giovedì 27 ottobre 2016

Ogni tanto

ogni tanto
mi sento vecchio
come se ogni anno
fosse stato 100 guerre
e ogni guerra
mille battaglie
mi sento che non
è ancora finita
che non finirà mai
mi sento di stare qui
a guardare la gente
che esce dalla chiesa
dopo la messa
e toccarmi
sentendomi in colpa
sentendomi niente

mi sento come se
dovrei fare qualcosa
mi sento come se non so
cosa cazzo sia
mi sento che questo malditesta
mi ucciderà
insieme a incubi umidi e
notti col fucile puntato
mi sento come se il mio capo
ha ragione
a dirmi cosa fare e
a farsi succhiare dalle segretarie
mi sento come se hanno ragione
tutti
mentre la messa finisce
ancora una volta
e loro possono tornare a
casa.


Marco Zangari © 2009

martedì 25 ottobre 2016

"Il rumore del tempo" - Julian Barnes


Destino. Giusto un nome magniloquente per dire qualcosa che non si può modificare. Quando la vita ti dice “E dunque…”, tu annuisci e chiami quel dunque destino.

Dopo il bel romanzo “Il senso di una fine” (che avevo recensito qui), mi sono incuriosito leggendo in giro di questo nuovo “Il rumore del tempo”, sempre di Julian Barnes, e nell’ultimo giro in Italia ho deciso di acquistarlo.
Il libro racconta dell’esperienza del compositore russo Šostakovič (è evidente che per scriverlo bene ho fatto copia e incolla da Wikipedia, NdA), in una biografia romanzata che si incentra, soprattutto, sui rapporti tra l’artista e il Potere –non a caso, indicato sempre con la maiuscola nel romanzo.
La storia inizia con Šostakovič in piedi sul pianerottolo di casa, mentre fuma una sigaretta dietro l’altra, in mano una valigetta con poche cose, in attesa che lo vengano a prendere. Da poco, infatti, la sua rivisitazione del MacBeth, che tanto successo aveva avuto in patria, era incorsa nella disgrazia più grande di tutte: aveva infatti irritato il Capo Supremo, Stalin, accorso a vedere lo spettacolo insieme ad altri funzionari. Che si trattasse, come suggerisce il libro, di motivi superficiali, quasi grotteschi, come la cattiva acustica della sala e il nervosismo di orchestrali, o che fosse legato al gusto di Stalin o che altro, poco importa: in quel periodo, bastava molto meno per finire al bando o, peggio, rischiare la testa.
L’articolo sullo spettacolo apparso l’indomani sulla Pravda, organo del Potere, sancirà una delle tante fini artistiche di quello che, contro ogni divieto e censura, era considerato il più grande compositore russo di quell’epoca.

Da qui si dipana la storia di una figura estremamente controversa, vissuta ora come traditore ora come eroe della patria, oggi campione del comunismo e domani critico del Sistema. Barnes racconta questa storia col suo stile chiaro, accattivante, senza cedere alla tentazione di scavare troppo nelle stanze segrete, più private, del compositore, riuscendo comunque a restituirne un ritratto umanissimo. La sua prospettiva, così dichiaratamente “di parte” da non voler nemmeno essere tirata dentro il dibattito se Šostakovič fosse un eroe o un coniglio, aiuta invece ad identificarsi nella vicenda del compositore, al punto tale che viene da chiederti: cosa farei IO in quella situazione?
“Il rumore del tempo”, oltre a dare un ritratto potente di cosa davvero voleva dire vivere in un regime feroce come quello staliniano, ti pone domande non scontate, che fanno dubitare delle risposte. Che cosa è, in fondo, l’arte? Come può definirsi libero un artista? E a chi appartiene ciò che egli crea, in questo o quel periodo storico?
Soprattutto: fin dove arriveresti per proteggere ciò a cui tieni di più –la tua adorata moglie, i tuoi figli, la tua musica?
In un passo provocatorio del libro, Barnes fa dire a Šostakovič che ad essere eroi ci vuole poco –basta un attimo di luce, un momento di rivolta. Per essere vigliacchi, invece, ci vuole costanza, tempo e spalle larghissime.
Perché in quei tempi, solo un vigliacco poteva difendere ciò che amava più della sua vita.

La storia di Šostakovič non è una storia semplice. A vederla a decenni di distanza, con l’ottusa convinzione di aver capito tutto, di aver etichettato tutto, sembrerebbe il contrario. Barnes invece ci fa vedere il dramma di un uomo, costretto a combattere per poter dare vita all’unica cosa che aveva senso per lui: creare musica. Nel fare questo, mette in luce l’ipocrisia di chi non aveva capito, allora, la ferocia della dittatura sovietica, di chi ci era arrivato tardi, di chi giustificava e di chi lo attaccava senza pietà, anche solo per poter fare carriera. A noi lettori di oggi sembrerà pura invezione romanzesca, immaginare un periodo in cui bastava scrivere della musica non abbastanza conforme ai gusti del Potere per poter rischiare la vita.
Questo libro ci ricorda che è successo, nemmeno troppo tempo fa, nemmeno in circostanze così assurde da essere irripetibili in futuro.
Per questo e per molto altro, consiglio di dare un’occhiata a questo nuovo romanzo di Julian Barnes.