lunedì 22 ottobre 2007

Un momento


C’è stato un momento.
Stavo tornando dal mio precedente lavoro, quello alla multinazionale. Nove ore piene, tra capi stronzi e malditesta e ore interminabili. Avevo preso il treno, con la faccia stanca che si mischiava a tutte le altre facce stanche del vagone. Non avevo nemmeno voglia di leggere il libro che avevo. Volevo solo arrivare e dimenticare quella giornata. Avevo preso come al solito l’autobus che dalla stazione taglia in due la foresta, fino ad arrivare a casa. Intorno solo buio, e qualche luce che comincia ad accendersi. Sepolto nel mio sedile, guardavo fuori il nero che scorreva. Tirando a indovinare, in mezzo a tutto quel nulla, ho prenotato la fermata. Ho fatto la fila, ho ringraziato l’autista come si usa fare qui e sono sceso. Qui ho avuto il mio momento.
Era una calda sera di primavera e noi eravamo in una zona così vicina al centro, e llo stesso tempo tanto distante da essere quasi campagna. Allora per un secondo mi sono scosso dal mio torpore post-lavorativo e ho visto me insieme a queste persone in giacca e cravatta, con la valigetta, in tailleur, che insieme ci incamminavamo sull’erba leggera, illuminata, circondata dagli eucalipti e dall’odore più buono che si possa immaginare –l’odore che solo la Primavera può avere. Era una scena fuori dal tempo, quasi grottesca, eppure il suo ritmo oincideva perfettamente col ritmo di questa terra baciata da Dio e da lui subito dopo dimenticata –per la fortuna della terra. Per questo nella stesso paese ci sono creature dal volto di demone, e assassini su sei zampe e con zanne, insieme agli uccelli dai colori impossibili e alle ragazze piu' belle che si siano mai viste.
Così mentre uomini e donne pestavano con le loro scarpe costose l’erba fresca, ho sentito davvero che ero in Australia –in Australia, cazzo!- e che quello era un gran bel cazzo di posto dove vivere. Un posto dove la città non riesce, nemmeno volendo, ad ammazzare tutta quella maraviglia che la circonda. Un posto dove convivono tantissimi estremi, e lo fanno anche nel modo migliore. Un posto dove non ci si stupisce di trovare ancora delle cose buone.
Mi sono incamminato anch’io, ma piano. Ho lasciato che l’aria mi accarezzasse la faccia, quell’aria calda e dolce, da riempirti il palato con gusto e cancellarti via le ore passate in un ufficio. Poi ho alzato lentamente la testa, mentre le macchine passavano in quel sogno ad occhi aperti, e lì le ho viste.
Non ricordavo se a Roma le avevo mai viste così. Non ricordavo se le avevo mai viste così e basta, in una città, anche se in periferia. Le stelle brillavano come tanti buchi nell’infinito, erano una luce con un suono basso che cadeva su tutto, e benediceva tutto. Passeggiavo tra erba e stelle e dimenticavo. Non solo la giornata lavorativa, dimenticavo tutto. Il passato, qualsiasi cosa fosse, non esisteva più. Era semplice qualcosa che mi aveva portato ad essere lì, e quindi non doveva essere tutto da buttare. Qualsiasi colpa avessi avuto, qualsiasi crimine avessi mai commesso, adesso ero redento, pulito, benedetto. La mia fedina e la mia memoria erano pulite.
Per il resto mi sentivo un essere nuovo in un paese nuovo, qualcosa non creato, non definito, ma pronto ancora al colpo di scena su uno scenario grandioso e imprevedibile. Quella era la terra sognata da mio nonno, sognata da tanti, e io c’ero. Vivevo nel sogno di tanti, e anche nel mio. Le macchine passavano piano, mentre le stelle continuavano a ronzare. Australia, mi dicevo.
Un gran bel momento.

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