lunedì 10 febbraio 2014

Stop & Go


Un anno fa come oggi, cominciava il terremoto.
No, così non va bene: una mia amica, durante il mio recente viaggio in Italia, mi ha detto che dovrei scrivere di qualcos’altro. E allora va bene, visto che è il 2014, e che l’annus horribilis ce lo siamo lasciati dietro, parliamo di qualcosa di diverso. Magari proprio di questo viaggio in Italia.

Non so quando è stato il momento esatto. Forse quando, la mattina dopo Capodanno, pisciavo contro la montagna di rifiuti sotto casa, che non era stata raccolta da settimane. Forse quando ho sorseggiato la mia prima Tennent’s col gruppetto di sempre. Forse quando ho rivisto lo Stretto, o mi sono incazzato di nuovo per il coglione che parcheggia in doppia fila.
Forse, invece, molto prima. Quando sono arrivato già all’aereoporto, senza valigia (è una lunga storia, amici del Morgana, forse un giorno vi racconterò come il Vostro affezionatissimo ha girato mezzo mondo senza effetti personali perchè aveva scordato il bagaglio a casa... e vi farò fare due risate), e lì ho rivisto i miei, e li ho abbracciati.
Sì, forse è stato quello il momento esatto in cui ho capito che ero tornato a casa.

Che poi una cosa va chiarita: un ritorno a casa NON è una vacanza. Ci si va durante la vacanza, certo, ma il paragone finisce qui. Dal momento in cui l’aereo ha toccato suolo a Catania, a quando sono poi ripartito, in doposbronza e con 4 ore di sonno, dal terminal internazionale di Fiumicino, 35 giorni dopo, è stata una non-stop di uscite bevute mangiate facce appuntamenti amici messaggi chiamate notturne giochi discorsi seri discorsi cazzoni risate passeggiate giri in macchina altre mangiate altre bevute sigarette fumate in macchina alle 4 del mattino gatti playstation ricette sveglie sempre troppo presto con mia madre che dice, ancora a letto?
Non credo di aver mai fatto 8 ore di sonno di fila, in quei 35 giorni. Non credo di aver visto il sole per più di 5 volte.
Ecco perchè tornare a casa non è mai una vacanza.

Ma come per magia, nonostante tutto questo (e forse anzi grazie a tutto questo), ritorno sempre con un livello di energia che non si può paragonare a quello pre-partenza. Perchè diciamocelo, amici del Morgana: ‘sto cazzo di viaggio mi serviva. Chiamatelo come volete, ma ci stava.
L’ho fatto per i miei, per stargli vicino dopo un anno che sappiamo tutti, e poi ho capito che lo facevo per me, perchè ero io a volere loro, a volere gli amici, a volere tutto quello che quella terra così avara e distratta è riuscita a darmi (o forse sono riuscito io a strapparlo).
Poi quello che uccide noi espatriati è il tempo: poco, sempre troppo poco anche quando si tratta di più di un mese. Perchè in quel mese ci devi fare entrare tutto quello che di solito starebbe in un anno intero. E allora via, a fare incetta di facce e parole, ad uscire anche quando il fisico non ti regge, perchè “se non lo fai ora, quando potrai farlo di nuovo?”. Probabilmente la stessa cosa l’hanno pensata i miei amici, che l’ultimo giorno erano stremati quanto me.
Perdonatemi, fanciulli, per questa quantità da overdose di Zango. Volevo solo essere sicuro che vi bastasse fino alla prossima.

Io, da parte mia, mi sono preso tutto quello che ho potuto, e ne ho fatto scorta. Ho rivisto tutto, ho reincontrato amici che pensavo perduti, ho rivisto ogni posto con la calma e la semplicità di un sopravvissuto, ho convinto un mio amico a sposarsi (sono pericoloso quando bevo, sappiatelo), ho ritrovato un’amica che ne ha passate di belle, ho fatto un mini-viaggio finale dove ho rivisto altra gente che non vedevo da un pezzo, ho riprovato il piacere di perdersi volontariamente in una città nuova.
Basta? Certo che no. Avevo sempre l’ansia che non bastasse, che dovessi ricaricarmi queste famose pile facendo il pieno ogni giorno.
Poi a Roma passeggiavo da solo (alla fine!) per i Musei Vaticani, e vedendo mummie e reperti di qualche millennio fa, mi dicevo molto banalmente: siamo qui di passaggio –non solo io dall’Australia, ma un po’ tutti- e allora chissenefrega, basta lasciare il nostro segno.
Ed io, a modo mio, spero di averlo lasciato.
Voi con me, lo avete fatto per certo.

É stato un bel giro, è stato un bel ritmo. La nostra porca figura l’abbiamo fatta ancora una volta.
E senza ammetterlo, di questo avevo bisogno: una sosta significativa (non una vacanza), prima di una ripartenza.
Stop & Go.
Per ritornare alla vita che mi è capitata quasi per caso, che qualche volta nell’ultimo anno avevo maledetto, contro la quale avevo urlato, ma che poi mi aveva semplicemente fatto sedere e detto di non preoccuparmi, che qualcosa sarebbe successa.
Qualcosa succede sempre.
Ed è successa.
Ecco perchè, una volta ricaricata la batteria, non vedevo l’ora di ritornare qui a fare il mio pezzo di strada. Con la famiglia di qui, con gli amici di qui.
Con lei, che mi aspettava in aereoporto con un sorriso che stordisce.
Loro sono quelli che mi daranno la carica per arrivare al mio prossimo viaggio in Italia.
E così via, finchè la Emirates non mi farà azionista di maggioranza.


Un anno fa come oggi, cominciava il terremoto. Uno si aspetterebbe di vedere gli orologi fermi all’ora del sisma, come spesso capita.
Ma i terremoti non si rendono conto di una cosa importante: anche se le lancette sembrano ferme, il tempo continua a scorrere.
Eccome, se scorre.