Caro compare
Stamattina giravo per la casa in doposbronza ascoltando la mia musica, guardavo il cielo che era dappertutto e mi chiedevo quando ci è entrato in testa questo sogno dell’Australia. Forse a scuola, pensavo. Te la ricordi la scuola, socio? Quelle ore buttate, quel posto grigio, quelle persone grigie? Quelle finestre che non davano su nessun panorama, e noi lo stesso pensavamo che un giorno saremmo evasi, e che non ci avrebbero più presi?
Ricordi la birra prima del corso di recupero di disegno? La sigaretta di nascosto in quei portoni sporchi? Ricordi quel cielo che sembrava sempre pieno di nuvole, per giorni e giorni, e noi allora ascoltavamo "Leggero" di Ligabue una volta dietro l’altra, aspettando e sperando?
Leggero, sì. Nessuna definizione di come ci sentivamo era più lontana di questa. Eppure la ascoltavamo, e lottavamo. Adesso possiamo dire di essere stati fortunati, perché anche per noi ci è mancato quasi solo un pelo. È stato così, in quelle stanze dove la luce non filtrava e c’era polvere dappertutto e si andava a dormire presto perché tanto era lo stesso, e l’alba era sempre non richiesta. Col telefono muto e i giorni che si impiccavano, ancora allora si parlava di Oz, della mitica Oz, di quello che c’era, di quello che ci sarebbe stato. Ma non parlavamo di canguri, di deserti o di città. Parlavamo di andare, andare e basta.
Parlavamo di partire perché partire suonava proprio bene.
Certi giorni però era impossibile parlarne. Certi giorni c’era veramente poco da dire. Ci si versava un po’ di bumba, si accendeva un’altra sigaretta e si aspettava che smettesse di piovere, guardando quei muri che sembravano stringersi sempre di più addosso a noi. Ci sentivamo prigionieri senza colpe, e senza aver avuto processo. Avevamo anche smesso di fare ricorsi, di pensare a presunti appelli. Ormai tutto quello a cui si poteva pensare, ancora una volta, era evadere. Eppure il muro sembrava troppo spesso, le finestre avevano le sbarre e i problemi erano dappertutto. Il mondo ci aveva rinchiuso lì e aveva buttato via la chiave. In tutto questo però ci facevamo coraggio e ci chiedevamo, esisterà un punto debole nelle sbarre?
Ogni tanto, quando giro per Oz, mi sento improvvisamente illuminato. No, illuminato non va bene, suona troppo mistico. Mi sento leggero. Ecco, questo va meglio.
E questo non succede per il sole, per il mare, perché vedo bei posti e respiro aria buona. Non sono qui in vacanza. L’Australia non è le mie Maldive del cazzo, non lo è mai stata. Qui è semplicemente la mia vita. Tutto quello che c’è stato prima, era una forzatura, qualcosa di innaturale.
E’ bello essere qua, ed è ancora più bello esserci dopo tutto quello. Me lo sono guadagnato, e ora questo posto è mio, socio. Non dico che per goderti il paradiso devi per forza passare prima dall’inferno –però questo aiuta a prenderne coscienza, e a non perderti niente di quello che vedi e vivi. I sopravvissuti sono sempre stati i miei tipi preferiti, quelli più interessanti, tra i pochi che hanno qualcosa da dire e da dare.
Ricordi, caro compare, quando c’erano quei giorni in cui il sole non si vedeva mai, e anche solo pensare all’Australia era impossibile? Ogni tanto ci penso, a quei momenti, quando mi tocco le mie cicatrici, e mi viene da ridere. La vita è così strana che l’unica cosa che uno può fare, a volte, è ridere.
28 anni, e siamo ancora qui. Ancora non ci hanno preso, dopo 28 lunghi anni. Già questo ti dovrebbe far capire, caro compare, quanto è assurda questa vita che stiamo vivendo.
In Italia riguardavo spesso la fine di quel film, che parlava di prigioni e fughe. Mi faceva commuovere, e mi dava speranza. La speranza, quella è una cosa buona, sempre. Con quella un uomo può fare veramente tutto. È quella che ti fa sognare. È quella, che ti fa vivere.
Quel film mi ricordava tante cose: che un uomo non deve mai arrendersi alla sua prigione, specie se non se l’è meritata; che la prigione non rovina ma invece aumenta il valore della libertà; che bisogna lottare fino alla fine, ingoiando merda e aspettando il momento buono; che ogni cella ha un punto debole, basta saperlo trovare; che non importa quante nuvole ci sono, perché da qualche parte esiste un oceano azzurro ad aspettare; che o fai di tutto per vivere, o fai di tutto per morire; che certe persone non sono fatte per stare in gabbia, e che spesso queste persone a volte si incontrano e da allora saranno sempre insieme, al di là di guardie e muri di cinta e filo spinato.
E allora sognate, porca puttana, e credeteci in questi sogni. Ognuno dovrebbe sempre combattere per la sua Australia. Senza questo sogno, qualsiasi cosa sia la vostra Australia, che cazzo di senso ha?
Nessuno, io credo. Bisogna sempre guardare al di sopra di guardie e secondini, capiufficio e genitori. Il compare l’ha fatto. Il compare ci ha creduto.
Contro ogni previsione, ogni pronostico, ogni scommessa, riusciremo a berci quella famosa birra sotto il famoso ponte. Abbraccerai la tua famiglia vera, ancora una volta. Sarai qui mentre loro si fanno le loro seghe di potere e i cani ti cercano nella foresta. Sarai in Australia, socio. Saremo in Australia insieme. 28 anni, e siamo riusciti a fotterli fino a questo punto. Mi dispiace quasi per loro….
Allora mentre canto e bevo per te, e cerco la copia in inglese di "Le ali della libertà", e ammucchio Shiraz e progetti, ti dico buon viaggio, socio, ti dico buona Australia, ti dico buon sogno.
Questa è solo la prima rata, stronzi. Tenetelo a mente.
Non siamo qui per rallentare.
Siamo qui per l’esatto opposto.
Marco
Quello che ha attraversato un fiume di merda, e ne è uscito pulito e profumato.
venerdì 2 novembre 2007
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