lunedì 28 febbraio 2011

A fari accesi nella Notte e non vedere comunque un cazzo


Anni e anni fa, mi capitava questa cosa. Succedeva dopo una serata fuori con gli amici. A quel tempo vivevo nella casa al mare, nel mio paesino Bucodiculo.

Insomma, arrivavo davanti casa che erano già le due o le tre di notte, mettevo la freccia per girare, poi all’ultimo momento ci ripensavo e tiravo dritto. Non so perchè lo facevo. Ricordavo nitidamente di essermi messo in macchina stanco, assonnato. Mentre tiravo dritto, però, la stanchezza era scomparsa. Sapevo anzi che, se fossi andato a letto in quel momento, non avrei mai preso sonno.

Dovevo andare, sentivo solo questo.

Così cominciavo a girare per la statale costeggiando il mare, i paesini addormentati, le colline buie. Mi sentivo come se la mia serata stesse cominciando solo in quel momento. Perchè mi ero sentito stanco?

Capivo che era la gente con cui ero uscito. Mi avevano tolto le energie, e adesso piano piano quelle venivano fuori. Eppure da fuori sembrava che ci fossimo divertiti, che avessimo riso tanto. Mi toccavo le guance ancora un po’ indolenzite, e realizzavo che non riuscivo a ricordare nemmeno una delle cose per cui avevamo riso insieme.

Alzavo la radio, abbassavo il finestrino. A volte ascoltavo qualcosa di intimo, che ci stesse bene con quella Notte lì. A volte andavo giù di rock e lo urlavo alle colline buie, ai lampioni, alle case addormentate. Era il mio modo per svegliare quel mondo in coma. Per buttare via quello che restava di una serata in cui ero solo uscito da me stesso.

A volte non ascoltavo niente. Mi capitava soprattutto quando mi fermavo davanti al mare. Mi piaceva il rumore delle onde. Sembrava potesse lavarmi via dalla mente quelle parole inutili, quei pensieri opprimenti. Qualche volta mi spingevo a fumare una sigaretta nella spiaggia deserta.

Lo so che fa molto scenografico. Non cercavo di dimostrare niente, in quei miei giri. Non avevo una meta nè uno scopo. Non avevo un brutto pensiero da mandare via –o almeno, non soltanto uno. Non volevo fare la parte dell’eroe romantico, nè di nessun altro. Ero io, e questo mi bastava.

Ero brillo, qualche volta quasi ubriaco in quei miei giri. Lo so cosa pensate. Comunque sì, ci stavo attento. Non correvo mai, rispettavo i segnali e tutte quelle cazzate.

C’era la possibilità che una pattuglia mi fermasse. Era sabato notte, ed era quasi estate. Poteva succedere. Ma non me ne fregava un cazzo. Dovevo andare, e l’alcol mi sembrava quell’azzardo che rendeva tutto solo più interessante.

Anzi, mi piaceva molto sapere che c’era quel rischio. Dava più senso alla cosa. Stavo cercando di salvarmi da quel sonno universale, e per farlo dovevo camminare sul filo, dovevo far rumore, come un santone al contrario. Era la stessa cosa che mi aveva spinto, da piccolo, a provare a saltare dal balcone di casa mia. La stessa che mi aveva quasi fatto annegare mentre facevo immersioni in una grotta senza uscita. Quel piccolo rischio era un modo come un altro di sentirmi ancora vivo in un mondo pieno di morti.

Non c’era poesia in quello che facevo. Non cercavo la Bellezza, anzi semmai la fuggivo. Davvero, non me ne fregava un cazzo. Qualche volta sentivo che avrei potuto andare e andare finchè non avessi prosciugato il serbatoio, e a quel punto sarei andato avanti in qualche altro modo. Ma avanti, cazzo, sempre avanti.

Non cercavo niente, non avevo una donna da ricordare o da dimenticare, non vedevo nulla. La linea bianca in mezzo alla strada era il mio dio. Ero solo, e stavo più che bene così.

Mi sentivo a posto solo mentre andavo. Anche mentre mi fermavo per pisciare sul muro di qualcuna di quelle ville addormentate, lasciavo il motore acceso, pronto a ripartire, a prendere la mia strada, qualsiasi essa fosse. Non m’interessava quello che c’era dietro. Chi se ne fotte. Quelle strade schiumanti gente di giorno, adesso erano solo mie. Le percorrevo con rabbia, con tristezza, con tutto quello che mi passava per la testa. Il mondo aveva senso solo se visto da un finestrino in movimento. Fermarsi era la morte. Peggio ancora della morte.

Poi ho smesso di girare. Non so se sono arrivato da qualche parte. Ad occhio e croce, direi che sto ancora andando, anche se con un ritmo diverso. E’ questo che chiamano invecchiare? Forse il giorno che diventerò come quella gente in coma dei paesini, allora capirò che è finita. Eppure in quei miei giri sentivo che c’era qualcosa. No, niente significati nascosti o cazzate così. Era un giro in macchina, niente di più. Non mi snebbiava la mente. Tornavo ancora più confuso, con più domande, con meno voglia di dormire. Però tornavo, e ancora non ho capito perchè.

Una di quelle volte mi trovavo in uno dei tanti lungomare deserti. Erano le ore prima dell’alba, quei momenti intensi come urla a squarciagola e fragili come un neonato. Stavo fumando una sigaretta seduto in macchina, il finestrino abbassato, pensando a tutto e a niente –soprattutto a niente. In quel momento vidi un gatto camminare per la strada. Ci dividevamo la Notte, io e lui. Non aveva una bella cera. Neanch’io.

Insomma, il gatto fa un salto e atterra sul bordo di un cassonetto. Alla luce arancione del lampione potevo vedergli le ossa, una ad una. Lo vidi annusare il contenuto del cassonetto, con la coda tesa e le orecchie abbassate. Si girò. Ci guardammo per un secondo. Poi fece un salto e sparì dentro il cassonetto. Feci un tiro, gettai la cicca dal finestrino, misi in moto e partii. Quel gatto ora era felice.

Fu l’ultima volta che me ne andai in giro ubriaco dentro la Notte.


giovedì 24 febbraio 2011

Contest Giankarlesco: Occhi aperti. Occhi chiusi.





Occhi chiusi, silenzio che si mangia i pensieri, cancellature ai bordi, un respiro, un altro, discesa, corpo pesante e corpo leggero, le idee più folli in questo mondo al valico, gli incontri, i rancori, le imprese, tutto svanito, le dita che si sfilacciano e cercano nel niente...


Occhi aperti, da buio a buio, nascita e morte, destino cieco che viene a bussare, cosciente del respiro, del caldo e del freddo, del corpo sotto le coperte, della presenza accanto, del vuoto in noi, fate che giravano in testa e ora parlano un linguaggio di sbadigli, di singulti, di parole smozzicate, il corpo accanto è solo, il nostro corpo è solo...


Occhi chiusi, mancanza di consapevolezza, l’aria profuma di epilessia, orge lungo le strade, una spiaggia immensa, una scogliera dove qualcuno è appena morto senza emettere un suono, un bastone insanguinato, una corsa nella giungla, piccoli cadaveri per terra, il sorriso più bello che tu abbia mai avuto...


Occhi aperti, nessun rumore, nessun pensiero, vescica piena, era reale, era nella mia testa, era...


Occhi chiusi, un pozzo in fondo al cuore, immersione, non esiste via d’uscita, bocca che sa di caramelle e farfalle marce, cielo color medicinale, persone scomparse che vengono a vederci ballare, facciamo volteggiare un’amica mentre tutti applaudono, carillon dentro la pancia di balene, amori perduti che preparano la colazione, verde dappertutto, occhi di lei, fiume che scorre nella terra del frattempo, corse in elefante nella nebbiosa brughiera, una luce che non si raggiunge mai, una luce, una luce...


Occhi aperti, luce colpisce un prisma malato e violenta le palpebre, auto bestemmia in lontananza, troppo presto, troppo tardi, mostri e libellule che danzano intorno ai colori del prisma, all’elefante, all’amica, alla scogliera, agli occhi di lei, a croci in attesa di utilizzo, all’erezione, ai padri, alle chiese abbandonate, al corpo accanto che ora è tutto intorno a noi, alla luce, al buio, ai colori, al terrore, alla pace...


Occhi aperti, ma non del tutto.


mercoledì 23 febbraio 2011

lunedì 21 febbraio 2011


giovedì 17 febbraio 2011

UOMO DI LUCE

Non chiederla a me, la sensibilità.
Io per primo
non saprei che farmene.

Cercala altrove,
nel covo delle bugie;
troverai viscidi uomini-serpe
cui accorderai
l'altissimo potere di mentirti.

Abbracciami,
ma non chiedermi
di chiuderti gli occhi
con la mia mano.
Spiana pure la strada
e apri le gambe,
ma preparati ad accogliere
dolore al mio ingresso.

È il contatto stesso con la verità,
che sconvolge la vita di tutti.
Perderai la bussola della tua esistenza,
perderai a poco a poco tutto
quello che sapevi prima.
Dopo non saprai più.
Dopo vivrai e basta.

mercoledì 16 febbraio 2011

culture night

lunedì 14 febbraio 2011

Notte della Cultura: Angeli e Demoni (parte 2)




Superata la calca della piazza, ci eravamo infilati dentro il Duomo. Anche lì c’era la folla, dalla quale stavo scappando. Mi piaceva quell’energia, quel movimento, ma la folla non la posso soffrire. E’ una cosa mia, e la prendo così com’è.
Però, al di là della fila chilometrica per il Tesoro, della gente seduta ad ascoltare un concerto, al di là dei flash e delle chiacchiere, c’era questa cappella sulla sinistra. Senza dire niente, ho lasciato i miei amici e sono andato lì.
Non so cosa cercavo. Le chiese, per quanto belle, non mi hanno mai fatto un bell’effetto. Tutti quegli sguardi, quei giudizi, quegli anni di sensi di colpa e morali rigide che venivano fuori da ogni affresco. E c’è chi si vanta di averci fatto delle sveltine dentro. Le chiese, per me, sono sempre state un anticoncezionale davvero potente.
Insomma, arrivò lì e non c’è nessuno. Respiro a pieni polmoni. Mi sento bene, anche meglio di quando ho bevuto quel Jack in mezzo alla calca. Va bene la Notte della Cultura, le esibizioni e i concerti e tutto il resto, ma le mie pile sono scariche, al momento. La gente, me le fa scaricare. Ho bisogno di un attimo per me, solo uno, per poter ripartire.
Così mi siedo ad una delle panche, mi guardo intorno. Visto da fuori, potrei sembrare assorto nella preghiera. Effettivamente, sto pregando, ma non mi sto rivolgendo a nessun Dio, non sto ripetendo nessun salmo.
Osservo i quadri, le statue, le volte e le cupole. Che secolo? E chi lo sa. So solo che tutta quella gente lì, che ci ha lavorato sopra per mesi e anni, che si è impegnata, che ha voluto lasciare un messaggio, ora è tutta morta. Cosa ci insegna, questo?
Non lo so. Non so tante cose. Questo silenzio azzera le altre voci e mi fa risentire la mia. Sapete, a volte me la perdo, in mezzo a quello che mi circonda. Sono uno che preferisce ascoltare, che di sè non dice mai niente. I miei amici pensano che lo faccia solo con loro. Non è così. Non parlo di me nemmeno con me stesso.
Ma ora sono in pausa, mi sono allentato la cravatta dell’anima e insomma sono lì, in quel silenzio pieno che si trova solo in una chiesa, in quella semioscurità dove comincio a vederci chiaro. Così le parole cominciano a venir fuori, rimbalzano sui marmi e le croci e mi tornano indietro, in modo che possa sentirle solo io. In quel momento, mi rendo conto che sono stanco. Che sto correndo da un pezzo in mezzo a genti e correnti storte, ma non è forse vero per tutti? No, non è solo questo. Sto correndo via da me stesso. Ecco. Già ci siamo.
In un attimo capisco che sono in una fuga disperata che sa d’evasione, e durante questa fuga strappo e porto con me pezzi di notte, frammenti di frasi, sorrisi svaniti all’alba, insonnie, progetti nati per crollare, felicità impossibili. La mia stabilità è stata la crisi, il mio momento buono è stato quello meno peggio, la mia salvezza è stata il peccato. Solo mentre cadevo mi sentivo vivo. E’ sempre stato così.
Avevo bisogno di sanguinare, per sapere che ero vivo. Dovevo camminare in bilico sul precipizio per capire cos’era l’equilibrio.
Scappavo da me stesso, perchè la ripetizione è la morte di tutto, perchè speravo di trovare un senso solo muovendomi di corsa, perchè non c’era tempo per fare niente e io volevo fare tutto. Mi mangiavo le parole perchè la lingua non stava dietro a tutto quel che avevo da dire. Non scrivevo da mesi perchè la penna ce la faceva a seguire le parole. Avevo bisogno di bruciarmi in una fiammata, e non pensarci più.
Ma siamo giusti. Non ero solo. Avevo accolto nella mia Notte senza Fine una persona speciale dagli occhi verdi, un fratello che ora era lontano, e poi erano entrati altri amici, altrettanto importanti. A loro non avevo che da offrire la mia confusione, le mie risate folli, i miei ragionamenti contorti e le mie montagne russe dell’umore. Loro, stranamente, sembravano accettarlo. Nel buio della cappella, decisi che era una cosa buona.
Mi voltai e loro erano lì, seduti in disparte. Mi lasciavano solo, perchè sapevano che lo volevo. Ecco perchè erano importanti.
Mi alzai e guardai un’ultima volta il Cristo che avevo davanti. Beh, grazie anche a Te per non aver detto niente, nel mio delirio di riepilogo.
Mi avviai verso l’uscita, passando davanti ad un confessionale. Da psicologo, quella sarebbe tecnicamente la concorrenza. Magari dovrei lasciare dentro qualche bigliettino da visita. Non si sa mai.
C’era una parola sul confessionale. PECCAVI. Ci pensai un po’ sopra e poi uscii e mi lanciai di nuovo tra la folla, pronto a fuggire nuovamente, a peccare nuovamente. Ma stavolta il peccato, mi sa, me lo faccio fare doppio. E senza ghiaccio.
Buona Notte a tutti.

Notte della Cultura: di Arte, Messinesi e Chiacchiere varie (parte 1)




Notte, intanto. Basta questo, che già mi ci muovo bene. La chiamano poi “Notte della Cultura”, e va bene, chiamatela come vi pare. Non ho mai detto di no a nessun tipo di notte, nemmeno a quelle che facevano male.
Ci ho visto tante cose dentro, di quelle positive e di quelle dell’altro tipo. Le positive sono che intanto è stata una Notte diversa, e di Notti diverse ne abbiamo un disperato bisogno. Ha fatto uscire di casa quei culi piatti dei miei concittadini, e solo chi è di qui sa quanto è difficile questa impresa. Ha portato a mostre e concerti le coppie di mezz’età, gli anziani, i ragazzini del liceo, e neanche questa mi sembra malaccio come cosa. C’era un’atmosfera in giro come di qualcosa che stava SUCCEDENDO ogni momento, ad ogni angolo, e anche questa è merce rara dalle mie parti. Voglia di partecipare, di vedere, di sentire, di esserci, di capire. Di andare oltre il luogo comune del vivere in una città ricca di arte e storia, e scoprirlo davvero.
Questo per la risposta della gente e le intenzioni. Per tutto il resto, se ne può parlare.
Intanto, perchè UNA Notte così all’anno? Quei palazzi bellissimi, quelle chiese, quei monumenti, perchè devono prendere aria solo per un giorno? Mi suona come di concessione fatta al popolino. E il “popolino” invece dovrebbe rendersi conto che quei palazzi, quelle chiese, quei monumenti sono di TUTTI, che sindaci e deputati sono lì solo come RAPPRESENTANTI, mica imperatori, e che tutta quella è roba loro, della gente. Sono cose così, che possono far riaffezzionare la gente alla sua città che ora è trattata come un pisciatoio. Se smetti di parlare per sentito dire, e vedi veramente quel che c’è di buono.
E poi, via quel giorno all’anno. Questi posti dovrebbero aprire SEMPRE. Ogni fine settimana, cazzo, ci dovrebbero essere concertini jazz, musica classica, performance, presentazioni. Perchè questa città, come tutti, ha bisogno di vivere l’arte come cosa quotidiana, come aiuto, supporto, grandezza, e non come cosa distaccata, troppo alta per essere raggiunta, come contentino dato una volta tanto. Questo può far riavvicinare la gente all’arte, un contatto lungo, di scambio, proficuo per tutti. Togliamo questi pseudo-artisti dai loro troni, riportiamoli nel casino, fra la gente, e vediamo cosa succede.
Eppoi, la qualità. Beh, sembra anche inutile dirlo, ma si sono viste delle belle schifezze in giro. Cose spacciate per arte, ma non rientrano nemmeno nell’artigianato. Diciamo che si è approfittato dell’euforia del momento per far passare qualsiasi cagata come capolavoro del nostro tempo.
Ovviamente questo non è un problema di Messina soltanto, nè della sua Notte. Mi trovo pienamente d’accordo col post di GianKa ( http://hotelmorgana.blogspot.com/2011/02/la-morte-dellarte.html ).
Soprattutto quando il contrasto tra una statua del Duomo e un’installazione fatta con cartoni colorati e titoli stupidi ti ricorda in che Secolo povero e furbetto viviamo. Non che l’Arte sia solo quella classica del Duomo, intendiamoci. La sperimentazione è l’anima stessa dell’Arte, ci vuole, mica possiamo stare a menarcela sempre con Leonardo e Michelangelo.
Ma è anche vero che, come dice GianKa, si è persa un po’ la concezione dell’Arte, e in questo una bella colpa ce l’hanno questi (presunti) artisti. Siamo passati dall’Artista che era anche Artigiano perchè sapeva creare, darsi da fare, studiava, conosceva, si impegnava, a quello che si affida all’ispirazione, che un’IDEA d’Arte e la mette in mostra, che pensa all’effetto, ai giornali, alla provocazione, e se gli chiedi cosa voleva dire ti prende per scemo. Perchè non lo sa nemmeno lui. Perchè non c’è pensiero, riflessione, non c’è dolore nè gioia. Sono cose messe lì, colori vomitati sulla tela, strutture in plexiglass o stampati che farebbero la loro figura solo nello studio d’un dentista.
Una volta l’Artista era una figura importante, riconosciuta. Era un mestiere Alto, che non aveva niente da invidiare agli altri. Era un segno di distinzione importante.
Adesso è un altro modo per dire fancazzista. Ora l’artista è uno che non vuole fare un cazzo, e spesso non SA fare un cazzo. E’ uno che non ha voglia di lavorare. Che ci vuole prendere per il culo.
Le pochissime persone che conosco, che con l’Arte ci sanno fare, mi denuncerebbero se le definissi “Artista”. E hanno ragione.
Una volta c’erano i mecenati, le corone di alloro, i riconoscimenti, i funerali pubblici. Adesso ci sono gli E-book, le pubblicazioni con contributo, i quadri che prendono polvere in sperdute gallerie, i tagli, gli spettacoli gratis.
Per fortuna sono uno che all’Arte non ci crede.
Sennò dovrei incazzarmi davvero.

La trottola


Hai mai provato a fermarti un attimo senza scappare da te stesso?

Io sono come una trottola,

sono mesi che giro su me stesso alla ricerca di qualcosa.

Sono mesi che, nonostante le botte,

mi inclino, ma continuo girare.

Senza sosta.

Credevo di aver trovato l’equilibrio sfruttando la forza centripeta della rotazione,

credevo di aver trovato la via per sfuggire ai pensieri,

alla sofferenza.

Bastava girare e tutto si confondeva,

svaniva in un illusione ottica.

Bastava ricaricare la trottola e riprendere a girare ancora più velocemente.

I pensieri scivolavano via,

si confondevano e mescolavano nel vortice della rotazione.

Ad un tratto una mano mi ha preso sul suo palmo

e ho iniziato a girare su esso.

Stavo bene sul suo palmo,

pensavo che sarei potuto restare in equilibrio su quella mano,

anche senza girare.

Allora ho iniziato a rallentare.

Rallentare la rotazione mi faceva apprezzare ancora di più quella mano.

Potevo osservare le sue dita affusolate e la morbidezza dei polpastrelli.

Volevo fermarmi e non girare più.

Credevo che quella mano potesse essere il posto più accogliente della terra.

Credevo che finalmente mi sarei potuto fermare.

Volevo concentrarmi sul calore di quella mano che mi stringeva.

Credevo di aver trovato l’equilibrio anche senza girare.

Poi ad un tratto quella mano mi ha lasciato cadere.

Durante la caduta acceleravo,

ricominciavo a ruotare su me stesso.

Quando ho toccato terra giravo ancora più velocemente di prima.

Da allora ho ripreso a girare vorticosamente.

Io sono come una trottola,

giro cercando l’equilibrio,

giro sfuggendo i pensieri,

ma vorrei tanto fermarmi e stare in equilibrio senza scappare da me stesso.

V (stanza117)

domenica 13 febbraio 2011

La morte dell’arte

La morte della tecnica, l’assenza del pensiero, il silenzio dei sentimenti.
Il decennio delle opere inutili, cosa rimarrà ai nostri figli? Quale grande pensiero gli artisti tramanderanno?
PRODUZIONE !
Mi chiedo adesso quale sia divenuto lo scopo dell’arte.
Colori industriali gettati su tele prodotte in serie, immondizia?
L’usufruitore non capisce il senso dell’opera ma non rivela opinione per timore di esser etichettato come ignorante o insensibile, ma cosa che più mi lascia perplesso è il compiacimento e il vanto che l’artista trova in tale situazione, ne trova giovamento commerciale, diviene incriticabile nella sua torre d’avorio.
PRODUZIONE!
L’inflazione dell’etichetta, qual è la definizione di artista?
In una società monocolore l’individuo cerca di rubare una sfumatura per tentare di essere diverso, migliore, per cercare di essere, se non ci riesce si rinchiude in piccoli gruppi e tenta di rendere diversa almeno la sua congrega, il circolo degli eletti, incompresi!
Oggi l’arte è inutile, sporca e muta, molti trovano addirittura infamante chiamare o esser chiamati “artisti”, è come indicare qualcuno che per la sua fame di notorietà ed egocentrismo spreca tempo nella produzione di vuoti.
Fino agli inizi del 900 chi produceva arte era genio, baule di cultura, pioniere nell’invenzione e nella sperimentazione. Il pittore era alchimista, falegname, inventore, geologo, letterato, medico.
Oggi invece?

L’arte è comunicazione, l’arte è pensiero, opinione e sentimento, studio, sacrificio, dedizione.
L’arte oggi dovrebbe essere soprattutto umiltà, dovrebbe essere il coraggio dell’individuo a urlare il suo disagio, dovrebbe essere pensiero, opinione.

Ma l’arte è anche stampa della società in cui viene prodotta, quindi forse dovrei più che criticare l’artista, insultare la cultura grigia in cui viviamo, foto sbiadita di tempi in cui l’uomo pensava…

CONVALESCENTE

Ultimo giorno.
Me ne resto al chiuso anche oggi, ma non al riparo. Domani spero sia forte abbastanza da uscire e compagnia bella. "Compagnia bella" sta per respirare, dribblare le macchine attraversando all'improvviso, ridere, cercarmi un lavoro, stare con una ragazza. Un sacco di roba, ma il nocciolo della questione è che domani spero che avrò smesso di essere quella BOMBA AL CATARRO che sono diventato negli ultimi giorni.
E insomma, di questo inizio di anno si può dire davvero di tutto, tranne che sia cominciato all'insegna della salute.
È che sono cagionevole. Che sì, insomma, sono deboluccio. Specie quando il morale è poco incline a volare, quando non riesco a raggiungere il settimo senso e ad espandere il cosmo ai confini delle stelle.
E manga-metafore a parte, è stato di recente un mio amico a dirmi che psiche e soma sono sempre in contatto.

Quando il 2011 è entrato in casa mia, ero innamorato. Avevo forze per due. Ero anche un po' malato, ma "tenevo botta". Poi ho sofferto, poi non ho capito. E allora ho preso le distanze e quell'amore è stato messo sotto accusa. Ho cercato di spiegarmi, ho chiamato in causa "l'entusiasmo di una storia che inizia" a spiegare le cose, a farmi da testimone. Ci ha rivelato il suo ruolo e noi abbiamo escluso quanto veniva da lui, ma quel sentimento dentro di me non l'ho mai rinnegato.
Mi sono fermato, e poi sono ripartito, convinto di poter ancora provare. Ma a quel punto non c'è stato più niente da fare. Poesie sublimi di speranza e parole d'affetto vengono ad illudermi in questi giorni di tosse e di muco, di verde prigionia. Resisto, duello con l'amore, l'unico vero alleato che avrei, e tengo lontana la malinconia, l'unica infermiera che mi è rimasta. Senza tregua e senza riposo.
Ma senti le forze non cedere più. E domani le metto alla prova.
Sputare via questo veleno d'amore che ancora mi circola dentro, scordare questa dipendenza che si rinnova a ogni alba.


martedì 8 febbraio 2011

Essere Giovani a 25 anni (fase invernale, parte II)

L'inverno cede il posto a sprazzi di sole anche qui al nord. Le temperature sono salite e il cielo si è rischiarito. Girare Ferrara per il centro ora sembra diverso. La città ha un'atmosfera più viva e sembra che si stia risvegliando da quel torpore di grigio e nebbia di cui è afflitta. Dalla piazza centrale ora si può ammirare in tutta la sua maestosità sia il castello che la torre con l'orologio. La cattedrale e la vista di ogni vicolo che vi si irraggia.
Sembra quasi che io riesca a scorgere un'empatia con Ferrara che andavo ricercando perdutamente negli ultimi mesi.
Il Torrione di lunedì è pieno di gente. I concerti di jazz sono gratuiti e l'ambiente si impregna di giovani. La musica scorre in ogni angolo e raggiunge ogni poro sulla pelle. Fuori fa freddo. Ma dentro la vita è palpabile e ti fa sentire quasi a casa.
Se la cerco anche qui, da casa, attraverso un pezzo di Miles Davis e una buona aspirata di narghilè alla liquerizia mista a melone, è solo perchè mi fa sentire bene.
La strada verso la primavera ora sembra breve.
E se ho paura di qualcosa è solo del tempo che scorre velocemente, e quando il tempo sfugge ci si sente un po' più vecchi. Solo un po' meno giovani...

lunedì 7 febbraio 2011

LE NOSTRE FACCE DI SEMPRE

Solo rumore
e le nostre facce di sempre.
Eravamo dentro da un niente
e già volevamo tornarcene fuori.
Luci e ombre all'ingresso
ci avevano mentito.
Non era il posto, quello,
per urlare
chi eravamo e che volevamo.
Non era il posto
per dimenticarci
di essere figli
di Dio.
Figli reietti.

Solo rumore
e le nostre facce di sempre.
Quattro mura mutacolore
e nemmeno un paio di gambe
da metterci dentro la mano.

La troia al bancone
mi aveva ingannato
con un sorriso.
C'è un modo peggiore per ingannare?
Io l'ho immaginata con lo stesso sorriso,
sotto di me.
Mi stringeva dentro di lei
e con gli occhi chiusi si mordeva le labbra.
Il mio piacere non l'aveva mai avuto.
Io l'ho avuta l'istante di una fantasia umida,
ma non mi è bastato
per restare in vita nel buio.
Maledetta quella notte sprecata.
Maledetto il nome di nostro padre.

Come scrivere sul Morgana


Per scrivere e postare sul Morgana, bastano TRE semplicissimi passi.

Primo passo: per ISCRIVERSI al Morgana è necessario avere un INDIRIZZO MAIL DI GOOGLE (regola non scelta da noi del Morgana, che, come si sa, non seguiamo nessuna regola).
Secondo passo: una volta in possesso di questo indirizzo mail (se non lo avete già, si fa in pochi minuti, e ve lo dice un tecno-impedito), CONTATTATECI. Potete farlo col commento ad un post, o attraverso la pagina Facebook, come vi viene meglio.
Noi provvederemo ad inviarvi l’INVITO al Morgana. Vi arriverà nella casella di posta Google.
Terzo passo: seguite i passaggi contenuti nella mail per CONFERMARE l’invito.
Fatto? Ok. Adesso siete a tutti gli effetti degli OSPITI del Morgana. Da questo momento in poi vi basterà cliccare sulla scritta ENTRA, in alto a destra; inserire la vostra mail e password; andare su NUOVO POST, scrivere, pubblicare.
Credetemi: è più facile di come sembra.

Potete pubblicare col vostro NOME, ovviamente, o usare un nickname anonimo. Non ci formalizziamo, da queste parti.
Stessa cosa vale per i commenti: potete firmarli, o usare il vostro nick abituale.

Per qualsiasi problema tecnico, contattate lo Staff dell’Hotel, come detto sopra. Se non siamo impegnati coi mojito, vi aiuteremo.
Se NON RIUSCITE A ISCRIVERVI, potete sempre contattare uno di noi e inviare il pezzo, e noi provvederemo a pubblicare col nome (o nickname) che preferite.
Se volete fare delle PROPOSTE, sondaggi, dibattiti, gare di rutti, concorsi di Miss Maglietta Bagnata, noi saremo ben lieti di ascoltarvi.
Ma perchè continuo a dire “Noi”? Se siete arrivati fin qua, questo “Noi” siete anche Voi.
Fatene buon uso.
Buon Morgana a tutti.

domenica 6 febbraio 2011

STRATI DI SPIRITO

In realtà il fatto che un'espressione del genere sia un colpo speciale del cavaliere d'oro Cancer c'entra ben poco. La realtà è semplicemente che negli ultimi giorni si avvicenda in me un'infinità di stati d'animo, spesso molto distanti tra loro. Un momento prima mi esplode dentro una risata spassosa di voglia di vita, un momento dopo vengo sopraffatto da una tristezza dolce e profonda. Che io abbia il ciclo? In attesa che un'approfondita indagine allontani questa paventata ipotesi che getta discredito sulla mia già pressoché inesistente mascolinità, mi godo il momento. Anche se non so bene che tipo di momento è.

La mia creatura sta bene, e viaggia sui binari della salute. Non mi interessava che facesse un boom di enorme successo, mi bastava saperla abbastanza in forma. E il cuore sta decisamente meglio. Di colpo si era scoperto ammalato e anche lui si è dovuto fare le sue sacrosante due settimane di aerosol e sciroppo fluidificante. Ora invece è così sgonfio e leggero che sembra possa prendere il volo da un momento all'altro. Come un aquilone non del tutto felice ma per niente depresso se ne sta a mezz'aria in attesa che una raffica seria lo porti a perdersi chissà dove e chissà con chi. Le mie stesse parole mi piacciono di più. Ci sento più luce e ci vedo quindi più colore. Mi riscaldano meglio e danno un senso ai miei occhi che vogliono solo guardare e sorridere.