martedì 23 settembre 2008

Come funziona il Morgana

Cari abitanti del Morgana
anche se da poco l'Hotel ha festeggiato il suo primo anno, mi sembra giusto rinfrescare un po' le idee e spiegare che cos'è il Morgana. Ci sono nuovi visitatori, e questo potrà servire loro magari a fare quel passo in più e prendere quella stanza che già li aspetta. Per i vecchi frequentatori, beh -vista la latitanza, un ripasso non fa mai male...
L'Hotel Morgana è un luogo d'incontro, di passaggio, di incontri fatti per caso, di facce che si incontrano e ritrovano, anche a migliaia di chilometri di distanza. Anche se, come in tutti gli Hotel, c'è un portinaio che tiene le chiavi e smista le chiamate, in realtà questo posto è di TUTTI.
Ok, lo ripeto: Questo Posto E' Di Tutti.
Lo so che, rileggendo gli ultimi post, sembra diventato un discorso a 2, ma vi assicuro che non è quella l'intenzione. La gente è timida, ha bisogno di quel paio di birre per sciogliersi, e a tal proposito vi ricordo che i frigobar nelle vostre stanze sono sempre pieni, e che il bar di giù, per quanto decadente, fa sempre il suo dovere.
Ognuno può occupare una stanza e sedersi per un po', tra un impegno importantissimo e l'altro, tra una cosa da fare a tutti i costi e l'altra -lo sappiamo, lo sappiamo. Ognuno può piazzare il suo bel post senza che nessun'altro gli rompa le scatole.
Al Morgana uno fa un po' come cavolo gli pare. Non c'importa. Non c'è un tema, e anzi più fuoritraccia andate, più interessante si fa la faccenda. Si è parlato spesso di viaggi, di Paesi, ma questo non vuol dire niente. Potete benissimo mandarci la poesia d'amore, la ricetta di vostra nonna, il disco che vi fa impazzire, il libro che vi fa adormentare, quella cosa che proprio vi preme in gola e volete buttarla fuori. Anzi, visto che come portinaio sono abbastanza pigro, non dovete nemmeno mandarla a me. Una volta iscritti, avrete il vostro spazio e ve lo gestite un po' come volete.
Io, intanto, mi godo il sonno del giusto.
E' un'idea, è un'esperimento, è una Casa Gialla alla Van Gogh, è uno spazio autogestito, è una democrazia in tempi in cui sembra una bestemmia, è un semplice cazzeggiare in riva al mare.
E così, eccoci. L'Hotel è pieno di stanze che aspettano solo di essere occupate, per discorsi seri come per chiacchiere sbronze.
Aspettano voi.
Ancora una volta, benvenuti al Morgana.

venerdì 19 settembre 2008

Il rock non è morto, solo un po' orbo





L’altra sera ero qui a casa mia con Mauro. Erano le sette di sera e stavamo bevendo VB. Lui suonava, io ascoltavo. La musica andava e la birra scendeva, come sempre. Fuori era buio e io indossavo occhiali da sole. Qualche giorno prima avevo spaccato i miei, e in attesa dovevo girare per casa come fossi Ray Charles. Non vedevo un cazzo, ma ascoltavo e cantavo. Mauro faceva i pezzi che sapeva. A un certo punto si gira verso di me e dice “Adesso prova tu”.
“Io?” dico, indicandomi come se ci fosse qualcun altro lì.
“Dai, almeno prova” dice lui, e mi passa la chitarra, con quel gesto intimo e sozzo che è come voler prestare la propria ragazza al migliore amico.
Prendo la chitarra in mano e la guardo anche se non la vedo bene. Non ho il coraggio di dirgli che qualche giorno prima, di nascosto, avevo preso in mano la chitarra e avevo provato a strimpellare la mia solita “Leggero” di Ligabue. Per me suonare “Leggero” è come quando da piccolo facevi 2 per 2 sulla calcolatrice per vedere se funzionava. Quella volta non ha funzionato. La canzone è solo 4 accordi, e io non ricordavo nemmeno come cazzo si facesse il Do –e se non ti ricordi come cazzo si fa un Do, allora bello mio meglio che ti dai alla cucina o al giardinaggio.
Adesso ho di nuovo la chitarra in mano. Non suono ormai da più di un anno, da quando sono partito per Oz. Sono sicuro che non ce la farò nemmeno stavolta.
Però la birra è scesa bene, l’atmosfera è buona, il compare è qui e l’Australia è lì. Perchè no?
Attacco.
Do. Lo trovo subito. Viene fuori anche bene, senza quei boeinggg di rinculo di quando cominci a suonare per la prima volta.
Sol. Questo viene proprio spontaneo, dopo il Do. Voglio dire, hai fatto un Do, sarai certo capace di fare anche un cazzo di Sol, no?
Mi minore. Questo è facile. Ma già so cosa mi aspetta dopo, e comincio a temerlo.
Fa. Eccoci. Lo sapevo che non poteva durare. Di ricordarlo, lo ricordo sul momento –come quelle parole di una canzone che non senti da anni ma che è sempre lì, in qualche angolo dimenticato della tua testa. Il farlo, però, è diverso. C’è un barrè di mezzo, e a me il barrè mi veniva mica tanto bene anche prima di smettere.
Allungo il mio indice, ci metto la forza giusta, nè troppa nè poca, e provo. Va.
È andato. il primo giro è andato.
Il secondo va ancora più liscio. Al terzo smetto anche di guardare le corde e mi concentro sulle parole. Poco a poco, parole e musica escono tutte assieme, passando dalle stesse zone. Vibrano, in questa stanza di birra e sole. Mi lascio andare completamente alla canzone, e in quel momento anzi IO sono la canzone. Ci sono io, ci sono i miei ricordi, ci sono tutte le cose che ci metto dentro. Ogni tanto un accordo salta, ovviamente, e c’è qualche pausa di troppo, ma per il resto va tutto bene. Mi nascondo dietro gli occhiali da sole per non far vedere che sono quasi commosso. A chi suona –per sfizio come per vocazione- capitano momenti così. Sono illuminazioni breve, sono passeggiate tra le stelle e sesso con le nuvole. Non sei neanche più lì. Diventi una persona di carne e note.
Finisco il pezzo. Io e Mauro ci guardiamo, lo sguardo complice di chi sa che razza di puttana difficile sia la chitarra, e anche che meravigliosa geisha sia se la sai prendere dal verso giusto.
Sono in silenzio. Guardo la chitarra. Come ho fatto, 12 mesi senza?
“Un’altra?” dice Mauro.
“Un’altra” dico io. Sfoglio il canzoniere che si è portato dietro dall’Italia, e attacco. Ligabue, ancora. So fare quasi solo Ligabue. Non sono esattamente tipo da falò di Ferragosto, ma per una decina di minuti puoi anche fermarti a sentirmi. A me, quei 10 minuti bastano e avanzano.
Le canzoni scivolano. In un paio ho un sussulto strano. È come tornare indietro, e ritrovare qualcosa che amavi immensamente, e che non sai neanche perchè hai lasciato perdere. Ricordo tutto, perfino accordi come il Si minore 7. È come se non avessi mai smesso –e probabilmente è proprio così.
Penso alla mia Pam, la mia prima chitarra, che ha fatto una brutta fine, e le dedico “Non dovete badare al cantante”.
Nel mezzo della canzone sento bussare alla porta. Eccolo lì. Il coretto degli italiani ha rotto le palle al condominio australiano. Vado ad aprire, non realizzando che sono in occhiali da sole, di sera, con l’alito che sa di birra e ancora la birra in mano.
“Yes?” dico, mentre Mauro si nasconde per non scoppiare a ridere.
Lei resta un po’ interdetta, all’inizio. È solo rock’n’roll, baby, non avere paura. Alla fine ritrova le parole. Voleva chiedermi se il giorno dopo potevo spostare il motorino perchè deve fare un trasloco.
Mh-mh, dico. La saluto e torno in postazione. Verso un altro po’ di VB per me e un altro per il compare. Sfoglio il canzoniere, ne ritrovo un’altra delle mie. Schiarisco la voce con un po’ di birra. Mi sistemo gli occhiali da sole. Prendo in mano il plettro.
Ricomincio a scoparmi le nuvole.


domenica 14 settembre 2008

un mese in OZ

Cari abitanti dell’Hotel ,

mancano poche ore al mio primo mese qui in OZ…

Con un po’ di presunzione ho pensato di fare un salto all’hotel è raccontarvi l’Australia come l’hanno vista i miei occhi di working holiday in questi primi giorni…


Il primo mese mi ha fatto rendere conto che qui a down under la vita non è più facile che altrove …

la prima e forse più importante difficoltà è certamente il lavoro ….

Molti credono che con un buon livello di inglese si possa trovare qualcosa facilmente…In realtà non è così e anche qui in Australia presto o tardi andrete alla ricerca di qualsiasi tipo di occupazione senza badare a orari e a paga …


Anche qui le case (o meglio i posti letto) costano in maniera esorbitante…e anche qui c’è chi pensa bene di trarne vantaggio…

Allora un letto su un balcone oppure una stanza in una casa completamente senza finestre diventano un buon modo per accogliere chi viene da lontano…

Del resto gli Australiani tendono a stare tra di loro occupando le case migliori (che ovviamente costano di più e sono quelle in cui bisogna dare più garanzie per andarci a vivere).

Così, prima o poi tutti occupano il proprio posto….

Gli Asiatici, spaventati dal mondo, sembrano vivere in una dimensione parallela della quale apprezzo solo il look al femminile (che fa invidia alle ragazze del red light di Amsterdam ma che al contrario qui sembra senza senso).

Mentre i working holiday si ostinano (come me) a cercare una sistemazione nel centro (anche se ancora non ho capito quale sia il centro…) e a rispondere ad annunci di lavoro che promettono di farti diventare ricco vendendo improbabili ed inutili aggeggi agli ingenui australiani.

E poi c’è Sydney, che riesce sempre ad emozionarti, di giorno e di notte, così senti che questo è il posto in cui vuoi stare e capisci perché sei andato così lontano… questo primo mese, per me, è letteralmente volato via…Per me, che i giorni sembravano non finire mai ed ora tutto così diverso… dando un nuovo senso ad una nuova vita…

Aldilà delle difficoltà che non ti aspetti , Il vento Australiano ha la capacità di darti quella ostinata e ottimistica determinazione a fare si che le cose funzionino…questo cielo ti rincuora e ti senti di nuovo forte…

In questo mese, anche io, ho avuto tante prime volte e spesso sono riuscito a lasciarmi andare , fregandomene di tutto e a pensare che in fondo non è mai finita se non lo decidi tu… stare qui mi ha fatto sentire di nuovo giovane ed è qui che la mia vita mi piace più di prima …

Non dovremmo mai smettere di viaggiare…

Al prossimo mese...

lunedì 8 settembre 2008

Un anno



Il tizio alla scrivania è impassibile. Con un gesto veloce mi strappa l’assegno di 2mila dollari dalla mano, lo passa nella macchinetta e mi porge una ricevuta. La guardo senza capire. Non per l’inglese, ma perchè tutto è stato così veloce. Mesi e mesi, e adesso siamo al dunque. La mia Morgana mi accarezza la schiena e capisco che dobbiamo alzarci e andare, e lasciare il posto alla prossima coppia che potrà sborsare 2 mila per tentare la fortuna come noi.
Uscendo dall’ufficio immigrazione, in una giornata fredda ma piena di sole, capisco anche un’altra cosa. Se sono qui, se sto uscendo da questo ufficio, vuol dire che un anno è già passato.
Un anno. Me lo ripeto, e il suono mi sembra rimbombare. C’è un’eco strana. So che un anno è un bel po’ di tempo, lo so. Ma lo stesso, il tempo mi è sembrato volare, in un certo senso. Un anno come un gioco, ma di quelli seri.
Guardo il cielo di Oz. Lui, sempre lo stesso. Blu, anche dopo un anno. E io? Come sono dopo un anno, io?
Un anno in più, quindi più vecchio, dovrei dire. Eppure non mi sento affatto così.
Il 9 settembre 2007 lasciavo l’Italia, quel Paese che amo e odio, quella meravigliosa puttana in riva al mare. Non ci metto piede da un anno. Da un anno non vedo quelle facce. Nessuna notizia sul Grande Fratello nè su Vespa. Un anno, e sembra pure poco.
Mi guardo indietro, e quando ci provo però ricado in avanti. Il futuro, almeno, è incerto. Il passato sappiamo già come va a finire. Il mio, a pensarci bene, non finiva nemmeno troppo male: c’era un aereo, un giornale che non ho letto, c’era un volo di 26 ore, e poi una città di sera.
Di solito, a queste scadenze, si fanno dei bilanci, si fanno dei proclami. Io non sono mai stato troppo bravo in questo. Non sono mai riuscito a darmi un voto, io. Mi limitavo a vivere, e questo era tutto.
Tra quella città di sera e il tizio impassibile alla scrivania sono passate un bel po’ di cose. Sarebbe facile dire che il Marco che è partito non è lo stesso di adesso, ma non lo dirò. Non lo dico perchè non sarebbe vero. Io, sono sempre io, anche quando sono un altro. La parola che mi ossessionava, prima e durante questo viaggio che non è un viaggio, è stata “ricominciare”. Ho sempre avuto una fretta maledetta, e ho visto il mondo come da un’auto in corsa. Mai fermarsi, solo andare. Avevo troppe cose da dire prima dei titoli di coda, per stare ad aspettare il cambio di scena. La cambiavo io, la scena, se era il caso.
E l’Australia mi sembrava perfetta per ricominciare. Tutti, in fondo, vengono qui per questo. Non si capisce perchè, sennò, uno se ne va a 15000 km lontano dalla propria casa. Non si viene qui per fare foto, nè per gurdare koala (per quanto simpatici siano). In una terra di ex-galeotti, tutti venivamo ad espiare la nostra pena infinita, la nostra condanna, a cercare la nostra evasione definitiva.
Ricominciare, ancora una volta.
Questo, un anno fa.

Scendo lungo George Street, verso dove ho lasciato il motorino. L’aria si riscalda. Primavera, come un anno fa. Primavera dopo l’estate, dicevo allora. Adesso non ho più un’estate di riferimento, quindi è solo primavera. Ma basta e avanza.
Un anno, e sembravano essercene dieci dentro. Prime esperienze come se avessi 18 anni ancora, e invece i 30 sono ormai lì a ridermi dietro. La prima casa, i primi lavori. Io, lei, e un affitto da pagare. 13 anni di scuola dell’obbligo, 5 di università, e nessuno che mi avesse preparato a tutto questo. In questo senso, “ricominciare” diventa “cominciare” e basta. Direi che sono cresciuto, ma questo farebbe ridere per primo me. Siamo eterni studenti, tutto qua. Qualcosa ci ha indurito lungo la strada, ma questo è successo millenni prima di Oz e del suo sole anche d’inverno. È successo quando una Oz non sembrava nemmeno esistere. Quando a “ricominciare” non ci si pensava nemmeno.
Arrivato di primavera, e poi scivolato verso un’estate piena di pioggia. L’acqua che rigava i vetri e io che guardavo e pensavo, dev’esserci qualcos’altro che devo fare, per poter “ricominciare”. Ma cosa? Come?
Mi sono concesso il lusso di essere triste anche a Oz, e ho capito allora che tutta questa faccenda del “ricominciare” era una stronzata da libro di Moccia. Solo allora, quando ho smesso di pensare sempre e solo ad essere contento, ho potuto essere davvero felice. Solo quando ho visto il cielo d’Australia riempirsi di nuvole, ho capito veramente quanto sole ancora restava. E il cielo era lo stesso, nuvole o sole. E così io.
Un anno, e come vedete non ho smesso neanche per un attimo di dire cazzate.
È stato un bel pezzo di strada, in ogni caso. Giornate di quelle che nemmeno avevo mai pensato potessero esistere. E un “ricominciare”, alla fine, c’era davvero. Qui, tra una risata e un doposbronza, ho ricominciato a sognare. A camminare, perchè correre a volte ha senso e a volte no. Ho ricominciato a sperare, non solo per me, ma per tutti.
Ho ricominciato a scrivere. Ho ricominciato a crederci.
Ho ricominciato ad amare, qui a Oz.
A quel punto ero già arrivato al motorino. Io e Morgana siamo saliti. Abbiamo messo il casco. I documenti non in regola. Ho fatto partire il motore. Adesso non restava altro che tornare a casa.