venerdì 7 settembre 2007

Primavera dopo l'Estate. Capitolo 1: Road to Oz. Camere con vista.


Mancano due giorni e io sono qui seduto davanti alla mia finestra, con quel panorama che conosco bene –la pizzeria, gli alberi, e poco dietro il cimitero. Non esattamente quella che si potrebbe definire una vista spettacolare… Eppure il fatto di conoscerla così bene me la fa quasi piacere. Inoltre si riesce a vedere il cielo, e in questa città di palazzoni uno sull’altro è già un lusso incredibile…


Roma l’ho trovata uguale a sempre. Non ho avuto molto tempo per dedicarmi a sfogliare l’album dei ricordi, e questo è forse un bene, perché qui la situazione è un pelo più tosta che nel Bucodiculo.
Non per la città in sé, intendiamoci. Un paio di giorni fa sono andato in centro e ho avuto la sensazione di essere ancora un turista dopo 8 anni passati qui. Alienante, è la parola esatta. Roma è una città che raramente puoi viverti per intero. Il più delle volte o annaspi, o ti scegli la tua zona limitata dalla quale esci per le tue incursioni, appunto, da turista.


La mia zona è stata la Tiburtina. Dire che mi mancherà sarebbe una bella barzelletta. Diciamo che mi ci sono abituato, e lei si è abituata a me. Una coppia che vive insieme da tanti anni senza arrivare mai a conoscersi del tutto. Anche se vivi in una città da milioni di abitanti, finisci per vedere sempre la stessa strada, gli stessi posti, e anche le stesse facce. Roma è un tentativo malriuscito. Roma è un grande paesino. Roma è bellezza sprecata. Roma è migliaia di speranze messe insieme, che non sempre vengono esaudite.


Ma più ancora che Roma, o la Tiburtina, sarà dura salutare il mio nido per otto anni. Qui, in questa casa con la carta da parati color vomito e i mobili vecchi e cadenti, è successo tutto quello che si può spesso trovare in una vita intera, o nemmeno lì. Vedo ancora me stesso così pivello arrivare qui, con le mie valigie e le mie cose da imparare, quasi un secolo fa. In mezzo tutte le sbronze, le facce, le risate, le incazzature, le scopate, le tristezze e i casini che hanno fatto di questa casa un posto intriso di vita, merda e sogni –un riparo quando fuori pioveva da troppo tempo –un museo di Noi Stessi e un’astronave lanciata nello spazio –una nuvola leggera leggera e una camera con vista. Tutta questa è stata Welldone, casa mia. Davvero, casa mia.
Non c’è un modo non banale e non patetico per salutare questa casa, e quindi non lo farò.
Invece mi affaccio e fisso dritto davanti a me, cielo e cimitero –sole e ombra in un’unica occhiata. Questa, in fondo, è Roma.
Marco

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