martedì 28 febbraio 2012

Helena (pt.II)

C'era qualcosa di macabro nella gente. Ogni singola persona tende istintivamente all'egoismo, e nonostante la cosiddetta società civile ci provi in tutti i modi, non riuscirà mai a soffocare l'istinto primitivo dell'uomo. Non ci riesce l'idealismo, non ci riesce il comunismo, massima forma di ipocrisia in un mondo del genere. Tutti odiano qualcuno, non c'è niente da fare.
Allo Zoo solite facce, una scolaresca stava all'ingresso dello Zoo vero e proprio, il traffico scorreva tranquillo; vista con quel certo distacco solipsistico, Berlino era perfetta. Il peggior buco di fogna poteva essere perfetto se osservato in quel modo; non c'è miglior filtro del nostro Ego per cogliere una pace falsa nel meccanismo della vita intorno a noi. Al solito, Manuel stava dietro la stazione, fiero baluardo di quel mondo ormai svanito di Christiane e soci.
"Ehi, ciao tesoro!"
"Helena, non ti regalo un cazzo. Niente soldi, niente bianca."
"Sei un fottuto stronzo! Ne ho BISOGNO, non vedi come sono ridotta?"
"Oh, stai benissimo, credimi."
"Non mi buco da avantieri!"
"Non ti buchi da stanotte. Quanto hai?"
"18 euro."
"Non bastano a un cazzo."
"Io non faccio pompini ai taxisti."
"Questione di tempo, piccola puttana."
Le sue ascelle puzzavano di sudore marcio, stantio. Tutto lì puzzava di sudore marcio. Era un luogo di merda, e Manuel aveva ragione. Spendeva gran parte del suo stipendio per bucarsi, viveva in una topaia, mangiava soltanto tonno e insalata. Erano passati soltanto tre mesi dalla prima volta. Tre mesi nell'abisso. Eppure, la vita prima le sembrava ancora più schifosa. Due fottuti minuti d'estasi riscattavano ogni sofferenza, l'esistenza era ancora un mostro demoniaco ma per pochi minuti la possedeva di un amore violento come il cazzo di Dio in persona. Merda, doveva andare da Bastian.
"Dai Manuel, te li porto più tardi i soldi..."
"Vaffanculo."
"SEI UNO SPORCO FROCIO DEL CAZZO MALEDIZIONE!"
Manuel, impassibile, andò al cesso.

In quell'edificio convivevano razze diametralmente opposte. Al suo stesso piano abitava una coppia di quarantenni. Erano poverissimi, ma si amavano. L'unica vera nota lieve in tutto lo stabile. Al piano di Bastian viveva invece un uomo grasso, sulla quarantina anche lui, capelli unti da far vomitare. Teneva sempre la porta di casa aperta, e poiché la porta dava direttamente sul salotto, poteva vedere chiunque passasse di lì. Ogni volta che Helena andava da Bastian, l'uomo si girava e iniziava a toccarsi.
Non si smentì neanche quel giorno. Helena suonò il campanello.
"Ehi, ciao..." disse Bastian.
Helena entrò senza neppure guardarlo in faccia. Si recò in camera da letto. Sapeva benissimo che Bastian era innamorato perso di lei. Finalmente lo guardò.
"Sdraiati a letto."
"Helena, non capisco, cosa..."
"Ho detto sdraiati coglione!"
Bastian si sdraiò. Non osava neppure pensarci. Aveva atteso a lungo quel momento, l'aveva sognato in ogni minimo particolare, sognato di slacciarle il reggiseno, di baciarla teneramente e possederla con tutto l'amore del mondo. Le scopate degli innamorati sono sempre così melodrammatiche.
Helena si mise a cavalcioni, strappò via la cintura e abbassò la cerniera senza troppi complimenti. Poi con una mano iniziò a massaggiarglielo mentre con l'altra si levava i pantaloni. Bastian continuava a sognare, probabilmente non si era ancora reso conto di nulla. Sempre così in aria gli innamorati, sempre a sognare.
Helena lo lasciò scivolare dentro. Si dimenava furiosa, e il suo corpo così piccolo e gracile svuotò in pochi minuti l'anima del povero Bastian, che fissava con gli occhi sgranati quello strano spettacolo. Sul comodino, accanto al libro di anatomia aperto, c'era il portafogli. Helena, continuando a dimenarsi, sfilò via 60 euro. Poi, con pochi ultimi gesti, completò il suo compito.

Bastian non si mosse dal letto. Troppi mesi a sognare, troppi mesi a lenire le piaghe dell'amore. Era flaccido, un provinciale sognatore, e se ne stava lì a fissare la parete con gli occhi sgranati mentre Helena usciva dall'appartamento. L'uomo grasso guardava la tv nel suo salotto, ma Helena era sicura che si era fatto la sega migliore della sua vita. Dal canto suo, lei sapeva già dove andare. Era nervosa e sudava sudava sudava. Percorse i pochi passi che la separavano dalla stazione. Non riusciva a pensare ad altro. Non era neanche passata a casa sua. Erano ormai le 6 e mezzo. Salì gli scalini della stazione e si mise a camminare nervosamente per la banchina. Ancora quella presenza, costante e ingombrante. Gente ovunque come una condanna. La metro arrivò immediatamente.

"Tieni e vaffanculo."
"Mi hai preso alla lettera, tesoro. Quanti ne hai fatti? Due? Tre?"
"Fottiti."
Mentre scioglieva la roba si rese conto che quasi nessuno si bucava da solo. Di solito erano gruppi di due, tre persone. Lei era sola. Era a Berlino da 8 anni. Ci era venuta quasi per caso, un viaggio con degli amici che avevano qualche parente in città. Era stata risucchiata dal fascino di quelle luci, Berlino suggeriva una sensazione materna, protettiva a chiunque fosse in grado di pensare con la propria testa. Sembrava il paradiso degli incompresi, dei diversi. Forse l'aveva convinta il sapore che la solitudine aveva in quella città. Solo anni dopo avrebbe capito che la solitudine è un dissennatore multiforme, con l'istinto di un lupo affamato. I suoi amici si erano stancati di girarle intorno; i suoi genitori ormai la consideravano poco meno che una puttana, e non mancava molto che avessero ragione. Bastian... Lei non amava Bastian. Bastian era un provinciale, una checca, un coglione con il camice addosso, Bastian meritava una famiglia vera, una moglie amorevole, dei figli, una bella casa. Bastian non meritava una puttana. Gli avrebbe stroncato sul nascere la carriera, e tra l'altro sentiva la sua sborra tra le gambe, se non avesse già deciso tutto poteva persino sfornargli un bel bambino e sbatterglielo in faccia. Già, poteva fare di lui ciò che voleva. Bastian era disposto a sacrificare tutto per lei. Povero idiota. Povero, dolce idiota...

Le vene erano tunnel di luce, si lasciò stuprare ancora una volta, durava sempre meno merda, quasi quasi era meglio il cazzo di Bastian e vortici e la Consapevolezza in persona accoltellò il Senso e disse verrà l'uomo e vi salverà non temete dal vangelo secondo Matteo e poi luci e luci e luci...
Un uomo le scansò il braccio dal cesso e pisciò senza troppi riguardi.

Le restavano tre dosi. Gironzolò per la città senza la minima idea di dove andare. Che cazzo ci faceva lì? Sembra tutto così vuoto, merda, un puntino solo, SOLO. Le speranze giacevano sull'asfalto come la pelle morta di un serpente, Gesù era un ago e Dio era merda bianca, l'unico sedativo efficace contro l'orrore. Provava orrore di se stessa, di ciò che era diventata ma soprattutto della sua stessa natura, a priori, perchè i filosofi credevano di addomesticare l'orrore con i loro concetti e invece non c'è che orrore in ogni angolo e tutto ciò che possiamo fare è rassegnarci e amare qualcosa, sostituire Dio o l'eroina con un po' d'amore, turarsi il naso e credere che sia tutto accettabile, possiamo ingoiarlo e avvelenarci d'illusioni. Non abbiamo scampo, ma qualcuno riesce ad accettarlo. Amano e si accontentano, anche sei più bravi restano i mediocri, la stragrande maggioranza di quella gente puzzolente se la godeva e come cazzo facessero a esistere per così tanto tempo senza mai porsi una domanda era un mistero. Il cielo si spogliava lentamente e mostrava la sua nudità, lentiggini di stelle e l'infinita bellezza del mistero, finalmente si poteva lanciare l'anima in una folle corsa, masturbare la propria vita in quello spettacolo di onnipotenza e soffocarci dentro come un'overdose...

Arrivò a casa. Gettò il giubbotto sul tavolo. Prese un cucchiaio e mise in acqua le tre dosi che le restavano. Tremava. Provò a mentire a se stessa un'ultima volta. Non poteva farlo. Non poteva rovinare l'unica persona che l'avesse mai amata davvero. Prese la siringa. Non poteva, lui aveva un futuro, lei era uno sputo inutile. Uscì fuori in balcone. Tremava sempre di più, Piangeva, piangeva e piangeva. Non era giusto tutto quello, forse il peggior essere umano del mondo non meritava la solitudine, nessuno meritava la solitudine. La morte, non la solitudine. Pensò alla scopata del pomeriggio, si maledisse ancora una volta per non averlo abbracciato, stretto forte un'ultima volta. Bastian non le avrebbe mai visto le tette. Il cielo sopra Berlino era di un azzurro boreale splendido, la città era uno spettacolo di luci ai suoi piedi. Provò un senso di pace, poi un orgasmo, poi mille orgasmi, poi le sembrò di dissolversi...

giovedì 16 febbraio 2012

Non reggo il gioco d'azzardo

Una sera volevo scrivere poesie d'amore
perché mi annoiavo, cose così.
Era una gran noia, di quelle che prendono il cranio e lo stringono con i polpastrelli non fortissimo ma in maniera costante, e alla lunga diventa una gran rottura di coglioni. Che poi sarebbe anche sopportabile se insieme a lui non ci fosse la noia. Che poi cosa sia questa noia non l'ho capito bene ancora. E' come se ti facessi una sega su un'equazione matematica.
A volte la noia è anche produttiva, perché no.
Mi piace molto farmi e poi scopare. Tutto ciò che dirò da ora in poi s'intenda valido anche in condizioni di lucidità. Poi se sei stonato tanto meglio, è come un cielo limpido azzurro di primavera con qualche nuvola bianca su tutto ciò che pensi, magari non molto definito ma cazzo puoi intuirci mille cose. E' come se, nonostante il cielo sia vestito, tu avessi degli occhi speciali che possono osservare il suo corpo sotto quel fastidioso claustrofobico vestito azzurro. Insomma, roba come si deve, la mente viaggia e tutti sono contenti. Così stavamo dicendo, lei rolla e c'è il momento sociale, parlare e parlare volentieri di qualunque cosa, e purtroppo sei ancora lucido e quindi soffri ancora per la stramaledetta sorte dei Greci o magari sei MODERATAMENTE SODDISFATTO di qualcosa, spesso qualcosa di modesto, ma a parte amare una donna son tutte soddisfazioni modeste quindi una vale l'altra e godersele non è reato. Lei rulla e parla come te solo magari è più concentrata a rollare. Dopodiché ci si riunisce intorno a lei, la si accende, si continua a parlare ma già dai primi tiri s'intuisce che la luna perde i contorni della sua smorfia triste, o almeno li mostra per un breve momento di filosofia a qualche anima profonda, ma poi te ne sbatti il cazzo e pensi a goderti quel momento, LI' E ADESSO, c'è Lei e non te ne frega proprio un cazzo di niente. E' uno dei momenti più tranquilli della vita di un uomo. Insomma, finisce e si rientra, e allora inizia la fase 1-bis: i cosiddetti preliminari. Preliminari io lo collego sempre alla Champions League, la cosa non mi piace. In realtà è un'area dai contorni indefiniti, come un quadro impressionista, o magari Van Gogh, in cui i colori sono migliaia e il pennello principale lascia spazio alle sfumature. Spogliarsi, lentamente e con un'occhiata, i baci morbidi e caldi e quel viso così bello da carezzare, tutta quella bellezza sbattuta in faccia e vorresti poterla carezzare tutta, propriolì dov'è, su quel viso ma non ci riesci e allora baci e carezzi e scendi tra le colline e sembra un'infinita steppa di piacere, finché non raggiungi il Sacro Loto e rappresenti con i tuoi pennelli da sfumature il pistillo del piacere, lentamente, delicatamente, lei inizia a contorcersi e ansimare giusto leggermente, e ti accorgi che siete così da venti minuti e allora pensi PORCO DIO qua non la finiamo più, bisogna passare alle cose serie ma lei l'ha già pensato! e allora il suo sguardo come una lama squarcia quel che resta dei contorni dei tuoi pensieri rendendoli un'unica informe poltiglia e monta su di te, liberandosi della maglietta e del reggiseno.
OH MISERICORDIAILPARADISOMANIFESTO! Non riuscirò mai, mai! ad abituarmi a quella vista. Quel meraviglioso seno, mai riuscirò a sopportare la vista di tanta meraviglia in un solo sguardo. Il suo corpo sembra custodire la purezza del mondo, il solo contatto mi rende partecipe, e allora beh, tu guardi lei, lei guarda te e si sa come vanno queste cose.
Così tutto procede meravigliosamente, puoi pensare storie meravigliose e affogare in lei contemporaneamente, è un piacere sublime e a un certo punto senti che ti si sta ammosciando l'uccello e che scopi da 15 minuti e allora pensi Che cazzo devo concentrarmi rizzati stronzo! ma basta un sapiente attimo di ricerca e percezione del giaciglio e allora stai in carrozza. Purtroppo non durerà ancora molto, ma potrai sempre riprendere in seguito.
"Facile rifugiarsi nell'accoppiamento..."

martedì 14 febbraio 2012

Basta cantare che è tardi e la gente dorme

C'è una cosa che si dovrebbe dire, pensare.No, forse no. Tanta gente vorrebbe fare questa vita, merda, alzarsi alle 2, colazionepranzo, un pomeriggio senza niente di niente in programma. La sera poi dipende, se esci e vai da lei vivi per un po', altrimenti fanculo ti tocca sorbirti la televisione, ti appassioni WOW al dibattito sulla grecia e sullo stronzo tedesco arrogante sottuttoiodistaminchia o al saputello del corriere della sera che ha la faccia di uno cui piacerebbe venisse sfondato il culo, ha proprio la faccia da pervertito omosessuale, niente contro gli omosessuali eh era proprio lui a farmi schifo, la sua perversione, non la sua omosessualità (presunta chiaro). Se esci ti ritrovi la gente impazzita. C'è stato un omicidio, una sparatoria in "pieno giorno", cazzo le 9 di sera i negozi stanno ancora chiudendo e quelli si sparano perchè quello era uno stronzo figlio di mafiosi e quindi la giustizia se la può fare sparando quando cazzo gli pare. E' morto? Fanculo, uno stronzo puzzolente in meno. La gente esce e rischia di essere ammazzata così, per gioco. Non ci vuole un cazzo ad ammazzarsi, ma così no. E il giorno dopo, sotto un cielo di petrolio e le luci arancioni della nazionale la gente gira impazzita. Macchine che corrono contromano, volumi alti e rumori alti che cazzo succede a questi merdosi esseri umani? Sembrano formiche, sai quando pesti un come cazzo si chiama quelle tane di merda, insomma l'alveare delle formiche e loro escono e corrono tutte impazzite senza meta? Ecco, quello sembriamo, solo che le formiche lo sono occasionalmente, noi lo siamo SEMPRE solo a RITMI diversi. A volte ruotiamo a cazzo lentamente, altre velocemente ma le probabilità di andare ad ammazzarsi restano invariate, e meno male perchè già siamo in troppi. E' uno schifo e basta.
Poi stai fuori da un balcone, e senti dei rumori. Brutti, acuti, striduli e stonati e infrangono la notte. E' il rumore del mondo. Da quegli appartamenti tutti intorno. C'è il 40enne spalmato sul divano a guardare programmi merdosi, la moglie lava i piatti e si unisce, due mocciosi assuefatti al pc. E Dio solo sa quanto il vecchio vorrebbe uscire fuori e scoparsi la prima puttana che trova ma quel pensiero si sbriciola e resta nel sangue sotto forma di colesterolo e grasso. Un sacco di famigliuole perbene, con il cagnetto che abbaia e le loro stronzissime inutili monotone vite. Che fanno un orribile rumore. Che cazzo, parlo proprio io. Migliaia milioni vorrebbero non avere niente da fare. Io invece ci affogo in questa merda. E' bello quando c'è lei ma non così cazzo. Perchè sei sobrio, nè stonato nè sbronzo, e allora devi sopportare il peso di te stesso, della puzza perchè non hai fatto la doccia, dei tuoi pensieri rivolti alla crisi mondiale e di quel mal di testa che solo il cuscino e il divano in successione per un'intera giornata possono darti. No, non si può non impazzire così. E pensare che la massima ambizione dell'uomo medio è questa mi fa rabbrividire. Basta cazzo, basta. E' una merda, non cambierà nulla. Chi sono quelli che decidono le sorti di interi popoli? "Lo sanno tutti che il lardo sta bruciando." Qualunque cosa sia, questo post vuol cogliere le sfumature in scala di grigi della puzza di merda di un giorno insignificante qualunque gettato non solo nel mondo, ma peggio nel claustrofobico sgabuzzino che è il nostro corpo. Non l'abbiamo scelto noi. Ma finchè riusciamo a dimenticarcene possiamo anche sopportarlo.
E c'è gente che lo accetta, tutto questo. Gente che ci vive, o meglio gente che smette volentieri di vivere pur di seguire il massimo istinto, la QUIETE. Il nulla. Quei fottuti bastardi credono in Dio perchè è molto meno faticoso che alzare il loro sporchissimo culo e pensare a cosa significa vivere. Hanno Dio e questo gli va bene. Che cazzo vuole Dio da me? Io non ho proprio nulla da dargli, per me può crocifiggere altri 10 salvatori del mondo, a me del mondo non è che m'importi più di tanto. Tra l'altro ne valeva la pena, eh Cristo? Guarda che gentaglia riconoscente! Dovresti essere grato più a me che a loro, pensa che soddisfazione. In fondo, se l'uomo è immagine e somiglianza di Dio, Gesù non può che essere superiore a Dio stesso. E di molto pure. Beh fanculo, a me non importa. Dio cosa può volere da noi, dopo averci gettato qui?
E' lei, e solo lei, Dio. Una Dea. LA Dea.
E fanculo a tutto il resto, finchè c'è modo di dimenticarsene.

domenica 12 febbraio 2012

Ancora la neve

Con riferimento al commento di lode espresso da stanza117 (che ringrazio sentitamente e che lodo a mia volta sia per il post che per la scelta del nick), colgo l'occasione per linkare un altro breve pezzo che parla di neve. Non della neve in generale, ma della neve di questi giorni. Vi lascio un incipit.


"È arrivata la neve. Fredda, bianca, bella: proprio come dovrebbe essere. È arrivata la neve e ci ha fatto tornare tutti bambini sognanti.

No. Ci ha deluso. Ha complicato la circolazione per le strade, ha sconvolto i nostri piani, ha messo a rischio i nostri regali culi. Ha fatto tremare le nostre menti senza nemmeno lasciarci qualcosa nel cuore. Ci ha fatto sentire ancora più freddo, come se fossimo capaci di ancora meno calore."

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giovedì 9 febbraio 2012

Dalla stanza 79...

Ho uno zaino da campeggio, un borsone e un trolley stavolta. Appoggio le chiavi della stanza 79 sul comodino e mi butto sul letto. Il borsone mi ha lasciato una strisciata sulla spalla, oltre ad avermi appesantito. L'ho sovraccaricata, perchè stavolta la partenza è definitiva. Quest'hotel, in cui ho sempre scaricato l'adrenalina dei momenti di passaggio, diventerà un luogo di sosta tra due nuove località, delle quali Roma probabilmente resterà sempre il perno fisso.
Ho bisogno di sciacquarmi la bocca. Bevo dal rubinetto del lavandino e osservo il bagno dallo specchio. Qui riesco a svuotare i carichi migliori. Voglio dire, è un po' come se questo fosse il bagno di casa mia. C'è ancora quel segno sporco sulla parete, dietro il bidet, dove una volta ho dato un calcio, sbagliando la mira. Avevo bevuto un po' troppo.
Chissà che un giorno non mi metta a riverniciarlo, come se fosse davvera mia. Anche quella parete. Ci dovrebbe essere un senso del comune più sentito tra le persone. Dovremmo amare di più i servizi sociali, i luoghi pubblici, le zone condivise. E il Morgana è a tutti gli effetti un luogo pubblico. Decisamente l'albergo più pubblico che esista.
Se solo apprezzassimo di più il luogo in cui viviamo, finiremmo con l'accorgerci che vivere in un posto curato si rispecchierebbe anche nella cura che gli altri potrebbero avere nei nostri riguardi.
La prossima volta compro una piantina e la lascio sul balcone di questa stanza.
E' un regalo che faccio sicuramente prima a me stessa che agli altri, credetemi, anche se questa stanza è di tutti.
Il pensatoio della stanza 79 ha dato ancora una volta i suoi frutti.
Ora scendo nella hall e offro un mojito alla prima persona che incontro. Così. Perchè oggi mi sento più civile. Più umana.

Helena (pt. I)

Il cielo limpido di un giovedì mattina di primavera stava sospeso sulle loro teste. Il Pergamon e gli altri musei accoglievano folle di turisti, il ponte del mercato era trafficato come sempre. E c'era lui, il violinista che con la sua triste musica cullava i suoi pensieri. Poteva sentire addosso gli sguardi dei passanti, i loro sorrisi a vederla così, seduta nella posizione del loto, a occhi chiusi, sul marciapiede accanto a quell'uomo. Lui suonava, sporco, povero e bello; sembrava giovane, aveva il volto e i capelli bruni, una barba ispida ma quasi curata che gli conferiva un'aria quantomeno affascinante, da musicante di strada maledetto. Helena non conosceva il pezzo da lui eseguito, né il suo nome né alcunché della sua vita; sapeva solo che riusciva a toccarle l'anima con quelle malinconiche melodie, e ogni volta che andava ad ascoltarlo riusciva a percepire la vera voce del mondo, agonizzante tra i rumori di un'umanità logora e marcia. Così, tra il frusciare del denaro, i clacson delle auto e gli echi delle bombe in decine di luoghi lontani, Helena ascoltava e assaporava ancora quel sentimento puro e solidale che è la tristezza. Erano le 11, non era ancora passata da Manuel; nulla, soprattutto quella merda, avrebbe dovuto violare il dialogo tra la sua anima e la vita. Lo Sprea conservava quel suo odore aspro, ma la bellezza degli alberi di nuovo in fiore sulle sue sponde purificava le viscere. Per qualche minuto, tutto sembrava bello e perfetto. Poi passava.

Decise di non tornare a casa a pranzo. Aveva un piccolo appartamento a Gropiusstadt, non poteva permettersi molto di più. Era una zona povera, ma non aveva mai avuto problemi. D'altra parte, non c'era di meglio da fare a casa. Decise di mangiare fuori. Contò i suoi risparmi: 22 euro e 70. Non bastavano neanche per un grammo. Decise che nel pomeriggio sarebbe passata da Bastian. Bastian era di Hagen, ma studiava medicina a Berlino. Aveva un appartamento nel suo stesso palazzo e, purtroppo, era anche follemente innamorato di lei. La sua carriera da medico avrebbe vacillato sotto il peso di una tale relazione, visto che Helena non aveva fama di ragazza modello; così Bastian soffocava i suoi gemiti d'amore tra i libri di anatomia e quelli di Nietzsche, mentre l'amata andava in giro a prostituirsi per qualche euro. Comunque non era il momento di pensare a Bastian. Decise di prendere solo un panino dal Siciliano ambulante, un conterraneo catanese che andava in giro con addosso la sua rosticceria. Lo trovò al ponte successivo, alla fine del marciapiede del Pergamon, intento a servire tre clienti.
"Ehi Salvo! Che dici, ci sta uno dei tuoi panini?"
"Signorina, a disposizione!"
Qualcuno rideva a sentirli, chissà perché. A lei non piaceva la gente, aveva sempre l'impressione che ridessero di lei, che sparlassero di lei, che non facessero altro che giudicarsi tra loro. Brutta razza, quella umana. Le persone oneste non bastavano mai, quasi bisognava risparmiar loro il supplizio di una vita pulita. Non c'era molto che l'umanità potesse offrire a Helena, o almeno lei la pensava così da molto tempo. Tuttavia non poteva dire di preferire la solitudine. Da troppo era costretta a sopportarsi senza potersi specchiare, farfalla sbocciata dal guscio, negli occhi di un amato uguale a lei. La polvere del tempo velava i suoi sentimenti, e non restava altro conforto che l'eroina. Terminò il suo panino camminando. Raggiunse la fermata della metro, e nel tiepido primo pomeriggio berlinese si recò, ormai decisa, allo Zoo.

martedì 7 febbraio 2012

Incubo

Eravamo al rockerilla, anche se ricordavo fosse nella nazionale di Monforte, direi accanto al rifornimento. Era un locale cupo, con poche luci.Sembrava un cubo di penombra. Eravamo lì da una serata intera, c'era Irene, da qualche parte Mariaelena, due nerd simpatici che conobbi meglio nei cessi mentre facevano uno scherzo.Dopo un po' vennero anche i miei genitori. La cosa andò avanti al nostro tavolo, finchè successe qualcosa.Il tavolo sparì, al suo posto una fontana a cascate in cui eravamo tutti. Mio padre, in acqua ma proprio nella parte più in basso della fontana, vicino all'uscita, iniziò a imprecare contro tutti. Diceva che non ne poteva più, che si era rotto i coglioni di quei cretini e voleva andarsene, e quando due ragazze finirono nel suo piano di fontana-piscina ne uscì indignato. Sparì. Con lui sparì la fontana e dopo un breve attimo in cui tutti si prepararono ad andare restai solo. Con me c'era solo la proprietaria e uno dei nerd rimasto lì. Ero nervoso e teso, e la proprietaria se ne accorse. Nel prendere il mio giubbotto dall'attaccapanni feci cadere tutto, facevo le cose con foga, avevo una strana paura addosso. Il locale era sempre più buio. Su un divanetto c'erano la sciarpa e il giubbotto della mia ragazza. Li presi e uscii. Con mia incredibile sorpresa vidi che era giorno. Controllai l'ora, era mezzogiorno. Andai a cercare la macchina. Le macchine stavano parcheggiate a formare un labirinto in uno spiazzo che per tre lati era circondato da palazzine in stile liberty, il quarto dava sulla nazionale. Il sole mi rassicurò e terrorizzò allo stesso tempo. Lì decisi di tentare la prima chiamata ai miei genitori. Provai a comporre il numero di casa, ma non riuscivo a digitare i 9, al loro posto digitavo 3 e così preso dalla foga sbagliavo in continuazione. Decisi di lasciar perdere e mettermi in viaggio. Mi ritrovai alla fine di Via Medici a Milazzo, a metà della Marina. Dovevano essere le sette, era buio ma molta gente passeggiava e i negozi erano aperti. Io ero terrorizzato, non riuscivo ad avere percezione del tempo, tutto mi sembrava lontano e i suoni erano ovattati, non c'era connessione tra ciò che mi accadeva e ciò che volevo. Vidi una ragazza senza volto tra la folla, non so perchè la riconobbi e mi avvicinai. Per un attimo lei mi confortò, poi suo padre, un omaccione russo anch'egli senza volto di nome ...nnikov prese a inseguirmi. Mi rifugiai in marina, esausto e terrorizzato, prima dietro dei bambini, poi dietro un passante. Poco più avanti questo passante mi sorrise e mi ficcò un ago in braccio. Sentii un'ondata di piacere mista a terrore, inizia a urlare FINISCIMI TI PREGO UCCIDIMI TI PREGO NON CE LA FACCIO PIU' ma lui conservò il suo sorriso comprensivo e tutto si offuscò. Mi ritrovai in una stanza bianca, asettica, d'ospedale. Ero legato, insieme a me nella stanza un dottore e una coppia, maschio e femmina. Io ero su un lettino. La luce era forte ma non c'erano finestre. La donna si spogliò e si distese su un lettino. Capii che avrei dovuto scoparla io. Capii anche che era perchè lei voleva un figlio. Lei se ne stette distesa sulla pancia, io la feci godere ma avevo ancora il terrore addosso, cosa ci facevo lì che cazzo stava succedendo? Tutto accadeva a scatti, senza logica, senza nulla. Quando stavo per venire le dissi "afferra un preservativo!" lei me lo porse, lo misi e venni. Lei si infuriò per questo e mi ritrovai ancora legato, disperato piansi e invocai i miei genitori, qualcuno che mi liberasse da quell'eterno tormento Dio mio. In qualche modo scoprii di essere a casa, in cucina, era buio e accesi una delle luci. Ero svuotato, ma stavolta riuscii a comporre il numero. Mia madre rispose, fu il paradiso. Agonizzante ma libero me ne stetti ad aspettare il loro ritorno, mio padre urlava che mi ero ubriacato e per questo raccontavo tutte quelle cazzate. Poi sentii qualcosa.
Era il mio cuscino.
Il mio letto.
Un messaggio.
Merda, era solo un sogno.
Quanto possono esser brutti i sogni...

domenica 5 febbraio 2012

Pure la neve se ne frega



Roma così ricoperta di neve è uno spettacolo mai visto, almeno da me. I vecchi dicono che una nevicata di questa portata non si vedeva da 50 anni, altri sminuiscono e dicono che di anni ne sono passati solo 20. 
Poco importa. 
La città, silenziosa e ovattata, che si è risvegliata sabato mattina era ben diversa da quella che era andata a dormire la sera prima, venerdi 3 febbraio:
Un casino di traffico ed il delirio generale.
Mentre ero in coda, anch'io come tutti gli altri sul raccordo, con la mia buona dose di incazzatura, non per il traffico o per la neve ma per come a volte va la vita, mi è venuto in mente il titolo del libro di Ligabue, La neve se ne frega. 
Ed è vero cazzo!
Ero in macchina che mi allontanavo sempre più dall'aeroporto e da quel maledetto aereo che non avrei più preso. E mano a mano che mi avvicinavo sempre di più a casa, mi allontanavo contemporaneamente da un weekend che non avrei vissuto con Lei. E più cresceva la distanza dal week end aumentava la distanza tra me e Lei, ma la neve continuava a scendere.
Si posava sulle cose, sugli alberi, sulla strada e li restava a ricoprire tutto.
Inizialmente quando toccava terra si scioglieva. 
Qualche fiocco più fortunato invece aderiva alle cose e tendeva la sua mano di ghiaccio a quello successivo. 
Così, ripetutamente e apparentemente senza un perchè. 
Cadeva la neve ed io ero li ad osservarla:

La neve se ne frega.
Se ne frega di noi 
che lottiamo passo dopo passo per mantenere l'equilibrio,
se ne frega.

Scende inesorabile a ricoprire tutto col suo manto soffice e gelato
se ne frega di me e di te
del cane randagio o del barbone
se ne frega se sei triste o felice,
incazzato o allegro,
se ne frega se ti bagni o sei in macchina.
Lei cade e basta, 
da sempre.

Se ne frega se poi gelerà e renderà il terreno ancora più accidentato.
Se ne frega se mette a rischio la nostra vita di merda
che possiamo solo guardarla scendere e 
camminare più prudenti per non cadere una volta di più.

04feb2012 - Snow in Rome









giovedì 2 febbraio 2012

Non doveva essere proprio così, ma l'imprevedibile è sempre da prevedere

E poi ti scopri cresciuta,
a parlare, dopo una pizza, di politica, ammortizzatori sociali, sicilianità, economia...
tutti argomenti "da grandi"...
E lì, in quel secondo in cui ti estranei e provi a guardare dal di fuori quel tavolo, capisci che non siete più ragazzi...
entrare nell'età post-adolescenziale è stato traumatico, non tanto per l'età, che in realtà fa poca impressione, ma proprio per la scoperta di essere cresciuti... affrontare argomenti tosti non mi è mai stato estraneo, ma di certo penso di non averne mai parlato di sabato sera, seduta a quel tavolo, con gli amici....
e proprio quel tavolo non è un suppellettile alla storia, è proprio il centro... insomma l'ultima volta che avevamo mangiato lì, che era pure la prima per me con loro (insomma il "battesimo in comitiva"), parlavamo di ben altro, e facevamo ben altro, tutti liceali pronti a tutto, studiosi fino al midollo (non che adesso non studiamo o non lo facciamo seriamente....) insomma eravamo più piccoli e mi ha fatto davvero strano (so che non è proprio italianissimo, ma questa frase rende l'idea, anche se non perfetta, condetemela), dicevo mi ha fatto davvero strano vederci lì, a "ciarlare" di cose importanti, di cose diverse, tutti cambiati, dentro un nuovo mondo...
sapere che prima o poi si cresce non basta....
Insomma l'ho sempre saputo, ma forse solo l'idea di star dentro a quella piccolezza insita nell'adolescenza, quella piccolezza in cui tutto ti sembra ovviamente, e di necessità, più grande, mi cullava. Forse, pensavo, ci sarei rimasta sempre dentro...
Adesso mi trovo davanti a scelte che segnaranno il corso della vita, da quelle più banali a quelle più decisive, da quelle sul lavoro a quelle sul credo, da quelle più o meno rettificabili a quelle assolute....(perchè credo che alcune decisioni siano per sempre, inutile dire che cambiare idea è sintomo di intelligenza, intelligenza è, anche, prendere consapevolmente le proprie scelte e valutare, quindi, ciò che certe scelte comporteranno, riconoscendo i rischi di una situazione pressocchè definitiva).
La vita cambia, si cresce, certe canzoni non le ascolto più, certe altre le cerco su Youtube...
La vita cambia, i blog di una volta erano pieni di me, adesso mi limito a scrivere, forse perchè crescere presuppone anche un certo livello di autocontrollo... almeno per me, non che questo sia assoluto.
La vita cambia, e puoi guardare il mondo qualche cm più sù...non che questo sia sempre la cosa migliore...
La vita cambia, e volere o nolere, si cambia anche dentro, purtroppo a volte cambiano anche i sogni... le mete...

La vita cambia, ma per mia fortuna, la mia sta cambiando insieme alla loro...

(no non doveva essere un post per i miei amici, ma le mani sulla tastiera sono andate così, quindi sì, è diventato un post per e con i miei amici)

tenete botta.

da "fuori dalla realtà, oltre il sogno"

mercoledì 1 febbraio 2012

Quando

Quando Giovanni s'innamorò, molte cose cambiarono nella sua vita. E non parlo solo delle abitudini, che in fondo sono sempre le stesse, al massimo cambiano sfumatura, si trasfigurano.
Anzitutto era cambiata la percezione di sé. Quel senso di inutilità che lo accompagnava da sempre (pur senza turbarlo troppo) diventò addirittura una ragion d'essere, qualcosa da tutelare. L'inutilità l'aveva gettato tra le sue braccia, l'inutilità garantiva tempo e serenità per restarci senza grattacapi. Consapevole che quella situazione non poteva durare, tuttavia ne godeva senza troppe domande. Sentiva di avere un solo talento: cavarsela, in qualche modo. E questo talento, secondo lui confermato da quel 30 al primo e unico esame del primo semestre universitario oltre che da mille altri eventi, bastava a diradare la paura di un futuro da clochard. Non è che avesse esattamente paura di questo, di una vita priva di sicurezze. Aveva piuttosto paura di perdere quell'illusione a lui cara di tornare a casa un giorno lontano, trovarci una moglie amorevole e dei marmocchi cui raccontare della bellavita a vent'anni. Sembrava volesse vivere mille esperienze solo per poterle raccontare a loro. Eh si, purtroppo i buoni sentimenti erano un tarlo vivo nella sua anima.
Comunque non importava, il futuro serviva unicamente a costruire il presente, e probabilmente l'inutilità era lo specchio giusto del futuro.
Era cambiata anche la percezione di sé nel mondo: il caos era padrone, ma era un padrone buono, quasi si scusasse di tutto ciò che per lui succedeva al mondo. Il suo, di mondo, era un caos in cui ogni cosa conosceva perfettamente il ruolo da svolgere, la parte da recitare; le stagioni si confondevano nell'orizzonte milazzese, nel cielo stellato, nelle maniche corte nonostante il freddo, nelle foglie secche che come un acquerello macchiavano la campagna. Ogni giorno sembrava disegnato da un caos "umano", a guardarlo affogare nel passato. E così il susseguirsi del tempo non conosceva deviazioni, piuttosto segnava un encefalogramma che ballava nervoso sullo sfondo di una linea standard. Quella linea, solo e soltanto quella linea preoccupava la sua anima. Andava preservata ad ogni costo.
Era ancora convinto che non ci fosse un senso valido, ma Lei faceva sì che non avesse alcuna importanza.
Lei era la Bellezza, Lei era tempo e stagioni, pioggia sul viso e colori dell'Africa, sapeva di Mediterraneo, sconvolgeva i suoi sensi ogni volta e ancora e ancora e mai ci si poteva abituare alla vista di quelle spalle da dea, di quel seno levigato e timido, di quei fianchi armonici. Un'armonia che nel tempo suonava una melodia.
A volte Giovanni aveva paura. Perché in fondo sapeva bene che senza lei sarebbe stato preda di se stesso, e si conosceva abbastanza da terrorizzarsi. E aveva paura di terrorizzare lei.
Ma lei, con devozione, restava lì, accettava i suoi sbalzi d'umore come se fosse suo dovere, lo stringeva in mille modi, era solida e presente.
Era tutto ciò di cui aveva bisogno, e molto di più.
Così, ritrovando ancora una volta quei riccioli dorati, Giovanni scrisse parole d'amore, certo meno poetiche di un tempo ma, e questo lo ammise a se stesso, mai così sincere.