giovedì 26 novembre 2009

Vivi e vivi. E impara.

Bevi e vivi.
Abbandonati, lasciati trasportare dalle onde. Buttati.
Sai cosa ti piace, cerca di raggiungerlo. Afferralo, costi quello che costi.
Cimentati in cose che non conosci, gettati in abissi sconosciuti e che ti fanno paura. Fottitene, se puoi, della paura.
Di "ti amo", di "mi sento debole", di "ci penso io a te", di "ho bisogno di te". Di "sei un coglione", di "ho sbagliato".
Di quello che ti pare, quello che senti, ma dillo: hai una bocca, e dei polmoni per soffiarci dentro le parole.

Non aver paura di dire che stai bene, se così senti, e non aver paura di fare il contrario, se senti il contrario.

Bevi e vivi. E dormi felice. Senza stress e senza incubi.
Ma al mattino, almeno per un istante, interrogati.
Tra il caffé che sale nella moca e il rumore della mano che fruga nel pacco di biscotti, pensa.

Senza domande, senza risposte, senza capire, l'esperienza è infruttuosa.
Genera solo ricordi, piacevoli e non, ma non è utile. Non ti rende completo, non ti rende più saggio.
A patto che importi. A patto che ne valga la pena. A patto che ne abbia la voglia.
La strada per imparare passa per l'errore quanto per l'ammissione di averlo commesso: un ego superbo può rifiutarsi.
Un ego superbo è il primo nemico del miglioramento, del completamento.

Tu vivi e vivi. E impara.
Impara prima di tutto a non essere superbo.

mercoledì 25 novembre 2009

W le Nonne!

X: “Non ho tempo per queste cose,
ci sono altre priorità,
dovrò aspettare almeno un altro anno!”

Mary: “Ma non c’è un tempo per i sentimenti,
sono liberi e vanno vissuti quando arrivano,
non si possono mettere in lista d’attesa!!!”

X: “Parli come mi a nonna!”

Beh forse è vero!...
Non sarò alla moda facendo questo ragionamento
in un mondo pieno di impegni,
in cui non abbiamo più il tempo di far pipi’ e spesso nemmeno di pensare.

Ma se parlare come una nonna vuol dire:

credere che i sentimenti ed i rapporti con la gente siano qualcosa di meraviglioso;
qualcosa che ci arricchisce;
che ci fa sorridere e ci da sostegno e forza quando le priorità della vita ci stressano;

allora sono davvero fiera di essere chiamata Nonna.

Alcune volte è molto più semplice dire che non si ha il tempo di vivere
piuttosto che ammettere che ci manca qualcosa o qualcuno…

Comunque sia W le Nonne!

Paradiso

E' la destinazione che tutti ci auguriamo di raggiungere, prima o poi.
Magari non esiste, e allora chiamiamola semplicemente FELICITA'.
Felicità.
La vita è un enorme stazione in cui ogni giorno arrivano e partono decine di treni.
Sono le occasioni. Quelle cose da non lasciarsi sfuggire, da prendere al volo, carpe diem etc.
Alcuni di questi treni, però, non hanno la scritta che riporta la destinazione. Non sono come gli autobus su cui sali tranquillo dopo aver letto "Termini" o "Piazza Venezia".
Ne passano a iosa, ma solo alcuni, in verità pochissimi, hanno le carte in regola per portarti verso FELICITA'.
Che poi la destinazione è assolutamente personale. Ognuno vuole il suo angolo di paradiso, quello universale è solo un luogo turistico come Machu Picchu.
E quindi non dipende solo dal treno, ma nello stesso modo dal biglietto, dalla comodità (o scomodità) dei posti a sedere, dall'itinerario e dal panorama.

Poi ci sono treni in cui si sale in due.
Ci si può saltare sopra in corsa oppure mettersi d'accordo e salire mano nella mano.
I bagagli? Meglio comprare tutto di volta in volta, nei market delle prossime stazioni.
Se il treno è quello giusto, andare in Paradiso insieme è un valzer del lago cigni, è una leggera meraviglia.
Alre volte ci sono scossoni, brusche frenate e ripartenze stentate. Il treno potrebbe anche non essere quello.

E se ci vogliono prontezza e un po' di coraggio, per salire su un treno che passa e non si sa dove va, altrettanti e forse più ce ne vogliono per abbandonarlo prima che deragli. Si può concordare con l'altro una stazione, o alle brutte saltare in corsa.

Sempre ricordando che viaggiare e conoscere può essere fantastico anche al di là delle singole mete.

Buon viaggio a tutti.


lunedì 23 novembre 2009

Mattatoio n. 5





Faccio una piccola premessa, ma non la faccio lunga giuro, che qui non è un forum letterario e gli unici critici del Morgana sono quelli delle doppio malto (rosse o bionde?).


Facciamo così: io vi dico quel che mi piace, e voi ci fate con questo quello che vi pare (anche cose sconce, non mi scandalizzo).


La premessa (e speriamo non venga fuori troppo Pieroangela): il bombardamento di Dresda, durante la Seconda Guerra Mondiale, è un fatto storico sconosciuto ai più. Nemmeno io ne sapevo molto, a dire la verità, e vi assicuro che per qualche perverso motivo ho letto abbastanza sulla WWII.


Pochi sanno che il bombardamento avvenuto a Dresda nella primavera del 1945 è stato il peggiore di tutta la guerra. Per intenderci: a Dresda, in una sola notte, sono morte 135.000 persone. A Hiroshima, 70.000 e rotti. Ma rotti proprio.


Quello che fa di Dresda un caso particolare non è solo la violenza spropositata, ma anche inutile –se ne esiste una utile. La guerra per la Germania era ormai finita, i russi bussavano alle porte di Berlino. Dresda non aveva mai fatto male a nessuno. Ma gli Alleati erano incazzati. E quella sera, come un marito ubriaco e rissoso, sfogarono tutta la loro rabbia repressa.


Fine della premessa.



“Mattatoio n. 5” è un libro che parla di guerra, ma non è un libro di guerra.


“Mattatoio n. 5” è più un libro che parla di fantascienza. Ma non è nemmeno un libro di fantascienza.


“Mattatoio n. 5” è un libro strano, un libro che è vero e finto, immaginato e troppo reale. È il libro di un sopravvissuto. E la vita di chi l’ha scampata, si sa, ha sempre quella marcia e quella risata amara in più.



Kurt Vonnegut, l’autore, era un prigioniero americano che per caso, quel giorno del ’45, si trovava a Dresda. Si salvò solo perchè era nascosto nelle budella di un macello, mentre fuori le bombe cadevano più insensate del solito.


Per anni Vonnegut ha provato a scrivere un libro su quello che era successo a Dresda. Semplicemente, non ci riusciva. Ci aveva provato e riprovato, con la bottiglia di whisky accanto, ma niente.


Non voleva scrivere un libro di guerra. Ma forse la luce era stata troppo forte.


Poi un giorno una donna gli fece capire che il mondo ne aveva piene le palle di generali alla John Wayne con la barba di tre giorni e la parlata rude e il loro coraggio da propaganda. Che nessuno ne poteva più di quelli che soffrono a far la guerra ma in fondo gli piace e se tutto va bene torneranno a casa con qualche storia da raccontare. Che Hollywood ha sputtanato tutto, e che la guerra, persino la gloriosa WWII, non è quella dei film. La guerra l’hanno fatta dei ragazzini mandati al macello per motivi che nemmeno conoscevano.



Così un giorno la storia nasce, e con la guerra non c’entra niente.


non c’entra niente con un bel po’ di cose, ma poi finisce per entrarci. Perchè Vonnegut, ancora a bocca aperta dopo tutti quegli anni davanti a quello che l’uomo può fare nei suoi momenti peggiori, usa una fantascienza ripiena di triste umorismo, di ironia tagliente, di voli pindarici, di cazzate in fila e poi quelle 4 paroline che ti colpiscono allo stomaco.


La storia non è facile da seguire, ma nemmeno l’uomo lo è, in fondo. E di fronte ad un massacro così nobile e così stupido, l’unica cosa che si può fare, forse, è rifugiarsi nell’assurdo, è credere agli alieni, è vincere il tempo, è farsi una risata dopo troppe lacrime.

Perchè è facile dire che la guerra è orribile. Dimostrarlo, è tutto un altro paio di maniche.


Così, mentre Billy Pilgrim fa i suoi strani viaggi avanti e indietro nel tempo, e tra la Terra e Tralfamadore, noi restiamo attaccati alle pagine, senza retoriche senza sentimentalismi senza facili emozioni, e semplicemente fluttuiamo, incapaci di comprendere un Secolo così imbecille, che non sa nemmeno che per i tralfamadoriani tutto è successo, succede e succederà. Incastonati in un pezzo d’ambra, qui o lì, non fa differenza.


So che non ci avete capito niente.


E’ proprio questo il segreto della bellezza di “Mattatoio n. 5”.


Come al solito, buona lettura.



giovedì 19 novembre 2009

ANDATE A FARE IN ...... DIGITALE!

Torno adesso dalla terza "risintonizzazione" in tre giorni. Già non ne posso più.

Non ne posso più da molto prima, in realtà. Pubblicità, avvisi, pubblicità e avvisi, avvisi e pubblicità.

"Non si vede più la tv","Siamo rimasti al buio","Ieri sera che tristezza, senza la tv","E' sparita la Rai".

Io non sono un tecnico, non ne capisco una mazza di analogico e digitale. Però per colpa del loro avvicendarsi (da me mai richiesto) sono costretto a correre da una parte all'altra di Roma per porre rimedio a sfaceli televisivi.
E corro, e poi sudato sono bloccato nell'autobus con seimila persone che sudano anche loro e che tossiscono, e che si lamentano del traffico e che è saltato canale 5.

"E ora come si fa?" dice una signora.
"Deve chiamare il numero verde" gli risponde un uomo anziano coi baffi, che ha l'aria di sapere il fatto suo.
"Macché, quelli non rispondono mica. Hanno detto che i centralini sono occupati, perché sono stati presi d'assalto".
"Però potrebbe essere anche l'antenna, chiami l'antennista".

Un casino. Non di quelli belli e buoni, ma brutti e cattivi. Un casino di quelli peggiori.

E io provo a calmare le acque, a mettere un po' d'ordine in quella confusione di telecomandi, decoder, bollini blu, antenne e batterie.

"Però questi problemi ai canali possono continuare sino al 30 novembre", dico.

E tutti crollano di nuovo nel panico e nello sconforto, come se avessi detto loro "Fino al 30 novembre immani sciagure potrebbero colpire la nostra gente". Si lamentano, e magari hanno anche ragione.

La domanda più importante, la frase più profonda, però non la dico.

"Ma non ce la fate a stare senza tv fino a fine mese?"

mercoledì 18 novembre 2009

La conversazione

Negli uffici del manicomio

gli impiegati non facevano

niente

ma parlavano, parlavano tanto

di calcio fica berlusconi grande

fratello calcio ancora pettegolezzi

ed ero l’unico che

non aveva niente da

dire

Prendiamo un caffè, dissero

così andammo al bar

e sentivo gli altri che parlavano

di calcio fica berlusconi vecchi film

vecchie barzellette pettegolezzi cibo soldi

fica tette calcio

io bevevo il caffè in silenzio

non avendo niente da

dire

Più tardi quel giorno visitai

un paziente

tutto andò liscio

e anzi facemmo una bella conversazione

su viaggi città esperienze cicatrici arte

donne solitudine nuvole libri episodi

buffi tragici cristi sconosciuti ciò che amavamo ciò

che odiavamo

ciò che ci lasciava indifferenti

parlando & ascoltando

senza aspettare soltanto

il proprio turno

Alla fine gli

chiesi

ma lei perchè è qua?

lui mi guardò e disse

non avevo niente da

dire

nelle loro conversazioni

Lo salutai e

mentre stavo uscendo dal

manicomio

feci un cenno alla guardia

e dissi

-però che tette quella

bionda in segreteria, eh?

(Marco Zangari, 2009)

Perché a me mi girano le palle


è inutile negarlo a me mi girano le palle ed è un girare vorticoso, quasi un moto ipnotico. Gira che ti gira ho deciso di fermarmi all'Hotel, brontolarvi addosso le mie sciabordanti frustrazioni. Ho da poco ottenuto il visto australiano a "tempo indeterminato" (lo definisco in questo modo perchè voi non ne capite niente di visti, dato che siete ignoranti, nel senso che ignorate il tema, poi se ignorate troppe cose allora siete proprio ignoranti, quasta volta nel senso che siete stupidi).
Molti mi hanno chiesto se fosse un primo passo verso la cittadinanza... non so per quale motivo, forse la caffettiera sul fuoco, forse i rigatoni Barilla, forse le mie mutande firmate Oviesse, tutto questo ha risvegliato in me uno Tsunami di patriottismo alla Borghezio. Io, sdegnato, pottì (voce del verbo passato remoto di potere, ve lo specifico perchè il dubbio della vostra ignoranza è ormai quasi certezza) solo ricordare allo straniero Canguroto che il mio legame verso il tricolore non fosse in discussione. Evidentemente avevo presto dimenticato che zavorra puzzolente e sgradevole possa essere quello stivale...Sempre ultimi in tutto, sempre sgradevoli, sempre incompetenti... io odio l'Italia e gli Italiani , spero di potere al più presto dimenticare la lingua in cui scrivo e scordarmi di questo pasticcio che si chiama Italia... Viva la Lega Nord!

lunedì 16 novembre 2009

Quando si dice si va in toscana. Ovvero anche un'altra volta.

Il cielo è grigio fin dalle prime ore della mattina (vabbè, mo' "prime" è un eufemismo, cmq dalla prima mattinata). Grigio come una cappa, che si estende fino all'orizzonte. Ma è il compleanno di G. e quindi tutti si va in toscana. Sei con due macchine.
Ora, non starei qui a scrivere tutta la vicenda, se V. ieri non mi avesse fatto notare che è successo di tutto, ma proprio di tutto, tranne che, ecco, giuncerci. In toscana.
Allora c'è questo cielo grigio che ci accompagna fino all'imbocco della roma-firenze e che poi si affeziona tanto che decide proprio di non abbandonarci più. C'è questo cielo, dicevo, e fin qui ci siamo. Ci siamo io, P. e il Bella in una macchina. L., V. e S. nell'altra.
Nella macchina di P. c'è il Bella che ci racconta la settimana di lavoro a Rimini trascorsa appresso al "capo", un truzzo talmente truzzo che se ne va in cantiere con i pantaloni attillati di pelle e le scarpe a punta (rigorosamente di pelle pure quelle). C'è l'mp3 nello stereo della macchina di P. (e ci sono io tutta contenta perchè finalmente ho l'impressione che regalargli una nuova autoradio in fondo non sia stata una cattiva idea), quando a un tratto si sente un fischio. Compare la spia luminosa dell'olio e cos'è-che-cosa-non-è la macchina si ferma. Tum, tum, tum. Quattro frecce. P. si sposta sulla corsia di emergenza appena in tempo per evitare uno sfracelo dovuto al cossiddetto tamponamento a catena.
Ci guardiamo tutti attoniti senza pronunciare parola fino a che non giunge la bestemmia di P.

Mezzogiorno circa. Siamo poco prima dell'uscita per Orvieto. L. fortunatamente (si può dire in questi casi?), andando a un'andatura più lenta, è dietro di noi. Telefoniamo. Compare la macchina. E così da tre ora siamo in sei sulla corsia di emergenza. Diciamolo pure, sei cojoni, che balbettano e osservano, con l'attenzione propria degli ignoranti, l'interno del cofano della macchina di P. giungendo alla conclusione di telefonare al numero verde dell'assicurazione, che promette di assisterci entro la mezz'ora seguente.
Mezzogiorno e quindici. Si ferma dietro di noi una volante della polizia (faccio notare che i cojoni diventano otto).
Cos'è-successo-cosa-non-è-successo, chiedono il libretto e scoprono che la revisione della macchina doveva essere fatta entro la scorsa estate. Nonostante tutto, P. non sviene. Appare lucido e quieto (che uomo!).
Dopo la telefonata alla madre di P., revisione-fatta-revisione-non-fatta-boh-, giunge anche il carro attrezzi.
Il poliziotto si mette una mano sul cuore, osserva P. con espressione dolorante e proferisce poche parole "Ragazzo mio, io credo che la tua macchina sia morta. Tanto vale evitare il fermo dell'autovettura e farti pagare la multa." Eh sì, tanto vale. Oltre al danno, almeno si evita la beffa. Così io e P. saliamo sul carro attrezzi e arriviamo ad Attigliano, dove l'auto viene lasciata all'interno dell'autofficina.

Il cielo è sempre grigio e abbiamo appena varcato il confine con l'Umbira. Ma in più abbiamo anche una gran fame.
I sei poveri-affamati-sfortunati giovani cercano un ristorante a poco prezzo (nel frattempo l'amico G. di cui è il compleanno finirà di mangiarsi un boccone in toscana per poi raggiungerci nel pomeriggio). S. conosce un agriturismo vicino, ma si fanno convincere dal mio cattivo sesto senso che il ristorante più vicino all'officina sia ancora più economico.
Così si entra in quest'ultimo, si va in bagno, si apre il menù per poi scoprire che i prezzi sono inaccessibili.
In un battibaleno siamo di nuovo fuori.

Terminato il pranzo nel buon "ristorante a poco prezzo", giunge finalmente anche G.
Il cielo è inconfondibilmente grigio. Manco a dirlo.
S. ha uno zio a Giove. Si prendono baracca e burattini e si riparte.
Lo zio si S. ha una villa circondata da enne_ettari di verde e una piscina di acqua salata.
Il piano terra è tutto un salone distinto in più ambienti con camini grandi quanto la casa di G. e divani grandi quanto letti a una piazza e mezzo. La casa per "giganti" ci fa restare tutti a bocca aperta. Prendiamo un caffè chi con zucchero raffinato, chi con quello di canna (perchè la coca è finita), quando sentiamo un bimbo gridare "papà, papà, sei in televisione".
Ora guardiamo tutti lo schermo della TV. C'è Nancy Brilli che parla. E poi compaiono le foto dei suoi tre ex-mariti.
Il padre dei bimbi fa un gran sorriso sornione. Allunga le braccia come per stiracchiarsi e non proferisce parola.
Dove-siamo-dove-non-siamo, finisce che cerchiamo tutti di darci un tono. Schiena dritta, pancia in dentro.
Beviamo vino a sorsi brevi e mangiamo tranci di crostata lentamente, evitando di sbriciolare a terra.
I sei cojoni sono finiti nella casa di Zio Paperone e quand'è così, si sa che ci si scorda delle magagne.

sabato 7 novembre 2009

L'angoscioso problema del crocefisso





Qualcuno le chiama armi di distrazione di massa. Non so. So che a 4 giorni dalla sentenza che “vieta” il crocefisso nelle scuole, non c’è telegiornale o giornale che non gli dedichi uno spazio in prima pagina. Si intervistano ministri, vescovi e soubrette. Ci si domanda sul perchè questa Corte di Strasburgo sia così senza cuore, così cieca. Si parla di gruppi di giovani di destra che entrano nelle scuole per lasciare crocefissi come protesta contro questo abominio. Di sindaci che emettono ordinanze contro questa sentenza europea. Di crisi dei valori, di tradizioni, di religiosità. Di confronto. Di dialogo. Di ministri che urlano su persone che possono morire, ma quel crocefisso non si deve toccare (in evidente sintonia con lo spirito e la tolleranza del nostro Cristianesimo). Addirittura ieri ho sentito Sgarbi che dava la colpa di un omicidio-suicidio tra marito e moglie vicino Napoli alla sentenza di Strasburgo.


Ecco come ci fottono.



La tecnica è semplice: prendi una cosa di cui non frega un cazzo a nessuno ma che sai già che attecchirà sulla massa in quanto evidente ingiustizia, e ne parli ne parli ne parli finchè la gente non pensa ad altro. La distrai, e in più la unisci contro un nemico comune –in questo caso quei cattivoni della Corte. Ma che bastardi eh?, dicono agli italiani. Noi che c’abbiamo il Papa c’abbiamo le chiese, ma come si permettono questi stronzi senzadio eh?, li infuocano i telegiornali.


E intanto la gente non pensa.


Non pensa che questa cosa è inutile. Peggio: è offensiva. Ci siamo mobilitati tutti, il ministro che fà ricorso, le masse che mettono mano ai forconi. Come se questo fosse il nostro primo e unico problema.


Anzi, come se questo fosse UN problema.


Chi se ne fotte del crocefisso in classe. Non ricordo nemmeno se ne avevamo uno noi, ma anche se l’avessimo avuto NON era quello il problema. NON lo era allora, NON lo è adesso. Scudo fiscale, un premier sotto processo, una crisi infinita, il terreno che frana, la libertà che diminuisce sempre più, la mancanza di ricerca di soldi di lavoro di speranza...e noi ci indignamo per il crocefisso.


Hanno vinto.



Così si abdica al proprio pensiero, alle proprie opinioni, alle proprie responsabilità di uomo nel mondo. Gli dici, fate voi, e loro ci danno sotto. Ormai è la televisione a decidere per cosa ci indignamo e di cosa ce ne sbattiamo. Nemmeno delle nostre emozioni possiamo fidarci più. Basta un certo tipo di ripresa, una certa musichetta in sottofondo, e un piccolo incidente diventa una tragedia apocalittica da cannibalizzare.


Basta un silenzio in più, e 30 morti sotto il fango scompaiono da un giorno all’altro.


Ci sovvertono i sensi, ci cambiano la realtà, ci camuffano la verità. Ormai ti fidi solo dei telegiornali per quello che accade. Non hai nemmeno una tua VERA idea sull’accaduto. Vai al posto di lavoro e ne discuti ripetendo per filo e per segno quello che hai letto. Non ti chiedi nemmeno se è vero. Non ti chiedi nemmeno cosa DAVVERO ne pensi su quella faccenda. Sei un’altra delle pecore che fa bee bee. Sei il mediocre che loro volevano tu diventassi. Servi solo a votare, acquistare e stare zitto.



E così nella stessa settimana abbiamo questa notizia del crocefisso e quella dichiarazione del nostro premier.


Del crocefisso, dio mio, ma a chi cazzo vuoi che gliene freghi? Eppure diventa questione nazionale. Una cosa da lavare nel sangue. I giornali fanno partire i sondaggi, i presentatori tv aizzano la folla. Le casalinghe i vecchietti i soliti bigotti che si scandalizzano. Quelli che vanno a messa a Natale e dicono che gli immigrati dovrebbero morire al paese loro.


E la notizia è falsa, è pura superficialità. Mica dimostri così se uno Stato è laico –così come quello italiano dovrebbe essere, sulla carta. Lo dimostri fottendotene dell’ingerenze sempre più pesanti del Vaticano sulle leggi, sulla salute, sulla società. Facendo pagare l’Ici alla Chiesa, la più grande compagnia immobiliare del mondo che alza gli affitti e sfratta i poveracci all’insegna dell’amore cristiano, e poi ti chiede pure l’8 per mille facendoti vedere il bambinetto africano. Instituendo le coppie di fatto e legalizzando la prostituzione, dando diritti agli omosessuali e permettendo la procreazione assistita e la ricerca sulle staminali.


Questo è laico, signor Bersani. Non un pezzo di legno appeso al muro.



Di contro, quel nanetto lì che dichiara, in caso di condanna nei miei processi non mi dimetterò.


Ecco, lì ti aspetti che si scateni il finimondo. Che l’opposizione urli tanto da far cadere i muri. Perchè, che cazzo, qui c’è un tizio a capo di uno Stato che dice esplicitamente di non riconoscere la validità del suo apparato giudiziario –che lui stesso, in quanto Primo Ministro, dovrebbe contribuire a tutelare come istituzione fondante- e di sbattersene del risultato finale. In un Paese dove se hai dei precedenti per rissa al bar non puoi partecipare a certi concorsi. In un mondo dove i leader politici si dimettono anche solo se vengono INDAGATI, in attesa di scoprire la verità.


Questa, al mio Paese (che non so più quale sia) si chiama eversione. Fra un brigatista che mette le bombe e un Capo di Stato che fa una dichiarazione del genere, non ci vedo molta differenza (morti a parte).


E nessuno ha fiatato. Nessuno ha detto niente. il solito Berlusconi, ha ripetuto qualcuno, con quell’aria bonacciona di quando si parla del povero zio rincoglionito.


C’è un Capo di Stato eversivo, e nessuno dice una sola parola. Non i suoi alleati, non quell’opposizione di fiancheggiatori. Glielo dica quando andrà al Parlamento Europeo, signor D’Alema. Glielo dica che abbiamo un capo-dittatore eversivo. Come? Come dice? È stato proprio lui a mandarla lì?


Ah.


Ecco.



Una notizia importante, ma era messa dietro, come il papello tra mafia e Stato, come i morti sul lavoro, come i licenziati e i disoccupati. Dietro, in mezzo ai servizi sul dove passerete le feste di Natale e sul perchè nell’era di Internet i giovani non si scrivono più lettere d’amore. Dietro dietro, in fondo, per non farle vedere troppo.


E poi il posto davanti è già occupato.


C’è il crocefisso.


Per Dio.






lunedì 2 novembre 2009

Ciao



"Al tuo sguardo freddo e libero"