

E l'unica nostra osmosi avviene per spinta di libertà?

Il filtrarsi vicendevole di due ego in espansione.

Vuoi amare una sfera di vetro, con dentro la casa e la neve finta e il pupazzo e il camino?

La sfera di vetro si stancherà di essere riscaldata fra le tue mani.

La neve si scioglierà.

E tu leggerai il discorso della neve, che ti sussurrerà

Ama prima il sole che sorge sul suo viso Ama prima l'aria che riempie di vita i suoi polmoni Ama prima il risultato del lavoro delle sue mani Ama prima i sorrisi che circondano il suo sorriso Ama prima di tutto te stesso.

Tutto il resto è stupido Zen.

Poi, alla fine della ferrovia, troverai il tuo Satori, disciolto tra la neve della sfera di cristallo, alzerai gli occhi e

sentirai il sole carezzarti il viso

sentirai l'aria riempirti di vita i tuoi polmoni

sentirai le tue mani creare

sentirai i sorrisi che circondano il tuo sorriso

sentirai te stesso.

Vivo.

E ti accorgerai che in quella sfera di vetro ci sei finito dentro.

E lei sarà sole aria nascita felicità te.

Si dirada la nebbia del mattino, il bodhisattva continua la sua marcia inesorabile.

E' lunga

la via

per i sospiri delle farfalle.

Ti amo.

Sei libero.

Sempreverde


Trovare un doppio spazio alle 2 di notte su un cartello di informazione turistica vuol dire che è arrivato il momento delle deformazioni professionali, ma soprattutto che la resistenza alla combinazione Ceres-Tennents è aumentata. C'è da porre rimedio, subito.

"Il vagabondo delle stelle" mi mette di fronte la storia di un uomo che in carcere ha appreso l'arte di allontanare il suo spirito dai dolori e dalla prigionia del corpo.
Imparare questa tecnica entra di prepotenza nella lista delle cose da fare.

Il mio io "noto a tutti" comincia lentamente a diventare più simile a quello vero, in virtù di candide rivelazioni che mi pesa sempre meno produrre, e mi accorgo di essere ogni giorno un filo più simile a chi vorrei essere. In fondo s'intravede un chiarore – penso mentre guardo allo specchio la prodigiosa crescita dei capelli tagliati neppure tre giorni fa. Ma poi mi viene in mente la storia di Orfeo e capisco che c'è ancora molto da fare, da stringere i denti e soprattutto da non voltarsi prima del tempo, che altrimenti non rivedrò mai più la mia ombra.

E poi arriva quella sera che finisci a bere birra sotto la luna tiranna, che ha spazzato le stelle via dal cielo. Ti ritrovi davanti a un falò giallo e arancione che da solo si oppone al nero della campagna, un falò improvvisato a cui hai dato vita con una manciata di tuoi biglietti da visita. Come se quella sera la tua identità fosse un organo donato alle fiamme, un organo di cui non sai se puoi fare a meno per più di una sera.
Gli arrosticini sono sulla brace da un pezzo, ma è in fondo è così difficile vedere se sono cotti bene da ogni lato che a un certo punto li prendi e li mangi tutti così come sono, perché c'è un tipo di fame che non permette di attendere o di sottilizzare.

Lei, che passa un paio di notti l'anno, come fosse una stella cadente.
Spingerla contro quel muro dove è appoggiata e da cui mi sorride. Spingere il mio corpo contro il suo come a soffocarla, come a soffocare anch'io.
Non per amore, ma per fame.
E per desiderio. Per scoprire se è vera e quanto è profonda la voglia di lei, che mi sorride ancora in quel modo, ora che gli anni sono aumentati indebolendo il significato della loro differenza.
Spingerla contro quel muro e diventare un respiro solo, cadere a terra e respirare ancora insieme, come non ci fossero desiderio e bisogno maggiori, come fossimo l'uno l'ultima aria per l'altro. Respirarsi, e scoprire fino dove saprebbe spingersi, libera dagli sguardi delle finestre di un paese dormiente, durante una notte in cui la luna è passata e tornano a brillare le stelle ed il buio.


 



martedì 16 agosto 2011

x summer

Una generazione a caso

Mi affaccio dal balcone
e vedo noi in
quel cortile di scuola
a giocare a guardie e ladri
correndo in mezzo ai preti
ogni cosa fresca, facile
le nostre navi pronte a salpare
potevamo diventare così tante cose
che nemmeno riuscivamo a
immaginare

E non sapevamo
nè gli sbirri nè noi ladri
che i timoni erano bloccati
le rotte già programmate

E ora che sono passati vent’anni
qualcuno è rimasto
qualcuno è partito
qualcuno ha corso troppo
o c’è rimasto
mentre giocava a calcetto
qualcuno ha dimenticato
qualcuno ha mollato
e qualcuno, come me, si sente
eterno sopravvissuto

aggrappati ad una vela
dopo il naufragio
ad aspettare che la marea
ci sbatta
da qualche
parte.


Marco Zangari © 2011

mercoledì 10 agosto 2011

Teoricamente

aspetto
in un piccolo angolo inutile di mondo
panchina
cielo-umore scuro
palazzi, alberi, autobus
tempo che scorre senza passare
giapponese seduto di
fronte
che si scaccola
mi stringo nella giacca e penso
teoricamente
dovremmo essere tutti felici
-di quella felicita'
intesa come assenza-di-maldidenti
felicita' come niente cancro
e abbastanza soldi per un panino
dovremmo essere grati
per la non presenza di guerre e
terremoti
o di forfora e torcicollo
-felici di questa non-morte

nella realta'
niente sembra felice
e niente sopravvivera'
non il giapponese scaccolante, e neanche
i palazzi
tutto verra' spazzato in un nero
dove la felicita' non esiste nemmeno
in teoria
-ed io
aspetto.


Marco Zangari © 2011

martedì 9 agosto 2011

GENITORE

Dovevo assentarmi, per spingervi a muovervi. Vedo che qualcuno ce la sta facendo. Mi congratulo. Ma non credete basti saltare su un aereo e atterrare in un posto esotico. Un po' di quella merda che abbiamo lasciato ce la portiamo dietro. Perché sia chiaro che nessuno è pulito. E soprattutto è inutile cercare di lavarsi. Se non è merda è sudore, se non è sudore è il rumore del respiro. Dite grazie a quei due mostri di Adamo ed Eva, dite grazie a quel mostro che in preda alla noia si è inventato questo passatempo chiamato pianeta Terra.

Chiunque egli sia, spero sappia leggere in italiano e intendere la sacralità di posti come questo, riconoscendo anche le eresie dei tanti altri posti dove si sente solo profumo di sapone di marsiglia.

Maledetto

lunedì 8 agosto 2011

Zango Notes: Verso Sydney



Aeroporto di Catania. Stordito. L'altoparlante sopra le nostre teste dice qualcosa alla folla eccitata, triste, emozionata, ci dice che questa e' la nostra vita, e ogni passo crea un grosso solco in avanti e indietro, a destra e sinistra.

Siamo vitelli che piangono se vengono mandati al macello, e piangono se non ci vanno.

Arriva sempre quel momento in cui il viaggio mi risveglia qualcosa, particelle sopite che vengono a galla e mi fissano incredule come a dire, ma come cazzo hai fatto a stare senza di noi TUTTO QUESTO TEMPO? Non si tratta di felicita' o star bene, e' piu' un fatto di ritrovarsi in un elemento familiare. Ritrovo la gente al suo top, prendo note mentali di deliri e banalita'. Mi sento piu' giovane, come se avessi tra le mani un elemento vitale capace di dare un valore diverso al tempo.
I sobborghi squallidi fuori Roma, le case come abbandonate, e poi attraversi un campo di girasoli sotto i raggi gialli e sorridenti, e ti parla delle persone che ti sei lasciato dietro. Ti chiedi cosa stanno facendo adesso. Per loro e' tempo di pranzo, forse.
Per me, e' tempo di viaggiare.

Quando viaggi, il tempo si fa fisarmonica, dove le pieghe si allargano e contraggono in maniera esagerata per farci entrare tutto, le date si confondono e alla fine resti con una sinfonia un po' malinconica e vitale di facce luoghi risate brevi follie chilometri di strade e altri cieli.

Siamo tutti professionisti in queste notti romane, a mandare giu' birre e shottini restando piantati sulle nostre gambe, a ridere di tutto e tutti, a meravigliarci in silenzio, a lasciarci passare da arcobaleni di ragazze, a prendere la notte a braccetto fino alla prossima birreria, a farci benedire dai vicoli.
C'e' un'energia incredibile, le frasi tenute in gola durante il giorno che ora vengono fuori tutte assieme, frenetiche e sudate. Ogni notte, qui, e' la prima e l'ultima della serie. Sussurriamo porcate alla luna, passando rasenti a muri pieni di storia e graffiti, e la prossima meta e' solo un prurito che la strada risolve per te.

Roma mi ha fatto cambiare idea su di lei 3 o 4 volte, come una donna che devi veder passare ripetutamente prima di capire le sue magie e le sue trappole, come un ex che ogni volta viene fuori con qualcosa di nuovo che ti affascina come non ha mai fatto quando stavate insieme.

Dubai, 7 di mattina. Sempre piu' convinto che l'aeroporto e' luogo di solitudini portate a spasso: chi le condivide, chi le fugge, chi le ricerca. Ma le facce che incontri parlano da se'. Strappati alle abitudini e alle nostre storie, siamo quello che siamo -e quello che siamo, preferiamo spesso non saperlo.
L'aeroporto e' un posto a meta', e forse lo odio per questo. Lo odio perche' e' come me.

A Bangkok la temperatura esterna e' di 32 gradi (sono le sette di sera), ma anche quella interna non scherza. Evaporiamo piano in una sera che per noi e' notte fonda, in uno scalo fatto quasi di nascosto. Sudiamo tra i murales improbabili dall'aria di kamasutra e i finti tempietti buddisti -che ancora non hanno nessun paragone con le navicelle UFO appese sul soffitto dell'aeroporto di Dubai senza nessun motivo al mondo.
A Dubai quelli che ci lavoravano sembravano scazzati, arrabbiati per qualcosa che sembravamo aver fatto noi. Forse era colpa dell'ora, o perche' eravamo demoni occidentali, chissa'.
A Bangkok va un po' meglio, e meno male perche', dopo averci fatto uscire inutilmente dall'aereo che poi ci portera' a Sydney solo per poterlo rifornire, dobbiamo ripassare dal check-in dove un tizio untuoso ci rispiega come passare la roba nella macchina a raggi-x, come se fosse la nostra prima volta. Chissa', magari per qualcuno lo e'. Io ormai conosco bene questo aeroporto, e sono stufo di vedere l'Asia da un vetro. E' la prossima tappa per me, lo so, lo sento.
Siamo stanchi in queste sette di sera che sanno di tre di notte. All'ennesimo controllo al gate, una thailandese sui 27 non riesce a trovare la mia foto nel passaporto, si sfoglia il libretto pagina per pagina.
"Mi nascondo bene, eh?" le dico in inglese. Lei sorride come fanno loro, come se la risata le dovesse scivolare sul collo e da li' al petto. La saluto e lei mi fa "Buon viaggio, mister Marco", con un gran sorriso.
Questo salva la sosta in terra d'Asia.
Ora restano "solo" altri 7.500 km fino a Sydney.

Che la Notte d'Asia sia buona con me
Che abbia la pazienza di starmi ad aspettare
in questa orgia di partenze e continui ritorni
Che la hostess venga presto
a sculettare un'altra ordinazione

"Film divertente, non e' vero?" dice il ciccione accanto a me, indicando il mio schermo.
"Neanche un po'", penso, ma il ciccione ha voglia di parlare, e io ho voglia di ascoltare qualcosa che non siano queste fregnacce hollywoodiane. Mi dice che e' un kiwi (Nuova Zelanda), mi racconta di lui, della moglie, dei figli. Mi dice di scommettere sull'Australia, alla prossima Coppa del Mondo di rugby. Sapevo forse che c'era la Coppa del Mondo tra poco?
"Mi spiace" dico io, "ma da italiano, di Coppa del Mondo ne conosco solo una"
Lui ride e ordina un Jack Daniel's. Faccio il paio con lui e brindiamo a questo mondo piccolo e senza fine.

La prima volta che sono andato in Australia, nel 2007, era il giorno dopo il primo V-Day organizzato dal Grillo, con migliaia di gente in piazza. Adesso sullo schermo dell'aereo appare la notizia che l'Italia e' sull'orlo del default economico.
Dopotutto, sono stati loro a mandarci affanculo.

Accanto, dall'altra parte, c'e' una donna italiana con la figlia, entrambe esauste per i due giorni di viaggio. Mi dice che va a vedere i suoi, dopo 7 anni che non li vede. Col marito si sono conosciuti in Australia, e poi mesi e mesi di lontananza finche' lei ha detto, o ci sposiamo o ci lasciamo. E' andata la prima. Nella sua faccia pallida non trovo ne' conferme ne' smentite alla bonta' di quella scelta. Il neozelandese mi augura tutto il meglio, e io gli auguro di vincere la Coppa del Mondo, quale che sia. Lo schermo indica che il nostro aereo ha esaurito la sua corsa. La linea gialla del tragitto copre mezzo globo. Siamo arrivati, anche se siamo troppo stanchi per ammetterlo.
La porta si apre. Uscendo, vado a lavare i denti al bagno, e lo trovo pulitissimo. Fuori e' pieno di cartelli con su scritto cosa e' vietato fare. Sorrido. Sono tornato.
Il tizio ai passaporti, mi chiama anche lui mister Marco.
Ma la thailandese era meglio.

domenica 7 agosto 2011

Istanti

E ringrazio il cielo che mi viene ancora da piangere. Nel tentativo di resistere, la mia faccia muta in una smorfia di dolore insopportabile, in un orribile spasmo che trova pace, gioia e liberazione quando finalmente due gocce calde prendono a scendere giù sulle guance.

Bisogna fermarsi, ogni tanto. Dire stop ai propri progetti e a quelli che gli altri hanno per noi.
Ogni istante è la vita. E ci sono troppi istanti, ogni giorno, per non prenderla mai per mano, per non mostrarle nemmeno un sorriso, per non regalarle almeno una lacrima.

Niente progetti, per oggi. Si vive - davvero - un istante alla volta. Solo così nessuno ci prende, perché i più vanno a minuti, a giornate, a stipendi mensili e a euro/l'ora. Gli istanti gli sfuggono tra le dita di ferro, come granelli di sabbia. Non sanno afferrarli.

E adesso esco. E corro. Che magari non riescono ad afferrare nemmeno me.