venerdì 30 ottobre 2009


Essere lesbica non sempre è stato facile.
Essere una segretaria lesbica è ancora più difficile.
Proverò a spiegarmi meglio.
L'ambiente aziendale è la balena di Pinocchio, la bocca del lupo di Cappuccetto Rosso, la carrozza che si trasforma in zucca di Cenerentola. Da grande scopri che tutto quello che ti narravano quando eri bambino ha un inesorabile fondo di verità...tutto sommato.
Ho scelto la strada impervia del posto fisso...non sempre più accogliente di quella da eterno precario.
Almeno da free-lance, da artista mancato, da disoccupato cronico le tue lamentele sono giustificabili. In Italia se hai un contratto a tempo indeterminato diventi un unto del Signore...
Anche se spali carbone sarai per gli altri un eletto di Gesù Cristo perché mensilmente hai una sicurezza economica.
Oggi è il lavoro a scegliere noi.
Prima di fare questo ingrato mestiere me la spassavo beatamente in un call center ...almeno rientravo in quella folta schiera di laureati in Scienze delle Zucchine che finiscono a blaterare inutili frasette di rito indossando cuffie di bassa manifattura...
All'improvviso la folgorazione... voglio crescere, fare carriera, far tacere il telefono per sempre.
Così mi ritrovo qui... è quasi passato un anno. Preparo caffé, stampo pagine su pagine, sopporto a stento mentecatti in cravatta e donnine assevite al mito dell'uomo di potere.
Ovviamente , per fortuna, ci sono le eccezioni...
Non mi sono piegata... ho mantenuto le mie scarpe da tennis e il mio sguardo rigido da osservatore esterno...
Sono il narratore onniscente di me stessa...
Il materiale qui non manca, l'umanità è fin troppo variegata...
Pensavo che il maschilismo fosse un retaggio di antiche generazioni... invece è attuale, è respirabile. Bisogna ammettere che lo zerbinismo delle donne alimenta questa malattia... specie in certi contesti lavorativi. Le donne sorridono maliziosamente, si imbarazzano, diventano rosse ... si precipitano con vassoi d'argento per servire con solenne mestizia il capo di turno.
Per quel che mi concerne, ho sviluppato il dono dell'invisibilità... sanno che la speranza di convertirmi all'universo tailleur è altamente blanda... l'ho indossato solo per i colloqui e poi l'ho riposto nell'armadio...tanto le fotocopie potrei farle anche in mutande.

giovedì 29 ottobre 2009

per un nuovo hotel..una nuova valigia..


E’ ora di preparare la valigia…un viaggio? Si…si può chiamare così…è un viaggio un po’ diverso però…parto? Probabilmente…me ne vado per un po’ da tutto ciò che ha provato ad anestetizzarmi…sentire…questa è la mia meta… Ora per un viaggio ambizioso si rende necessaria una valigia piena di buoni propositi…perché mi spinga a perdere la voglia di tornare…dentro ho messo…
Ci ho messo la mia risata…è troppo clamorosa per lasciarla qui, mi farà compagnia…è un po’ contagiosa…non so bene quanto…ma credo quel po’ che basta per farmi incontrare sorrisi…
Ci ho messo i miei occhi…perché siano filtro attivo di quello che mi verrà offerto…perché possano spiare l’inosservabile ed eludere il palese…
Ci ho messo la mia curiosità…perché continuerò a scoprire, continuerò a chiedermi, proverò a non essere passiva…
Ci ho messo dentro anche i miei sbagli, gli errori perché ci sono cresciuta…li ho messi perché li vorrò rivedere di tanto in tanto…per pentirmene ancora…o per riderci su…o semplicemente per farmi avere sempre la voglia di farne ancora…
Ci ho messo del disinfettante…perché saprò ancora sbucciarmi le ginocchia…
Ci ho messo una bottiglia di vino….forse ne aggiungerò delle altre…perché sia con me quando avrò voglia di scaldarmi…quando sentirò la necessità di inebriarmi o semplicemente quando avrò voglia di gusto…
Ci ho messo la passione, la stessa che cerco di mettere in tutto quello che amo…la stessa che fin’ora ho usato per farmi calzare a pennello le mie situazioni…la stessa con cui salgo su un palco…la stessa con cui studio la mia disciplina…la stessa con cui sfioro i corpi con i quali mi fondo…
Ci ho messo qualche vecchia foto…di quelle che quando le guardi sorridi perché ti ricordano attimi che vorresti rivivere milioni di volte…
Ci ho messo qualche buon cd…cioè…buono per me…così da avere la colonna sonora della mia vita…
Ci ho messo qualche foglio di carta e qualche penna…per non scordarmi di appuntare i colori..gli odori…i silenzi e le risate che la memoria tende a tralasciare…
Ci ho messo il profumo di mia madre…così che possa sempre sentirlo quando ho bisogno di sentirmi a casa…così che possa sempre immaginare lo sguardo che mi farebbe..e da lì..capire qual è la strada giusta da percorrere…
Ci ho messo tutto…tutto quello che mi serve… Non resta che partire… Strade diritte o sbagliate è il tempo di continuare a percorrerle…con la mia valigia…
E dentro…”ci sono solo quelle due farfalle dure a morire”…

mercoledì 28 ottobre 2009

Di corsa piano piano

Così diceva mio nonno buon'anima, che forse non c'era mai salito sulla metropolitana.

Io invece lo faccio spesso.
Coi tempi che sono cambiati, con le linee che sono diventate due e pensano a raddoppiarsi entro breve. Coi parcheggi che lì sopra sono finiti, con le strade che tra ingorghi e semafori non trovi posto nemmeno a camminarci in punta di piedi.

Io la metro la prendo spesso.
Nonostante abbia le sue pecche, come ogni altro servizio urbano di Roma, riconosco che per i tempi di percorrenza valga almeno il prezzo del biglietto (quello dell'autobus dovrebbe invece essere dimezzato).

Ci siamo chiusi in spazi sempre più piccoli e li abbiamo resi affollati come formicai. Sottoterra, specie nelle fermate più importanti, la sensazione di soffocamento e confusione è in grado di disorientare anche il più esperto metro-viaggiatore, talvolta.

Tutti in fila a sgomitare per entrare per primi, per accaparrarsi uno dei pochi posti a sedere rimasti in palio. Sgomitare con chi li brama come e più di noi, sgomitare con chi invece abbandona il vagone felice di "aver già dato".
Ma non è detto che per lui sia finita. Non è affatto detto che sia salvo.
Ora forse deve correre in superficie, deve uscire a riveder le stelle a tempo di record, prima che il suo appuntamento sfumi nel nulla rendendo inutile tanto affanno.
Altri si cercano, e forse a loro non basterà ritrovarsi tra la folla per tornare a stringersi la mano.
Altri ancora avanzano senza piglio e senza vita, come fossero anime in marcia verso l'attracco del malevolo traghetto.

Io invece voglio solo correre.
Per allontanarmi da quell'inferno, per fuggire via lontano verso l'aria esterna che sarà pur sempre sporca ma almeno anche più viva.
Scatto tra quegli spettri, ne scarto due o tre alla volta tra un "permesso" e uno "scusi". Saltello tra i non morti, zompetto agile e un po' sudato tra gli zombi.

Poi però mi fermo, di colpo.
Una decina di persone deviano il flusso di spiriti come una specie di promontorio.
Nel gruppo, che cerca di non perdersi come un trombo nella circolazione, dei ragazzi down.

E io, che voglio solo correre, rallento con calma e aspetto.
Capisco.
Ma da dietro uno spirito appena superato mi rivela una sua insospettata consistenza fisica.
Muscoli, ossa. Carne.
Mi urta per trovare un varco ai margini del promontorio, mi spinge contro quel gruppo di persone circondate dall'inferno.
I ragazzi sono confusi e spaventati, e io finisco praticamente in mezzo a loro.
A parte per lo sguardo e il cappellino che io non porto, non sono affatto diverso.
Anche loro vorrebbero solo correre, scappare. Solo che hanno bisogno di qualcuno che li aiuti.
Commento amaramente la spinta di quel morto vivente, scusandomi per aver impattato contro alcuni di loro. E loro hanno la forza di sorridermi.
E in quell'inferno di ribollente magma, di romboanti suoni metallici, di anime intente a andare piano verso una morte che si rinnova ogni giorno, il tempo si ferma.
E filtra una luce, fatta di simpatici sguardi sorridenti.

Dura un attimo, ma la ricorderò per sempre.
Riprendo la mia strada, in salita verso le stelle.

domenica 25 ottobre 2009

Il sogno

Cammina lentamente l’Anima,
volto di donna
vesti candide e cuore in fiamme.
In una tiepida giornata di Maggio si adagia,
e con grazia,
la mano della quiete la sfiora,
aprendo le porte della felicità.



Mariagrazia

Inneres auge

L' ora legale lascia il posto all' ora solare
prendo due euro e vado a votare.
Non piove neppure e io ci voglio vedere un segnale positivo.
Peccato che lei non ci sia tra i candidati, friulani fortunati.
Adesso, dopo una settimana, vinto il virus, esco.
Giusto in tempo per un' altra lotta.
Augurandoci che non finisca proprio così.
Buona domenica hotel.
See you
G

Per

Per quel sorriso di L, che a volte ho il meraviglioso potere di accendere.

Per C che alla fine si fa viva, anche se per un favore.

Per gli occhi di Z, poco più chiari dei miei, in cui leggo chi sono.

Per il mal di stomaco di B, che io ho capito solo dopo.

Per le piccole occasioni mancate con E, che non sono la parte centrale dell'amicizia.

Per quell'amore che a S non fa aprire gli occhi.

Per E che soffre per un amore finito, ipotizzando a torto che fosse l'ultimo.

Per M, cui correggo gli errori con l'evidenziatore giallo.

Per T, che forse alla fine sarà quella che mi taglierà i capelli.

Per il viaggio avventuroso con F, che mi rimarrà sempre nel cuore.

Per tutti voi. Per la vita.

sabato 24 ottobre 2009

H-DE

Accade che è Accadì, diceva una pubblicità.
Te la ricordi, amico mio?

Ma cosa accade realmente, al di là del triste e piccolo schermo?

Accade la vita.
Quella di routine che la conosci a menadito e ti aliena, che potresti diventare matto e fare una strage senza riconoscerti.

Accade la vita.
Quella emozionante che ti lascia respirare a stento, tanti sono gli eventi che veloci si susseguono fin quasi a soffocarti.

Accade che ti ritrovi a correre sotto la pioggia, senza logica, avendo cura solo una rosa.
Accade che tornare a casa ti sembri più inutile e sbagliato che mai, quindi non torni.
Accade che l'amicizia va oltre qualcosa che poteva esserti detto e non lo è stato.
Accade che un telefono, all'improvviso, segna il numero di chi davi perso per sempre.

E a te, amico mio, cosa è accaduto?

Comunicazione di servizio

Cari Amici,
Mi è giunta voce che qualcuno di voi mi cercava disperatamente così ho pensato di lasciare i miei contatti.
A presto
M.

mauro.gagliardi@hotmail.com

0061 437498259

2/6 McKay Street, Gatton, QLD, 4343
AUSTRALIA

venerdì 23 ottobre 2009

Kurt






Ci sono le cose che ti vengono bene e poi ci sono i capolavori. Ci sono i concerti, con un tizio lassù che canta, e poi attimi di pura magia, un’alchimia che chissà come cazzo è venuta fuori, ma c’è stata e il cielo si è aperto solo per quello.


Non so quante volte, da ragazzi, abbiamo ascoltato l’Unplugged a New York dei Nirvana. L’ultimo album della band. Una gemma da conservare accanto al rock dei Settanta, le suonate per archi di Mozart, certe poesie di Fabrizio. Uno di quei momenti lì, quando il cielo si apre.


E l’Unplugged, nelle nostre teste matte sedicenni, era più di tutto “Where did you sleep last night”, cover di un vecchio brano blues che tutti conoscevamo familiarmente con le prime parole della canzone “My girl, my girl”.


Ed eccolo Kurt in video che annuncia il pezzo, eccolo che fa ridere il pubblico (ma come, non era quello sempre triste lui?), ecco che attacca con la sua chitarra mancina. E ogni volta che lo fa, è come se fosse ieri.



Strano, ma non ho mai pensato a Kurt Cobain come un mito. Nessuno di noi lo ha fatto. Anche se ognuno dopo ha fatto i soliti accostamenti, lui non c’entrava niente con quei nomi lì.


Kurt suona ancora il suo pezzo, ispirato come non lo è stato in tutta la serata. Riesce a mantenersi intonato anche nelle parti più acute. Regge che è una bellezza. I muri dell’auditorio respirano con lui.


E tu vorresti dirgli non fermarti per nessun motivo, Kurt.



Quella è stata l’ultima canzone. Nessuno lo sapeva. Dopo, però, tutti sapevano tutto. Dopo quel giorno di aprile, tutti avevano capito ogni cosa. Tutti avevano la loro verità. Tutti avevano in tasca i loro ma chi cazzo te l’ha fatto fare, i loro era solo un tossico, i loro no no da padri che non ci sono mai stati.


Non fermarti, Kurt. Non farli cominciare con le loro stronzate.



Kurt Cobain non era un mito. Ci avrebbe fatto ridere solo l’idea.


Tutti lo ricordano per una quel giorno di aprile. Io invece me lo ricordo per questo aneddoto sulla sua vita che ho letto da qualche parte.


Un giorno Kurt si trovava ad Aberdeen, la città di taglialegna alcolizzati nella quale si trovava bene come un onesto in Parlamento. Cosa non rara, si era trovato coinvolto in una discussione con uno dei suddetti taglialegna in un pub. Il taglialegna aveva cominciato a menarlo. Era una montagna. Kurt invece pesava quanto un bambino, viveva nel giardino degli amici e mangiava quando capitava.


Ovviamente il taglialegna l’aveva pestato a sangue. Kurt però non reagiva. Non faceva niente.


Quando il taglialegna si stancò di menarlo e fece per allontanarsi, Kurt da terra dove si trovava ebbe la forza di sollevare il braccio e mostrare il dito medio, con un sorriso tumefatto. Il taglialegna gli diede ancora addosso. Si stancò nuovamente. La scena del dito si ripetè. Il taglialegna ricominciò a dargliele.


Per tutto il tempo Kurt non reagì. Quando l’energumeno si stancava lui alzava il dito medio e sorrideva.


Alla fine il taglialegna si stancò e lasciò perdere.


Ecco perchè volevamo bene a quel figlio di puttana.



Siamo alla fine della canzone. Eccolo che prende la rincorsa finale. Respira a fondo. Guarda appena il pubblico, e poi si lancia nell’urlo finale. Quell’ultimo verso.


Tu sei ancora lì a chiedergli no, fanne un’altra dai, fanne altre cento. Ma sai che non è così.


All’inizio della canzone Kurt aveva detto, “Fuck you all, this is the last song”.


Aveva ragione.


http://www.youtube.com/watch?v=4xHl-P_arVA&feature=related

giovedì 22 ottobre 2009

Amici miei

ho una rinofaringite acuta virale causata, per la maggioranza dei casi, dagli antigeni del Piconaviridae virus.Sono stremata.
A presto.
G

lunedì 19 ottobre 2009

Week-end HERO

Immaginate un eroe.
Un eroe particolare, part time.
Un uomo normale con la sua vita normale, che solo per un week-end diviene un superuomo.

Corre in biciletta di notte, contro il muro d'aria fredda e umida.
7 rocchetti, 3 corone, due ruote, due freni e due pedali.
Una sola sella. Un solo cuore. Il suo.

Lo trovi in giro per la città, sembra uno dei tanti ma è unico.
Perché lui pulsa. Perché lui batte.
Se guardaste nella tracolla, che con difficoltà cerca di tenere al suo posto dietro le spalle, trovereste due pacchi di film in dvd, una confezione di pastarelle, fogli e libri con dentro storie bellissime.
Se guardaste, dentro vi vedreste un'anima romantica.

Ed egli pedala, e cammina. Corre, se necessario.
Si ferma a scrivere alla luce di un lampione, durante le attese.

Sotto il cappotto, il suo spirito brilla. Non lo si vede solo perché è coperto bene. Fosse una serata d'agosto, dovreste mettervi gli occhiali da sole.
Per questo non si cura del freddo, del sonno, delle lacrime: perché in questo week-end potrebbe abbracciare ogni cosa.
Ma lui non lo sa. Nessuno gliel'ha detto. Lui si sente solo un po' strano.

E intanto brilla.

Le uniche persone ad accorgersi sono quelle che saluta, quelle a cui sorride. Quelle a cui parla, quelle che abbraccia.

Quale sia il suo segreto?
La sua forza è nei momenti belli, quellidi vita vera.
Quelli intensi, quelli che respiri a fondo e che dopo puoi tornare a trattenere il fiato per una settimana intera.

La sua forza è l'amore, la sua forza sono le persone che gli stanno accanto.

Grande eroe.

giovedì 15 ottobre 2009

Ritorno all'hotel.



“I silenzi mettono a disagio... Perchè sentiamo la necessità di chiaccherare di puttanate, per sentirci a nostro agio? È solo allora che sai di aver trovato qualcuno di davvero speciale, quando puoi chiudere quella cazzo di bocca per un momento e condividere il silenzio in santa pace.”


“Lo sai perchè hai l'ulcera? Perchè hai solo due forme di espressione: il silenzio e la rabbia.”

martedì 13 ottobre 2009

upppsssss!!!

I’m surprised , i still remember my way to the hotel. It has been a while but the Morgana is ready to welcome me back. I’m pleased that there are new clients and the Morgana is alive like never before.

To be honest, I was dragged back here…

Well it is not like I ‘m not happy about that and I understand that all of us needed a bit of incitement but the land lord has been a bit rude this time …

He just wrote a note : “you must come back to the hotel” , “the hotel needs you”… no shit! This time he was scary! (eh eh eh) ...

He also told me that I should write in English … again I’m quite happy about that because sometimes I wish I could forget my own language and not say another Italian word ever…

Sometimes I would like to send back my own passport …to mail it to our Ponzio Pilato president… This Italy doesn’t belong to me and I don’t belong to her… it is too embarrassing to be real…

Yet I still stand for her… I remind people around me about our History, our Culture and the fact we didn’t need an army to make our home somewhere (I feel kind of superior!)…

To tell the truth I believe in my background , I believe in our values and in the way most of us live our life…

Look at me , still speaking about Italy , Politics and some other bullshit … maybe it is just too hard to turn your back and forget…

mercoledì 7 ottobre 2009

Quei 70 kilometri...

La discesa è eccitante quando è ripida e lunga.
Pensi possa essere per sempre, che quel vento in faccia e tra i capelli possa non finire mai.

Le ruote un po' traballano, tra il peso e il fondo stradale, ma vanno che è una meraviglia. Sono un po' dubbiose forse, si pongono delle domande, ma sanno e vanno dove devono andare.
Beate loro.

E io immagino di non sapere dove vadano, e intanto mi godo il viaggio.
Sono il passeggero di una barca che segue una rotta sconosciuta.

La velocità, l'aria nei capelli e contro il viso.
Apro le braccia.
Socchiudo gli occhi.
Sto volando.
Senza meta precisa, magari.

Sono il naufrago aggrappato ad un'asse di legno, in balia delle onde del mare.
"...portami lontano a naufragare, portami lontano sulle onde".

Il compagno è sempre lì. Perché un viaggio si fa sempre da soli ma mai in solitudine.
A volte è più avanti, altre più indietro. Ma c'è.
Questo deve fare un compagno. Esserci.

Magari per tirarti lo sprint, o invece per rallentare ed aspettarlo. Il compagno deve esserci anche solo per dirti che stai viaggiando anche tu. Perché una strada vuota è come una strada che non porta da nessuna parte. E' inutile.

E poi la scritta ROMA, quella che una volta tanto aspettavi sul serio.
Due ruote. Un viaggio ed un sogno.

E realizzare un sogno è il modo migliore per sognarne subito uno nuovo.


domenica 4 ottobre 2009

...RRA

Aspetto il tuo segnale e intanto scrivo. Di te.
Di una serata come sempre bellissima. Di una compagnia a cui non rinuncierei mai e che cercherei sempre di integrare con qualsiasi altra disponibile.
Amica, sorella gemella.
Nei tuoi occhi mi specchio e mi perdo. Riflettono me stesso, i miei dubbi e la nostra amicizia su cui dubbi non ne ho.
Ti guardo e mi vedo, ti ascolto e mi scopro. Così da circa 10 anni. La più bella storia che potrei raccontare.
Perché ci sei tu, forse. Ma anche perché di me c'è molto più che nelle altre storie.
E sì, forse ti avrò rovinato qualche film al cinema con i miei commenti, forse ti avrò fatto cascare le palle con alcune mie battute.
Ma non ho smesso un attimo di volerti bene.

E' un periodo strano, in cui gli amici partono, si allontanano, si dissolvono nel nulla.
Prego allora affinché ciò non accada a noi.
Tu PROVA ad allontanarti, vedrai sempre l'ombra del mio affetto seguirti.
Qualcosa di me, che come il pensiero ti resterà sempre attaccata.

Sei sorriso, abbraccio, amore e affetto.
Sei tu. Punto.
Sempre.


venerdì 2 ottobre 2009

Per tutto il resto c'è l'evasione

Ferrara è calda che pare ci si possa svenire. Dopo la nebbia delle prime ore della mattinata esce il sole, quanto basta per illudersi che sia ancora estate. Terminato il colloquio, ci ritroviamo tutti un po' sconvolti e forse incapaci davvero di comprendere cosa questo comporti. Siamo seduti a un tavolo con qualche bottiglia d'acqua, da cui tentiamo di riattingere le nostre energie. Il dott. M. ci è sembrato un po' folle. Un po' disorganizzato, ma decisamente entusiasmato. Forse più di noi.
Ci salutiamo con un arrivederci e mi ritrovo in macchina con quelli che ribattezzerò come i ragazzi di Urbino. Così gentili da offrirsi di darmi un passaggio a Fano. "E così risparmi con il prezzo del biglietto". Un breve giro al centro prima di partire e siamo in autostrada. Le ore di sole sono ancora calde. L'aria condizionata pare non riesca ad attenuarle. Ma la musica consola.
Consola con qualche accordo di pianoforte e la voce di De Gregori, e con un po' di sana taranta salentina.
"Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone,
la storia entra dentro le stanze, le brucia,
la storia dà torto e dà ragione.
La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere,
siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere."
Pensare ai prossimi mesi un po' brucia e allora si parla di tutto e di niente, magari di Bob che si deve iscrivere all'università ma non è ancora tanto convinto. Diventa una barzelletta pronunciare qualche parola di consiglio. Io penso che, Io fossi in te... Quando, a dirla tutta, non so nemmeno io cosa farei al posto di me stessa.
Arriviamo a Fano alle 18.38, giusto in tempo per veder partire il mio treno senza di me.
I ragazzi di Urbino si offrono nuovamente disponibili. Questa volta a concedere un tetto sotto il quale trascorrere la notte. Il tetto è in aperta campagna. Un posto isolato dal mondo, nel silenzio più assoluto e naturale. Eppure a me è scoppiato un mal di testa che non mi uccide solo per pietà.
M. ha lasciato Roma a 18 anni per trasferirsi nella casa dei nonni. Dice che la lascerebbe a fatica. Che lo fa stare così bene.
Il silenzio gli fa compagnia e la natura lo rasserena.
La mattina seguente il sole che si sente è ovattato, non invadente, e il mio mal di testa se n'è andato lasciando al suo posto i postumi da trauma cranico (!?). Facciamo colazione al bar di ritrovo, poco fuori il paese. Il cappuccino si rivela capace di riacquietare finalmente la tensione accumulata il giorno prima. Il tavolino del bar dà sulla vetrata. La posizione migliore da cui osservare le montagne, con una bomba alla crema in una mano e il cappuccino nell'altra.
Alle 12.30 siamo a Fabriano. il treno che prendo mi conduce, infine, a Roma.
La mia Roma di caos e consumo, che sempre e comunque, mi scioglie il cuore. Sentirsi sovrastare da una tale emozione non ha prezzo. Per tutto il resto c'è l'evasione.

giovedì 1 ottobre 2009

Viaggio al termine della notte



Ci sono quei libri che –sì insomma, quei libri che ti dici, ma chi me lo fa fare? Che ti viene voglia di chiudere tutto, dare un bacio d’addio a quei 20 euro e sbattere la copia lassù a prendere polvere fino alla fine dei tempi.


Capita. Così come capita dopo qualche pagina di Henry Miller. Dostoevskji poi rischi di non aprirlo nemmeno, sconfortato dalle dimensioni del mattone.


Eppure, così come capita a chi si addormenta dopo venti minuti di “Apocalypse now”, rischieresti di perdere qualcosa di buono.


In questo caso, di maledettamente buono.


E’ vero: se un libro è un capolavoro, tra le sue doti dovrebbe avere anche quella di tenerti incollato alla pagina e non farti scappare più. In teoria. Nessuno però direbbe nemmeno sotto tortura che è rimasto rapito dalle pagine dei “Fratelli Karamazov”. Eppure si tratta di capolavoro, non ci sono cazzi.


Cèline è un po’ così. Lo devi seguire, mentre barcolla tra le stradine della periferia di Parigi, o ammalato in mezzo alle foreste d’Africa. Lui non ti aspetta. E parla, Cèline, dio quanto parla. All’inizio ti viene voglia di frmarlo. Poi però vorresti che parlasse per sempre.


Lui parla e tu lo capisci, anche in mezzo ad uno stile tutto suo, spigoloso, parlata che diventa scritta, pensiero che viene vomitato sulla pagina, frasi e frasi che ti si srotolano davanti agli occhi con una potenza che non troverete da altre parti.


Perchè “Viaggio al termine della notte”, come la bumba buona, ne vale davvero la pena. Brucia, raschia la gola, e ti ubriaca senza che nemmeno te ne accorgi.


Cèline parla tanto, ma dice tutto quel che deve dire. Tutto quello che c’è da dire, non trascurando niente. non vuole convincerti delle sue ragioni, lui. Non vuole che fai il tifo. Se ne fotte, lui. Se vuoi lo ascolti, sennò aria, via, a diventare uno dei tanti falliti del suo libro, di quelle vittime peggio degli aguzzini, di quelle cavie in un esperimento andato a male che si riempiono la bocca di parole come guerra amore onore vita dio.


Non si oppone, Cèline, a questa pericolosa idiozia che permea la sua storia e il nostro secolo. non picchia, ma fa qualcosa di infinitamente più violento: ride.


Cèline ride. Ride con disperazione, con una tristezza che già gli solletica la gola, ride da malato, da matto, ride per non piangere, e forse la sua risata è molto più atroce proprio per questo, perchè non resta da fare altro di fronte ad un mondo di finti eroi e veri coglioni. Cèline li guarda in mutande, li denuda, e se la ride un mondo. E tu con lui.


Ecco la grandezza del “Viaggio”.


Ridere di quello che siamo, che siamo sempre stati, che saremo. La storia si ripete, dicevamo. Non esiste altro libro che parli di questo cazzo di Novecento meglio del “Viaggio”. Il Secolo della Bomba, dell’Onore e della Sifilide. E di storia ce n’è parecchia in Cèline, ma neanche quella è molto importante. Neanche la trama lo è, anche se Cèline ne ha davvero per tutti.


L’importante è perdersi in quella notte lì con Bardamu e Robinson, due facce della stessa umanità già 60 anni prima del “Fight Club” di Pahlaniuk. Perdersi in una notte che davvero sembra non finire mai, e che noi ora sappiamo per certo, che non è mai finita.


Cèline metterà delle bombe dappertutto, ma non gliene frega niente di rivoluzioni. Lo sa che è sempre la stessa cazzata. Più gli danno addosso, e più lui scuote la testa e va avanti. Giustizia, progresso, famiglia, carità cristiana, amore...


Ecco che Cèline ride un po’ più forte.


Lui parlerà, più anarchico degli anarchici, più triste di un clown depresso, più vivo di tutti quelli che lo danno per morto. Parlerà tanto, anche.


Stallo ad ascoltare.


Non te ne pentirai.


Ad un fratello, oggi


Buon anno fratello buon anno davvero e spero
sia bello sia bello e leggero
che voli sul filo dei tuoi desideri
ti porti momenti profondi e i misteri
rimangano dolci misteri
che niente modifichi i fatti di ieri
ti auguro pace risate e fatica
trovare dei fiori nei campi d'ortica
ti auguro viaggi in paesi lontani
lavori da compiere con le tue mani
e figli che crescono e poi vanno via
attratti dal volto della fantasia
buon anno fratello buon anno ai tuoi occhi
alle mani alle braccia ai polpacci ai ginocchi
buon anno ai tuoi piedi alla spina dorsale
alla pelle alle spalle al tuo grande ideale
buon anno fratello buon anno davvero...
che ti porti scompiglio e progetti sballati
e frutta e panini ai tuoi sogni affamati
ti porti chilometri e guance arrossate
albe azzurre e tramonti di belle giornate
e semafori verdi e prudenza e coraggio
ed un pesce d'aprile e una festa di maggio
buon anno alla tua luna buon anno al tuo sole
buon anno alle tue orecchie e alle mie parole
buon anno a tutto il sangue che ti scorre nelle vene
e che quando batte a tempo dice andrà tutto bene
buon anno fratello e non fare cazzate
le pene van via così come son nate
ti auguro amore quintali d'amore
palazzi quartieri paesi d'amore
pianeti d'amore universi d'amore
istanti minuti giornate d'amore
ti auguro un anno d'amore fratello mio
l'amore del mondo e quello di Dio...
(Lorenzo Jovanotti)