Stasera vedrò queste quattro persone. Anche se non ci frequentiamo da molto, siamo molto affiatati. Loro dicono di conoscermi bene, e con me non è che sia proprio facile facile.
I quattro verranno un poco alla volta. Anche se Gianka dovrebbe essere il primo, in realtà Ste lo anticiperà come sempre. Un po’ perchè la ragazza brucia i semafori come hobby, un po’ perchè non ricordo una sola singola volta in cui Gianka è stato puntuale. Cominceremo a stappare birre, ci siederemo per terra sul balcone e cominceremo a contarcela un po’. Non saremo troppo patetici, almeno all’inizio. Parleremo di politica, di sesso, di persone che conosciamo, ancora di sesso, di arte (con Gianka, si va sempre a finire lì), di sesso (questa è un po’ colpa mia). Faremo discorsi profondi e assurdi e poi li racchiuderemo tra le parentesi di due cazzate al sapor di birra. Gianka rollerà sigarette tutto il tempo, Ste si guarderà attorno con quello sguardo triste che riesce a sorridere come pochi. Un trittico che si potrebbe trovare a suo agio anche in un raduno di Papaboys.
Poi, quando già saremo cotti, quando ci saremo cucinati due spaghetti aglio e olio che ci sembreranno buonissimi grazie alla ciucca, arriveranno anche Simo e Manu. Manu con la faccia sorridente e stanca, come se portasse addosso la stanchezza di tutti, che la daresti come quella che se ne tornerà a casa tra dieci minuti e invece è già lì a fare il primo giro di rum e pera e a unirsi ai discorsi, col suo tono dolce e gentile da mamma, ma una mamma rock. Simo che è la nostra lepre marzolina, la nostra quota rosa di sana follia, Simo già sbronza dopo i primi tre sorsi tre di birra ma che cerca di non darlo a vedere. I bicchieri gireranno, le voci aumenteranno di volume. Uno alla volta qualcuno si avvicinerà a me e mi dirà qualcosa, cose piccole, cose non da film, cose autentiche e semplici e che porterò in valigia come tutte le altre raccolte in questi 2 anni. Gianka, il gigante buono, che farà finta che non gli interessi, che ci inonderà di “no” e “culo” come un suo marchio registrato, mentre Ste ride e fa le prove tecniche per la classica vomitata alcolica in bagno, Manu che osserva tutto con lo sguardo furbetto e Simo che racconta una delle sue storie surreali che ci fanno sempre pisciare sotto.
E io? Ci sarà un momento in cui mi guarderò intorno e dirò come sono finito con queste persone, com’è che ci siamo incontrati e ora siamo qua a dirci addio, che commedia che tragedia che sottile continua pazzia. Io così asociale, che mi trovo bene in una stanza affollata. Io, che odiavo pure i nomignoli, e ora sono con Gianka Ste Simo Manu. Che cazzo.
Quando la notte barcollerà per l’ultima volta, sapremo che è il momento. Ci troveremo davanti alla porta e tutti vorremo dire qualcosa e ne diremo qualcun’altra, perchè le cose che ci siamo preparati prima sembreranno artificiose ora, o forse solo ubriache. Avremo un secondo di assoluto prima di tornare ai lavori precari, alle famiglie, ai casini di tutti i giorni. Ci faremo promesse, senza sapere se le potremo mantenere.
Poi la porta si chiuderà. E così il mio stomaco, anche solo a pensarci.
Me ne starò lì, a rigirarmi tra le mani l’ultimo bicchiere di birra ormai sgasata, con la notte silenziosa fuori che non si è accorta di quella esplosione nucleare, di quella culla abbandonata nello spazio. Avrò nelle orecchie facce e visi e risate, sguardi seri e mi raccomando e ci si vede. Risentirò la voce di Gianka che mi rimprovera perchè sicuro che non avrei scritto niente su lui e gli altri.
Forse, dopotutto, non mi conoscono così bene.
Che il rum e pera sia con voi, che la pace i soldi e l’orgasmo vi accompagnino sempre, che possiamo trovare un posto di nuovo, qui o lì non importa.
Ci si rivede al Magic Bus.
sabato 30 luglio 2011
giovedì 28 luglio 2011
Salutarsi prima di una partenza è molto piacevole
salutarsi prima di una partenza è molto piacevole
più o meno come
domenica affollata d’agosto
che tu sei uscito senza averne voglia
restare bloccati nel traffico
con lei mestruata e
gli appuntamenti che saltano
scoprire che quel lavoro già tuo
se lo beccherà qualcun altro
come un’influenza a Pasqua
una diarrea a Natale
rivedere la faccia di quel tale
lei che dice
mi piacerebbe ma
come mattina di navigazione e
scoprirti il maldimare
come nessuno che ti spieghi mai
perchè
come capire che alla fine
non vi prenderete più
quella birra o quel caffè
insieme
i saluti sono per i duri
e nemmeno sempre
Wilde l’avrebbe risolta
con un’aforisma
ma Wilde è morto
e noi ci beviamo sopra
giochiamo
e facciamo finta
di non pensare
se non a notte fonda
nel silenzio di voci
ed io che barcollo tra
facce & risate andate
e tutto questo rimandare
che dovrò far
entrare
in valigia.
Marco Zangari © 2011
più o meno come
domenica affollata d’agosto
che tu sei uscito senza averne voglia
restare bloccati nel traffico
con lei mestruata e
gli appuntamenti che saltano
scoprire che quel lavoro già tuo
se lo beccherà qualcun altro
come un’influenza a Pasqua
una diarrea a Natale
rivedere la faccia di quel tale
lei che dice
mi piacerebbe ma
come mattina di navigazione e
scoprirti il maldimare
come nessuno che ti spieghi mai
perchè
come capire che alla fine
non vi prenderete più
quella birra o quel caffè
insieme
i saluti sono per i duri
e nemmeno sempre
Wilde l’avrebbe risolta
con un’aforisma
ma Wilde è morto
e noi ci beviamo sopra
giochiamo
e facciamo finta
di non pensare
se non a notte fonda
nel silenzio di voci
ed io che barcollo tra
facce & risate andate
e tutto questo rimandare
che dovrò far
entrare
in valigia.
Marco Zangari © 2011
mercoledì 27 luglio 2011
La pacchia dell'essere psicologi in Italia
Di due categorie di persone non si può proprio fare a meno in Italia: le mignotte e gli psicologi. E nonostante le prime siano pagate decisamente di più e godano di maggiori privilegi, la vita da psicologo è tutta una pacchia.
Si comincia presto –ed è meglio far presto, visto che davanti ci sono i 5 anni di università, 1 di tirocinio, l’esame di stato, solo per arrivare al livello base. Uno sceglie di fare psicologia e passa l’estate tra quelli che dicono “wowowow interessanteee” e quelli che dicono “e per fare cosa poi?”. Voi chiudete gli occhi e vi abbronzate ancora un po’, convinti di aver fatto una scelta coraggiosa, idealistica, e degna di pochi.
Quando arrivate in facoltà per la prima volta, capite che la scelta per pochi l’hanno fatta in tanti. Poco male: più si è, meglio si sta. L’ambiente di psicologia è esattamente come ve l’aspettavate: persone dalla mente aperte, vivaci scambi di opinioni, creatività come se piovesse. I professori, poi, non sono da meno: proprio per la facoltà in cui si ritrovano ad insegnare, si dimostrano tutti disponibili e pronti al dialogo, oltre che ben preparati, professionali e democratici.
Una volta terminati gli studi (nel corso dei quali avete avuto anche modo di apprezzare materie biologiche e matematiche, che di sicuro aggiungono un po’ di pepe in più alle già poche materie di stampo psicologico), realizzerete di non ricordare assolutamente niente di tutto quello che avete studiato, ma niente paura: è tempo di trovarsi un bel tirocinio post-laurea (anche se adesso le cose sono un po’ diverse). D’altronde, cosa c’è di meglio che prendere un anno della propria vita e dedicarlo completamente a lavorare gratis e anzi a rimetterci i soldi della benzina?
D’altra parte, nel 99% dei casi, questi tirocini sono estremamente formativi, si viene seguiti passo passo da tutor che sono quasi come dei padri, si consolidano le conoscenze acquisite, si viene trattati con rispetto per la propria professionalità, tutto avviene alla luce del sole, e spessissimo si trova già posto all’interno di tali strutture.
Per quei pochi che ancora non hanno un’occupazione, si prospettano gli esami di stato. Con una modica spesa di un viaggio a Parigi e ritorno, ci si accerta delle conoscenze del Dottore in Psicologia attraverso delle prove valutate attentamente da commissioni severe ma giuste. Un passo necessario per l’ingresso fatidico all’Ordine. Da lì in poi delle braccia amorevoli vi guideranno in tutte le (scarse) problematiche che il lavoro da psicologo comporta. Eviterà, per esempio, che gli ospedali di alcune Regioni assumano preti e suore a tempo indeterminato per dare conforto, invece che dare lavoro agli psicologi, o farà di tutto per evitare che si lavori gratis, o che dei counselor con la quinta elementare possano mettere su studi privati e fare concorrenza agli psicologi guadagnando anche di più.
Particolarmente attenta, poi, sarà in quei settori in cui la presenza dello psicologo è prevista per legge, come scuole, reparti critici degli ospedali, carceri, manicomi criminali e così via. Anche la lotta per affiancare gli psicologi ai medici di famiglia, e per far rientrare le spese terapeutiche tra le spese sanitarie coperte, sono già ad un ottimo punto, proprio perchè ci si preoccupa sempre dei nuovi psicologi, giovani e freschi, e mai di quelli che sono lì ormai da mezzo secolo e che sono ben disposti a lasciare il passo.
A questo punto basta andare su internet o aprire a caso un giornale per ritrovarsi immersi fin qui in migliaia di offerte di lavoro per psicologi, di tutte le età, taglie e indirizzi teorici. Stipendi adeguati, chiarezza sulla mission, garanzie e professionalità sono presenti ovunque. Se proprio uno vuole, con una cifra esigua e un investimento di tempo di pochi annetti, c’è sempre la scuola di specializzazione che, come fa capire la parola stessa, permette di accedere a quel tipo di lavori che si vede nei film, col divano in pelle umana e parcelle che da sole bastano e avanzano.
Al termine di questo cammino, soltanto sfaticati e sciocchini resteranno senza un’occupazione fissa. Per tutti gli altri, sforzi e costi verranno ampiamente ripagati.
E così, come vedete, essere psicologi in Italia è davvero una pacchia. Davvero non capisco come possano essere così tanti quelli che si buttano sui call center o fuggono all’estero. Dovrebbero anzi essere invogliate più persone a iscriversi alla facoltà e a far parte di questa Meravigliosa Grande Famiglia. Di psicologi non ce n’è mai abbastanza. C’è spazio per tutti.
A volte, dico la verità, può capitare di perdere le energie o la motivazione. Sono piccole pause in un luminoso camminoso, e ci stanno.
Una sola cosa (necessaria per preservare la propria sanità mentale) non si perde mai: l’ironia.
Buona Psico-Risata a tutti.
Si comincia presto –ed è meglio far presto, visto che davanti ci sono i 5 anni di università, 1 di tirocinio, l’esame di stato, solo per arrivare al livello base. Uno sceglie di fare psicologia e passa l’estate tra quelli che dicono “wowowow interessanteee” e quelli che dicono “e per fare cosa poi?”. Voi chiudete gli occhi e vi abbronzate ancora un po’, convinti di aver fatto una scelta coraggiosa, idealistica, e degna di pochi.
Quando arrivate in facoltà per la prima volta, capite che la scelta per pochi l’hanno fatta in tanti. Poco male: più si è, meglio si sta. L’ambiente di psicologia è esattamente come ve l’aspettavate: persone dalla mente aperte, vivaci scambi di opinioni, creatività come se piovesse. I professori, poi, non sono da meno: proprio per la facoltà in cui si ritrovano ad insegnare, si dimostrano tutti disponibili e pronti al dialogo, oltre che ben preparati, professionali e democratici.
Una volta terminati gli studi (nel corso dei quali avete avuto anche modo di apprezzare materie biologiche e matematiche, che di sicuro aggiungono un po’ di pepe in più alle già poche materie di stampo psicologico), realizzerete di non ricordare assolutamente niente di tutto quello che avete studiato, ma niente paura: è tempo di trovarsi un bel tirocinio post-laurea (anche se adesso le cose sono un po’ diverse). D’altronde, cosa c’è di meglio che prendere un anno della propria vita e dedicarlo completamente a lavorare gratis e anzi a rimetterci i soldi della benzina?
D’altra parte, nel 99% dei casi, questi tirocini sono estremamente formativi, si viene seguiti passo passo da tutor che sono quasi come dei padri, si consolidano le conoscenze acquisite, si viene trattati con rispetto per la propria professionalità, tutto avviene alla luce del sole, e spessissimo si trova già posto all’interno di tali strutture.
Per quei pochi che ancora non hanno un’occupazione, si prospettano gli esami di stato. Con una modica spesa di un viaggio a Parigi e ritorno, ci si accerta delle conoscenze del Dottore in Psicologia attraverso delle prove valutate attentamente da commissioni severe ma giuste. Un passo necessario per l’ingresso fatidico all’Ordine. Da lì in poi delle braccia amorevoli vi guideranno in tutte le (scarse) problematiche che il lavoro da psicologo comporta. Eviterà, per esempio, che gli ospedali di alcune Regioni assumano preti e suore a tempo indeterminato per dare conforto, invece che dare lavoro agli psicologi, o farà di tutto per evitare che si lavori gratis, o che dei counselor con la quinta elementare possano mettere su studi privati e fare concorrenza agli psicologi guadagnando anche di più.
Particolarmente attenta, poi, sarà in quei settori in cui la presenza dello psicologo è prevista per legge, come scuole, reparti critici degli ospedali, carceri, manicomi criminali e così via. Anche la lotta per affiancare gli psicologi ai medici di famiglia, e per far rientrare le spese terapeutiche tra le spese sanitarie coperte, sono già ad un ottimo punto, proprio perchè ci si preoccupa sempre dei nuovi psicologi, giovani e freschi, e mai di quelli che sono lì ormai da mezzo secolo e che sono ben disposti a lasciare il passo.
A questo punto basta andare su internet o aprire a caso un giornale per ritrovarsi immersi fin qui in migliaia di offerte di lavoro per psicologi, di tutte le età, taglie e indirizzi teorici. Stipendi adeguati, chiarezza sulla mission, garanzie e professionalità sono presenti ovunque. Se proprio uno vuole, con una cifra esigua e un investimento di tempo di pochi annetti, c’è sempre la scuola di specializzazione che, come fa capire la parola stessa, permette di accedere a quel tipo di lavori che si vede nei film, col divano in pelle umana e parcelle che da sole bastano e avanzano.
Al termine di questo cammino, soltanto sfaticati e sciocchini resteranno senza un’occupazione fissa. Per tutti gli altri, sforzi e costi verranno ampiamente ripagati.
E così, come vedete, essere psicologi in Italia è davvero una pacchia. Davvero non capisco come possano essere così tanti quelli che si buttano sui call center o fuggono all’estero. Dovrebbero anzi essere invogliate più persone a iscriversi alla facoltà e a far parte di questa Meravigliosa Grande Famiglia. Di psicologi non ce n’è mai abbastanza. C’è spazio per tutti.
A volte, dico la verità, può capitare di perdere le energie o la motivazione. Sono piccole pause in un luminoso camminoso, e ci stanno.
Una sola cosa (necessaria per preservare la propria sanità mentale) non si perde mai: l’ironia.
Buona Psico-Risata a tutti.
Ciao Andrea!
Ragazzi, chiedo scusa preventivamente per l'utilizzo che sto facendo del blog ma so che capirete.
Purtroppo martedi scorso, 19 luglio, è scomparso un ragazzo, un'amico, un fratello in un incidente stradale a Roma.
Di testimoni ne abbiamo pochi e ci sono molti buchi nelle ricostruzioni, stiamo disperatamente cercando qualcuno che era sul posto.
L'incidente è avvenuto sullo svincolo della circonvallazione salaria venendo dal foro italico in direzione Salaria/Prati Fiscali/Autostrade tra le ore 19:00 e le ore 20:00 di martedi 19 luglio.
Andrea, si chiamava così il mio amico, viaggiava su uno scooter quando è stato tamponato da un'auto che lo ha trascinato per alcuni metri prima di fermarsi. La polizia ha fatto i rilevamenti e dato la sua versione dei fatti ma, a menti lucide, ci sono alcune cose che non tornano e alcuni punti oscuri.
Vi chiedo cortesemente di far girare tra i vostri contatti FB questa pagina nel disperato tentativo di trovare qualcuno che si trovasse sul posto e che possa raccontare la sua versione dei fatti.
Grazie a tutti e scusate ancora se ho usato il blog in modo un po' anomalo.
il link è questo http://www.facebook.com/cosaesuccessoadandrea
PS. un grazie da parte dei familiari e da parte mia e se passate dal bar della reception prendete quello che volete, offro io in memoria di Andrea, una giovane promessa del cinema e del doppiaggio scomparso troppo presto
Purtroppo martedi scorso, 19 luglio, è scomparso un ragazzo, un'amico, un fratello in un incidente stradale a Roma.
Di testimoni ne abbiamo pochi e ci sono molti buchi nelle ricostruzioni, stiamo disperatamente cercando qualcuno che era sul posto.
L'incidente è avvenuto sullo svincolo della circonvallazione salaria venendo dal foro italico in direzione Salaria/Prati Fiscali/Autostrade tra le ore 19:00 e le ore 20:00 di martedi 19 luglio.
Andrea, si chiamava così il mio amico, viaggiava su uno scooter quando è stato tamponato da un'auto che lo ha trascinato per alcuni metri prima di fermarsi. La polizia ha fatto i rilevamenti e dato la sua versione dei fatti ma, a menti lucide, ci sono alcune cose che non tornano e alcuni punti oscuri.
Vi chiedo cortesemente di far girare tra i vostri contatti FB questa pagina nel disperato tentativo di trovare qualcuno che si trovasse sul posto e che possa raccontare la sua versione dei fatti.
Grazie a tutti e scusate ancora se ho usato il blog in modo un po' anomalo.
il link è questo http://www.facebook.com/cosaesuccessoadandrea
PS. un grazie da parte dei familiari e da parte mia e se passate dal bar della reception prendete quello che volete, offro io in memoria di Andrea, una giovane promessa del cinema e del doppiaggio scomparso troppo presto
martedì 26 luglio 2011
lunedì 25 luglio 2011
Sgozza ed interra
Non puoi pretendere tutto.
Nessuno scherzava,
quando diceva
che questo è un mondo di merda.
La gente muore sola, povera, senza un perché.
Tu cerca almeno di vivere con un perché.
Copyright © Edoardo Sorani
Nessuno scherzava,
quando diceva
che questo è un mondo di merda.
La gente muore sola, povera, senza un perché.
Tu cerca almeno di vivere con un perché.
Copyright © Edoardo Sorani
domenica 24 luglio 2011
L'ora del progresso
1.0 Se non hai avuto un'infanzia drammatica e un'adolescenza da disadattato, le tue possibilità di diventare uno scrittore sono pressochè nulle.
1.01 Ma puoi sempre essere un pazzo, o Pirandello.
1.02 O puoi inventartela l'infanzia drammatica, come la Santanchè.
1.1 Odio gli scrittori che si rifugiano nella pretesa analogia delle monadi.
1.11 Se rimuovi la soggettività, cosa rimane?
1.12 Pretendi di assoggettare il necessario solipsismo all'idea dell'umanità universale? Io non provo ciò che provi tu, Baricco.
1.012 Tradurre i vortici dell'essere, che sia aria bianca, che sia aria torbida.
2.0 La verginità del pensiero determina l'originalità del pensiero.
2.1 Ma non la sua qualità.
2.2 Perchè mai dovrebbe contare più l'originalità della qualità?
2.21 L'originalità è ignorare che qualcuno ha già formulato il nostro pensiero.
2.3 Non si rende conto che l'esistenza contamina chiunque.
2.31 L'originalità è solo un concetto per vanitosi.
3.0 Ti servirà un bidet nuovo.
4.0 Cosa scriverai dunque?
4.1 Scriverò di un presunto scrittore che non sapeva cosa scrivere.
Merda, l'aria bianca, la sensazione di vomito noi non li abbiamo provati, nella nostra asettica infanzia a base di pallonate e mortificazioni calcistiche. E la nostra adolescenza è sfilata via quasi insignificante. Cosa pretende di scrivere questa imborghesita generazione di vanesi? Ha forse vagato su e giù per l'america? Ha forse fondato l'illuminismo? Ha forse rivoluzionato qualcosa?
Le macchine ci succhieranno tutto.
Il bambino non piangeva ancora.
Un mostro rumoroso veniva attivato nelle sue parti meccaniche.
Un lungo processo, il ronzio delle ventole, il brusio dei cavi.
Il bambino viene prelevato, posto all'interno di un rotore.
Cavi partono dalla sua testa, da tutto il suo corpo.
Il bambino inizia a piangere.
Il bambino piange, la macchina lavora.
Produce delle gocce. Nere.
Vanno ai margini dell'universo, vanno ad espandere l'universo.
Il bambino piange sempre di più.
Intorno a sè regna il progresso.
Manca ogni senso.
C'è solo un bambino che piange, una macchina che produce gocce nere, l'universo che si espande.
E' tutto lontano.. lontano..
E' il progresso, sono le lacrime di un bambino.
Non c'è nulla, nulla che possa giustificare le lacrime di un bambino.
Ai margini dell'universo scaglieremo le nostre preghiere.
Sono le lacrime di un bambino..
1.01 Ma puoi sempre essere un pazzo, o Pirandello.
1.02 O puoi inventartela l'infanzia drammatica, come la Santanchè.
1.1 Odio gli scrittori che si rifugiano nella pretesa analogia delle monadi.
1.11 Se rimuovi la soggettività, cosa rimane?
1.12 Pretendi di assoggettare il necessario solipsismo all'idea dell'umanità universale? Io non provo ciò che provi tu, Baricco.
1.012 Tradurre i vortici dell'essere, che sia aria bianca, che sia aria torbida.
2.0 La verginità del pensiero determina l'originalità del pensiero.
2.1 Ma non la sua qualità.
2.2 Perchè mai dovrebbe contare più l'originalità della qualità?
2.21 L'originalità è ignorare che qualcuno ha già formulato il nostro pensiero.
2.3 Non si rende conto che l'esistenza contamina chiunque.
2.31 L'originalità è solo un concetto per vanitosi.
3.0 Ti servirà un bidet nuovo.
4.0 Cosa scriverai dunque?
4.1 Scriverò di un presunto scrittore che non sapeva cosa scrivere.
Merda, l'aria bianca, la sensazione di vomito noi non li abbiamo provati, nella nostra asettica infanzia a base di pallonate e mortificazioni calcistiche. E la nostra adolescenza è sfilata via quasi insignificante. Cosa pretende di scrivere questa imborghesita generazione di vanesi? Ha forse vagato su e giù per l'america? Ha forse fondato l'illuminismo? Ha forse rivoluzionato qualcosa?
Le macchine ci succhieranno tutto.
Il bambino non piangeva ancora.
Un mostro rumoroso veniva attivato nelle sue parti meccaniche.
Un lungo processo, il ronzio delle ventole, il brusio dei cavi.
Il bambino viene prelevato, posto all'interno di un rotore.
Cavi partono dalla sua testa, da tutto il suo corpo.
Il bambino inizia a piangere.
Il bambino piange, la macchina lavora.
Produce delle gocce. Nere.
Vanno ai margini dell'universo, vanno ad espandere l'universo.
Il bambino piange sempre di più.
Intorno a sè regna il progresso.
Manca ogni senso.
C'è solo un bambino che piange, una macchina che produce gocce nere, l'universo che si espande.
E' tutto lontano.. lontano..
E' il progresso, sono le lacrime di un bambino.
Non c'è nulla, nulla che possa giustificare le lacrime di un bambino.
Ai margini dell'universo scaglieremo le nostre preghiere.
Sono le lacrime di un bambino..
venerdì 22 luglio 2011
Zango Notes: Viaggio in Sicilia (estate 2009)
Inizio folle. L’andare via per ricaricare le batterie, andare andare per non farsi mai beccare. Il senso di pace, prima ancora che di avventura, nel lasciarti dietro le città e i paesi e restare solo con la linea bianca della strada, il sole, le nuvole che vanno e vengono, e vaghi nomi di luoghi che hai già sentito da qualche parte.
Pace, come tornare a fare quello che ti riesce meglio.
Nuotare nel tuo elemento.
Non farti prendere mai.
Strade deserte come scollegate dalla realtà. Il destino che sembra lasciarti ai tuoi pensieri. Niente felicità, perchè hai troppi guai sulle spalle per far finta di niente. Lo stesso, è un’evasione.
Cefalù e caldo da morire, Cefalù e vie piene di turisti. Dopo tutti questi chilometri non sei riuscito a lasciarli dietro, evidentemente.
Spiaggia di alghe come viscide piovre sommerse.
Cefalù non mi ha fatto impazzire. Ma ci sono panorami discreti, l’acqua è calda e pulita, le tedesche in topless non sono male, e in fondo basta ad avviare il viaggio.
Primi approcci coi palermitani. Ricordi.
Una Ceres che ci sta.
Finisce così, con me appoggiato pigramente al bordo piscina di un campeggio subito fuori Cefalù, mentre un bambino aggrappato alla scaletta urla “PAPIIIIIII!!!!!!” e il sole si nasconde dietro le nuvole. Così passo le mie ultime ore da ventenne.
E’ un pensiero incredibile, nella sua normalità. Sembrano pensieri da condannato. Forse lo sono.
Non riesco a capacitarmene. Dai 10 ai 20 mi sembra sia passata una vita. Dai 20 a ora, invece, è stata solo una tempesta, un acquazzone estivo di quelli lunghi, un match di pugilato con pochissimi round e tutti andati male. Il tempo è roba scaduta, il tempo è un fuori di testa irrequieto asserragliato sul campanile di una chiesa, il tempo è l’ultima presa per il culo.
Immerso nella piscina ripenso ai 20, cominciati al buio, un cane che ululava nascosto, una persona che nemmeno sapeva che stava facendo 20 anni, o nemmeno lo capiva. Poi ci sono le facce, le distruzioni, i giorni persi, che non so perchè ma mi vengono sempre prima di quelli buoni.
I 20 mi sono sembrati tempo sprecato ad aspettare e occasioni sciupate, più dal destino che da me.
I 20 mi sono sembrati occhi puntati addosso a vedere se stavo vivendo da 20 oppure no, con le palette pronte ad alzarsi. I 30, forse, toglieranno un po’ di pressione.
I 20 ti volevano giovane per forza, e poco importava se eri ancora troppo bambino o già vecchio.
I 20 ti ponevano dei precisi obiettivi. Mi ritengo orgoglioso di poter dire che li ho falliti quasi tutti.
Ho cominciato i 20 in fuga, e ora non so se la fuga è finita malissimo, se è finita e basta, o se si sta prendendo solo una pausa.
Lasciamo che i 40
ci guardino strano
e che i 50 ci
guardino male
e magari lasciamo i 20
a sfotterci e indicarci
-noi, intanto
ci beviamo i nostri 30.
San Vito Lo Capo. Bar. Uomo del nord che si lamenta perchè sono finiti i quotidiani.
“Ma no” dice il barista, “ne è rimasto uno, il più padano di tutti”. E gli sbatte davanti una copia del Corriere di Sicilia.
Guidando davanti al monumento a Capaci. Tutto riparato. Mi aspettavo di vedere delle cicatrici, sull’asfalto.
Il mondo dei camperisti è colorato e vario, e dice molto sulla persona che sei. Molti, come sempre, avrebbero fatto meglio a non lasciare mai casa.
E infatti non la lasciano.
San Vito è il solito paradiso rovinato dalla brulicante urticante Razza Umana. Stesso vale per la Riserva dello Zingaro, a Trapani.
In macchina penso che l’Isola è un bene dimenticato, una gemma semi-nascosta, conosciuta ma mai abbastanza, e più da tedeschi e francesi che da noi che la abitiamo. I paesini sono una boccata d’aria (no, non c’entrano niente col Padrino), e il mare è uno spettacolo. La stessa Trapani sembra piccola e civile, pulita, si direbbe riuscita.
Viviamo in paradiso, e forse dopo morti ce ne accorgeremo, ma probabilmente non sarà così importante.
Nel frattempo ci riempiamo la bocca parlando dell’Isola come ragazzini che raccontano storie inventate sulla donna che sognano di scopare, e che non riusciranno mai nemmeno ad avvicinare. Una donna che parla con voce da vecchia, e che non si decide a diventare maggiorenne.
I suoi occhi ci fanno impazzire.
Ma ora è tempo di andare.
Pace, come tornare a fare quello che ti riesce meglio.
Nuotare nel tuo elemento.
Non farti prendere mai.
Strade deserte come scollegate dalla realtà. Il destino che sembra lasciarti ai tuoi pensieri. Niente felicità, perchè hai troppi guai sulle spalle per far finta di niente. Lo stesso, è un’evasione.
Cefalù e caldo da morire, Cefalù e vie piene di turisti. Dopo tutti questi chilometri non sei riuscito a lasciarli dietro, evidentemente.
Spiaggia di alghe come viscide piovre sommerse.
Cefalù non mi ha fatto impazzire. Ma ci sono panorami discreti, l’acqua è calda e pulita, le tedesche in topless non sono male, e in fondo basta ad avviare il viaggio.
Primi approcci coi palermitani. Ricordi.
Una Ceres che ci sta.
Finisce così, con me appoggiato pigramente al bordo piscina di un campeggio subito fuori Cefalù, mentre un bambino aggrappato alla scaletta urla “PAPIIIIIII!!!!!!” e il sole si nasconde dietro le nuvole. Così passo le mie ultime ore da ventenne.
E’ un pensiero incredibile, nella sua normalità. Sembrano pensieri da condannato. Forse lo sono.
Non riesco a capacitarmene. Dai 10 ai 20 mi sembra sia passata una vita. Dai 20 a ora, invece, è stata solo una tempesta, un acquazzone estivo di quelli lunghi, un match di pugilato con pochissimi round e tutti andati male. Il tempo è roba scaduta, il tempo è un fuori di testa irrequieto asserragliato sul campanile di una chiesa, il tempo è l’ultima presa per il culo.
Immerso nella piscina ripenso ai 20, cominciati al buio, un cane che ululava nascosto, una persona che nemmeno sapeva che stava facendo 20 anni, o nemmeno lo capiva. Poi ci sono le facce, le distruzioni, i giorni persi, che non so perchè ma mi vengono sempre prima di quelli buoni.
I 20 mi sono sembrati tempo sprecato ad aspettare e occasioni sciupate, più dal destino che da me.
I 20 mi sono sembrati occhi puntati addosso a vedere se stavo vivendo da 20 oppure no, con le palette pronte ad alzarsi. I 30, forse, toglieranno un po’ di pressione.
I 20 ti volevano giovane per forza, e poco importava se eri ancora troppo bambino o già vecchio.
I 20 ti ponevano dei precisi obiettivi. Mi ritengo orgoglioso di poter dire che li ho falliti quasi tutti.
Ho cominciato i 20 in fuga, e ora non so se la fuga è finita malissimo, se è finita e basta, o se si sta prendendo solo una pausa.
Lasciamo che i 40
ci guardino strano
e che i 50 ci
guardino male
e magari lasciamo i 20
a sfotterci e indicarci
-noi, intanto
ci beviamo i nostri 30.
San Vito Lo Capo. Bar. Uomo del nord che si lamenta perchè sono finiti i quotidiani.
“Ma no” dice il barista, “ne è rimasto uno, il più padano di tutti”. E gli sbatte davanti una copia del Corriere di Sicilia.
Guidando davanti al monumento a Capaci. Tutto riparato. Mi aspettavo di vedere delle cicatrici, sull’asfalto.
Il mondo dei camperisti è colorato e vario, e dice molto sulla persona che sei. Molti, come sempre, avrebbero fatto meglio a non lasciare mai casa.
E infatti non la lasciano.
San Vito è il solito paradiso rovinato dalla brulicante urticante Razza Umana. Stesso vale per la Riserva dello Zingaro, a Trapani.
In macchina penso che l’Isola è un bene dimenticato, una gemma semi-nascosta, conosciuta ma mai abbastanza, e più da tedeschi e francesi che da noi che la abitiamo. I paesini sono una boccata d’aria (no, non c’entrano niente col Padrino), e il mare è uno spettacolo. La stessa Trapani sembra piccola e civile, pulita, si direbbe riuscita.
Viviamo in paradiso, e forse dopo morti ce ne accorgeremo, ma probabilmente non sarà così importante.
Nel frattempo ci riempiamo la bocca parlando dell’Isola come ragazzini che raccontano storie inventate sulla donna che sognano di scopare, e che non riusciranno mai nemmeno ad avvicinare. Una donna che parla con voce da vecchia, e che non si decide a diventare maggiorenne.
I suoi occhi ci fanno impazzire.
Ma ora è tempo di andare.
lunedì 18 luglio 2011
Chi ha bisogno di Rivoluzione quando invece può andarsene al mare?
segui il ragionamento, dici
e parli di democrazia
in modo che
seguendo il ragionamento
ne devo trarre che
ogni politico è lì
per rappresentarmi
ogni poliziotto
per proteggere i miei interessi
ogni giudice
per trattarmi equamente
ogni professore
per trasmettermi il suo sapere
ogni giornalista
per informarmi
ogni regola
per essere rispettata da tutti
ogni carcere
per punire chi sbaglia
ogni ospedale
per curare chi soffre
ogni università
per creare conoscenza
ogni cimitero
per far riposare
chi ha vissuto bene
seguendo il ragionamento
uno di noi due
è in errore
ma non importa
-non importerà nemmeno quando
saremo in due stanzette lungo lo
stesso corridoio
e sentiremo dei passi
arrivare
avremo solo la sensazione
di essere stati fregati
senza aver fatto niente
per impedirlo
un po’ come
rendersi conto sul letto di
morte
di aver creduto nel
dio sbagliato
troppo tardi.
Marco Zangari © 2011
e parli di democrazia
in modo che
seguendo il ragionamento
ne devo trarre che
ogni politico è lì
per rappresentarmi
ogni poliziotto
per proteggere i miei interessi
ogni giudice
per trattarmi equamente
ogni professore
per trasmettermi il suo sapere
ogni giornalista
per informarmi
ogni regola
per essere rispettata da tutti
ogni carcere
per punire chi sbaglia
ogni ospedale
per curare chi soffre
ogni università
per creare conoscenza
ogni cimitero
per far riposare
chi ha vissuto bene
seguendo il ragionamento
uno di noi due
è in errore
ma non importa
-non importerà nemmeno quando
saremo in due stanzette lungo lo
stesso corridoio
e sentiremo dei passi
arrivare
avremo solo la sensazione
di essere stati fregati
senza aver fatto niente
per impedirlo
un po’ come
rendersi conto sul letto di
morte
di aver creduto nel
dio sbagliato
troppo tardi.
Marco Zangari © 2011
sabato 16 luglio 2011
alba
quando si fa alba
la tua anima è gatto randagio
che fruga con calma
tra i resti della tovaglia
è bottiglie vuote
che scivolano tra le nuvole
coi colori dell’inizio
è piedi sulla riva
immersi nell’acqua tiepida
color specchio
è silenzio fragile
e ricordi d’orizzonte
è brevi frasi d’amore
che solo ora hanno senso
e tra un’ora
non sarà più così
ma intanto
le sussurri piano a te stesso
e a tutti quelli
che possono
sentire.
Marco Zangari © 2011
mercoledì 13 luglio 2011
delusione...
08.00 facoltà, tanti volti sperduti nel caldo e nell'ignoranza...
commissione X del professore Y, che però manca sostituito dalla professoressa Z...
mi sento tranquilla, insomma so di cosa parlerò, sono consapevole... certo è sempre un esame, ma sono semi-tranquilla...
12.30 l'assistente mi chiama....
"ah ma lei è quella che la scorsa volta ha rifiutato il 24 per migliorare?"
silenzio....
apre il libretto, dice per accertarsi che son io... però stranamente non ha aperto la pagina della mia scheda.... ma quella dei miei esami....
decreto-legge.... bene
conflitti di potere.... bene
il senso di potere.... bene
altre domande che non ricordo adesso, ma comunque bene...
insomma sembra contenta dell'esame, e soprattutto io sono contenta, ho risposto a tutto con cognizione di causa
13.45 è tardi, la professoressa formula una commissione che faccia le sue veci e smaltisca il mallopppo di statini che si ritrova a giudicare.... con la strana convinzione che due assistenti possano "fare" un professore....
13.46 la signorina Lidia C. può venire qui...
mi trovo di fronte a questi due assistenti che hanno come intento quello di... confermare il voto che l'assistente di prima mi aveva dato.
regola di maggioranza
parlamentarismo...
insieme al mio libretto e al mio statino questi avevano una nota in un bigliettino extra...
"si può allontanare..."
"può tornare"
"il suo voto è 22...."
il mio volto "???????????"
penso... se rifiuto di nuovo la prossima volta sul bigliettino ci sarà scritto "20, perchè ha rifiutato il 22"?
accetto...
non stringo nemmeno la mano ai professori...
mi fanno schifo...
eppure quando mi dicevano che era così non ci credevo...
tu vai per migliorare... perchè ci tieni, e loro hanno come obiettivo quello di stroncare ogni tua speranza... insomma cazzo ho risposto a tutto!!!!!!!!
e pure bene, cioè non ho detto cazzate!!!!
eh beh... io sono figlia di nessuno, in effetti... non ho nemmeno un cognome conosciuto nell'ambiente...
sono figlia di un operaio forestale e di una ristoratrice della provincia...
mi sono diplomata al liceo di corleone,non ho fatto l'umberto a parlemo...
nessuno nella mia famiglia è avvocato o notaio...
eppure mi sono ammazzata la vita, so che vuol dire stare con "il culo sulla sedia"...
niente mi è mai stato regalato... il mio 88 di maturità, viene dalla convinzione che io non potessi essere di più...
sono stata sempre l'eterna seconda...
eppure mi son rotta semprei il culo...
ho sempre dato il 110%
ho ripetuto per giorni quel libro...
ho cercato le minuzie nei libri di approfondimento giuridico, se non capivo bene...
se non ero convinta di ciò che leggevo andavo avanti con mille altri libri finchè non capivo, finchè non ne ero convita....
eppure... non basta...
non mi sono presentata all'esame a gennaio, perchè ero consapevole di non poter dare tanto...
non sono professori questi....
chi ti mortifica perchè vuoi migliorare.... non può esere definito professore...
chi pensa di farti una grazia "approvandoti la materia" non si può definire professore...
chi sostiene che tu non sia nessuno perchè non sei figlio di avvocato/notaio/qualunque altra cosa... non è professore...
e io che mi illudevo...
e io che ho scelto palermo, quando avevo il posto assicurato a trento, perchè avevo un sogno...
e io che devo rinunciare a quel sogno perchè... i miei non cacano soldi, e perchè per stare a palermo e seguire le lezioni devo rinunciare agli sfizi...
e io che sto rinunciando ad un sogno, perchè loro mi stanno facendo rinunciare...
mi direte "ma sei nata adesso?" "era ora che aprissi gli occhi" "il mondo funziona così non lo sai?"
vi rispondo...
"probabilmente è come dite voi, probabilmente non sarei mai stata un magistrato... ma in questo mondo di merda non saprete mai chi potrei essere io... non saprete mai che magistrato sarebbe stata Lidia C... perchè Lidia C. ha rinunciato... si laureerà, ma per inerzia, avete stroncato la vita ad una ragazza di 19 anni che aveva un grande sogno."
tenete botta
commissione X del professore Y, che però manca sostituito dalla professoressa Z...
mi sento tranquilla, insomma so di cosa parlerò, sono consapevole... certo è sempre un esame, ma sono semi-tranquilla...
12.30 l'assistente mi chiama....
"ah ma lei è quella che la scorsa volta ha rifiutato il 24 per migliorare?"
silenzio....
apre il libretto, dice per accertarsi che son io... però stranamente non ha aperto la pagina della mia scheda.... ma quella dei miei esami....
decreto-legge.... bene
conflitti di potere.... bene
il senso di potere.... bene
altre domande che non ricordo adesso, ma comunque bene...
insomma sembra contenta dell'esame, e soprattutto io sono contenta, ho risposto a tutto con cognizione di causa
13.45 è tardi, la professoressa formula una commissione che faccia le sue veci e smaltisca il mallopppo di statini che si ritrova a giudicare.... con la strana convinzione che due assistenti possano "fare" un professore....
13.46 la signorina Lidia C. può venire qui...
mi trovo di fronte a questi due assistenti che hanno come intento quello di... confermare il voto che l'assistente di prima mi aveva dato.
regola di maggioranza
parlamentarismo...
insieme al mio libretto e al mio statino questi avevano una nota in un bigliettino extra...
"si può allontanare..."
"può tornare"
"il suo voto è 22...."
il mio volto "???????????"
penso... se rifiuto di nuovo la prossima volta sul bigliettino ci sarà scritto "20, perchè ha rifiutato il 22"?
accetto...
non stringo nemmeno la mano ai professori...
mi fanno schifo...
eppure quando mi dicevano che era così non ci credevo...
tu vai per migliorare... perchè ci tieni, e loro hanno come obiettivo quello di stroncare ogni tua speranza... insomma cazzo ho risposto a tutto!!!!!!!!
e pure bene, cioè non ho detto cazzate!!!!
eh beh... io sono figlia di nessuno, in effetti... non ho nemmeno un cognome conosciuto nell'ambiente...
sono figlia di un operaio forestale e di una ristoratrice della provincia...
mi sono diplomata al liceo di corleone,non ho fatto l'umberto a parlemo...
nessuno nella mia famiglia è avvocato o notaio...
eppure mi sono ammazzata la vita, so che vuol dire stare con "il culo sulla sedia"...
niente mi è mai stato regalato... il mio 88 di maturità, viene dalla convinzione che io non potessi essere di più...
sono stata sempre l'eterna seconda...
eppure mi son rotta semprei il culo...
ho sempre dato il 110%
ho ripetuto per giorni quel libro...
ho cercato le minuzie nei libri di approfondimento giuridico, se non capivo bene...
se non ero convinta di ciò che leggevo andavo avanti con mille altri libri finchè non capivo, finchè non ne ero convita....
eppure... non basta...
non mi sono presentata all'esame a gennaio, perchè ero consapevole di non poter dare tanto...
non sono professori questi....
chi ti mortifica perchè vuoi migliorare.... non può esere definito professore...
chi pensa di farti una grazia "approvandoti la materia" non si può definire professore...
chi sostiene che tu non sia nessuno perchè non sei figlio di avvocato/notaio/qualunque altra cosa... non è professore...
e io che mi illudevo...
e io che ho scelto palermo, quando avevo il posto assicurato a trento, perchè avevo un sogno...
e io che devo rinunciare a quel sogno perchè... i miei non cacano soldi, e perchè per stare a palermo e seguire le lezioni devo rinunciare agli sfizi...
e io che sto rinunciando ad un sogno, perchè loro mi stanno facendo rinunciare...
mi direte "ma sei nata adesso?" "era ora che aprissi gli occhi" "il mondo funziona così non lo sai?"
vi rispondo...
"probabilmente è come dite voi, probabilmente non sarei mai stata un magistrato... ma in questo mondo di merda non saprete mai chi potrei essere io... non saprete mai che magistrato sarebbe stata Lidia C... perchè Lidia C. ha rinunciato... si laureerà, ma per inerzia, avete stroncato la vita ad una ragazza di 19 anni che aveva un grande sogno."
tenete botta
No comment, ma post
Stamattina ho letto l'ultimo post delle Zango Notes e ho cominciato a scrivere un commento. Be' il fatto è stato che scrivendo il commento mi sono ritrovato a chiamare in causa tante di quelle cose, molte delle quali personali, che alla fine il commento era forse troppo lungo per essere solo un commento.
E allora è diventato un post. Un post di risposta, se così vogliamo dire.
--------------------------------------------------
Due vestiti, e tanti altri nel mezzo che però non interessano la discussione.
Nell'ultimo paragrafo, mi ha fatto riflettere la sovrapposizione tra "quello che è un posto dove in sé mi ci trovo bene" e "quello che è un vestito che metti tutto l'anno".
Per conto mio sono d'accordo, ma devo anche ammettere che è - in parte - questo mio trovarmici bene, che mi spinge a mettere quel vestito tutto l'anno o comunque il più delle volte.
Come se la felicità fosse un vestito in giacca e cravatta, roba scomoda che non ho intenzione di mettere addosso per partito preso. La ritengo falsa, fasulla, o meglio più superficiale del dolore. Ma forse confondo la felicità col divertimento. Perché pensare di poter essere felice più di quelle tre-quattro volte l'anno mi fa paura, perché quando hai addosso il dolore puoi sempre dire che ci stai bene - versione eorica - e che tanto peggio di così non può andare - versione in fondo scaramantica e inutile: può sempre andare peggio. Se però ti azzardi a dire che sei felice, BLAM! Ecco che ti casca addosso qualcosa che ti rovina tutto.
Da piccolo volevo dirlo anch'io, di essere felice, ma puntualmente bastava pensarci e accadeva qualcosa che mi costringeva a disilludermi. Così ho pensato - poi me ne sono anche convinto del tutto - che questa della felicità fosse una gran fregatura, che non ne valesse la pena.
Ma negli anni - soprattutto l'ultimo - mi sto in parte ricredendo. Ora, benché il dolore resti uno dei miei compagni di viaggio preferiti (è quande come un spillo, ultra tascabile, e anche se piccolo può sempre fare male tantissimo), sto capendo che la felicità va cercata. Che bisogna trovare il coraggio di rimettere fuori il muso e chiedere di lei, tornando all'ultima volta che si credeva di averla vista, o vagando a cazzo nel mondo, ma sempre con l'intento di braccarla. Questa felicità che non può essere assoluta e sempiterna, ma altrettanto - mi pare ovvio - non può essere (e non dovrebbe esserlo) il dolore.
Tutti abbiamo un armadio dove teniamo almeno un altro vestito oltre al dolore. Non è che debba per forza essere questa gran felicità, ma forse è il caso di provarlo, di fargli prendere aria e dargli un colore. Magari la notte, quando si vede meno, quando gli altri dormono e non stanno a guardare. In fondo la felicità, come il dolore, sono cazzi nostri e basta.
E allora è diventato un post. Un post di risposta, se così vogliamo dire.
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Due vestiti, e tanti altri nel mezzo che però non interessano la discussione.
Nell'ultimo paragrafo, mi ha fatto riflettere la sovrapposizione tra "quello che è un posto dove in sé mi ci trovo bene" e "quello che è un vestito che metti tutto l'anno".
Per conto mio sono d'accordo, ma devo anche ammettere che è - in parte - questo mio trovarmici bene, che mi spinge a mettere quel vestito tutto l'anno o comunque il più delle volte.
Come se la felicità fosse un vestito in giacca e cravatta, roba scomoda che non ho intenzione di mettere addosso per partito preso. La ritengo falsa, fasulla, o meglio più superficiale del dolore. Ma forse confondo la felicità col divertimento. Perché pensare di poter essere felice più di quelle tre-quattro volte l'anno mi fa paura, perché quando hai addosso il dolore puoi sempre dire che ci stai bene - versione eorica - e che tanto peggio di così non può andare - versione in fondo scaramantica e inutile: può sempre andare peggio. Se però ti azzardi a dire che sei felice, BLAM! Ecco che ti casca addosso qualcosa che ti rovina tutto.
Da piccolo volevo dirlo anch'io, di essere felice, ma puntualmente bastava pensarci e accadeva qualcosa che mi costringeva a disilludermi. Così ho pensato - poi me ne sono anche convinto del tutto - che questa della felicità fosse una gran fregatura, che non ne valesse la pena.
Ma negli anni - soprattutto l'ultimo - mi sto in parte ricredendo. Ora, benché il dolore resti uno dei miei compagni di viaggio preferiti (è quande come un spillo, ultra tascabile, e anche se piccolo può sempre fare male tantissimo), sto capendo che la felicità va cercata. Che bisogna trovare il coraggio di rimettere fuori il muso e chiedere di lei, tornando all'ultima volta che si credeva di averla vista, o vagando a cazzo nel mondo, ma sempre con l'intento di braccarla. Questa felicità che non può essere assoluta e sempiterna, ma altrettanto - mi pare ovvio - non può essere (e non dovrebbe esserlo) il dolore.
Tutti abbiamo un armadio dove teniamo almeno un altro vestito oltre al dolore. Non è che debba per forza essere questa gran felicità, ma forse è il caso di provarlo, di fargli prendere aria e dargli un colore. Magari la notte, quando si vede meno, quando gli altri dormono e non stanno a guardare. In fondo la felicità, come il dolore, sono cazzi nostri e basta.
martedì 12 luglio 2011
Zango Notes: Sul dolore
"Ci sono dei momenti in cui la notte dell'anima si schiude... E d'altronde il dolore non colpisce che quelli che lo temono. Io per conto mio non temo il dolore. Non lo temo perchè esso non può essere brutto. La paura d'essere abbandonato, questo brusìo vuoto che il tuo amore genera improvviso, tutto ciò non è niente, niente. Ho delle ricette contro il male. Un grande dolore non brucia veramente che confondendosi alle cose della vita. E' necessario purificarlo di tutto ciò che potrebbe armarlo contro la carne. Poi, fissarlo profondamente negli occhi."
Joe Bousquet.
Quando il dolore diventa semplicemente troppo, restano solo due alternative: cedere di schianto, oppure entrare nella dimensione "eroica", dove il troppo non è mai abbastanza perchè serve a rinforzare le difese contro il nemico -qualunque esso sia. Più la faccenda si fa atroce, più provi un sottile e velenoso piacere nel tenergli testa e andare avanti sulle tue gambe.
Sorvoli sul pericolo di cominciare a drogarti di dolore (e ne vuoi sempre di più per dimostrare sempre chi sei), e diventi un eroe. Stai in piedi nello sfacelo, con l'aria di chi si aspetta una medaglia.
Dimentichi che, dopo le feste, ai veterani spettano sguardi storti e zero rispetto. Nessuno vuole averci a che fare, perchè ricordano tempi troppo tristi che tutti vogliono dimenticare.
Fanno una gran brutta fine, gli eroi.
Per quanto mi riguarda, più che il dolore, cerco di evitare nuove vie del dolore. Nel dolore in sè mi ci trovo bene. E' un posto che conosco, che so com'è fatto, cosa c'è in ogni cassetto. Mi da molta più sicurezza della felicità perchè è più stabile, più frequente, ed è anche la condizione imprescindibile, alla quale si finisce sempre per tornare.
La felicità è, al massimo, una vacanza estiva.
Il dolore è un vestito che metti tutto l'anno.
Joe Bousquet.
Quando il dolore diventa semplicemente troppo, restano solo due alternative: cedere di schianto, oppure entrare nella dimensione "eroica", dove il troppo non è mai abbastanza perchè serve a rinforzare le difese contro il nemico -qualunque esso sia. Più la faccenda si fa atroce, più provi un sottile e velenoso piacere nel tenergli testa e andare avanti sulle tue gambe.
Sorvoli sul pericolo di cominciare a drogarti di dolore (e ne vuoi sempre di più per dimostrare sempre chi sei), e diventi un eroe. Stai in piedi nello sfacelo, con l'aria di chi si aspetta una medaglia.
Dimentichi che, dopo le feste, ai veterani spettano sguardi storti e zero rispetto. Nessuno vuole averci a che fare, perchè ricordano tempi troppo tristi che tutti vogliono dimenticare.
Fanno una gran brutta fine, gli eroi.
Per quanto mi riguarda, più che il dolore, cerco di evitare nuove vie del dolore. Nel dolore in sè mi ci trovo bene. E' un posto che conosco, che so com'è fatto, cosa c'è in ogni cassetto. Mi da molta più sicurezza della felicità perchè è più stabile, più frequente, ed è anche la condizione imprescindibile, alla quale si finisce sempre per tornare.
La felicità è, al massimo, una vacanza estiva.
Il dolore è un vestito che metti tutto l'anno.
riflessioni
Ogni sorso porta ad un pensiero
Non aver memoria della vita ti dona lo stupore dell’infanzia. La mia bocca rigurgita parole che non ascolto e non ricordo, istinto, sincerità, ragionamenti estemporanei che nella notte divengono cellule nel tuo corpo.
Quanto è duro il ferro?
Il luccicare di una barca abbandonata in riva al mare, dimora ormai di creature partorite in una stagione.
lunedì 11 luglio 2011
Zango Notes: Roma 2010
Ho portato con me, per rileggerlo dopo 12 anni, “Tropico del Cancro” di Henry Miller, ma niente potrebbe essere più lontano da quella gloriosa decadenza, da quella complessità languida e perfetta.
Roma è lineare in queste ore, per me. Forse lo è sempre stata ed io la vedevo dalla mia prospettiva –sdraiato sulle rotaie, aspettando aspettando aspettando. Ammetto che in quel modo è difficile vedere un qualche lato radioso in qualunque cosa.
Sono felice.
Momenti come la birra a San Lorenzo guardando le nuvole di luglio sopra le case gialle, o il panino mangiato seduto per terra al Pantheon, sono momenti dove dentro c’è tutto. Mi siedo e annuso le ceneri dei passati sogni miei, e di quelli del compare. E’ stata una grande occasione sprecata, forse per entrambe le parti.
Certe cose, come il traffico lo sporco la maleducazione, non cambiano mai e mi dicono che il nostro non sarebbe mai stato eterno amore. Ma una sveltina, un piccolo pompino dell’anima, quello ce l’eravamo meritato. Ci stava. Oh beh.
Tornare qui è come andare a fare visita a genitori che non vedi da tempo. Sai che ci sono state incomprensioni e casini, ma al momento dell’arrivo non ci pensi, il tempo ha fatto il suo dovere e tu sei cambiato (speri sempre in meglio). Ma qualcosa c’è sempre, sotto la superficie, e ti torna alla mente, camuffata, mentre vai a riempire un bicchiere al rubinetto o quando aspetti l’autobus sotto il sole.
Roma è sempre un po’ diversa quando ci torno, e quei cambiamenti mi danno il senso del tempo che è passato. Come una storia che non è mai decollata, e poi rivedi lei con un altro e ti sembra diversa –nè migliore nè peggiore, solo diversa.
E come i genitori di prima, a volte ti fa tenerezza vedere gli sforzi che fa per conservare qualcosa, per non annegare nel cemento nello smog nella solitudine delle facce che si aggirano arrabbiate e incredule per le strade bruciate dal sole, facce che vivono dove tutti vorrebbero vivere mentre ogni cosa in loro parla solo di fuga.
Roma è lineare in queste ore, per me. Forse lo è sempre stata ed io la vedevo dalla mia prospettiva –sdraiato sulle rotaie, aspettando aspettando aspettando. Ammetto che in quel modo è difficile vedere un qualche lato radioso in qualunque cosa.
Sono felice.
Momenti come la birra a San Lorenzo guardando le nuvole di luglio sopra le case gialle, o il panino mangiato seduto per terra al Pantheon, sono momenti dove dentro c’è tutto. Mi siedo e annuso le ceneri dei passati sogni miei, e di quelli del compare. E’ stata una grande occasione sprecata, forse per entrambe le parti.
Certe cose, come il traffico lo sporco la maleducazione, non cambiano mai e mi dicono che il nostro non sarebbe mai stato eterno amore. Ma una sveltina, un piccolo pompino dell’anima, quello ce l’eravamo meritato. Ci stava. Oh beh.
Tornare qui è come andare a fare visita a genitori che non vedi da tempo. Sai che ci sono state incomprensioni e casini, ma al momento dell’arrivo non ci pensi, il tempo ha fatto il suo dovere e tu sei cambiato (speri sempre in meglio). Ma qualcosa c’è sempre, sotto la superficie, e ti torna alla mente, camuffata, mentre vai a riempire un bicchiere al rubinetto o quando aspetti l’autobus sotto il sole.
Roma è sempre un po’ diversa quando ci torno, e quei cambiamenti mi danno il senso del tempo che è passato. Come una storia che non è mai decollata, e poi rivedi lei con un altro e ti sembra diversa –nè migliore nè peggiore, solo diversa.
E come i genitori di prima, a volte ti fa tenerezza vedere gli sforzi che fa per conservare qualcosa, per non annegare nel cemento nello smog nella solitudine delle facce che si aggirano arrabbiate e incredule per le strade bruciate dal sole, facce che vivono dove tutti vorrebbero vivere mentre ogni cosa in loro parla solo di fuga.
Buona corsa a tutti
L'altro giorno ho corso come un matto. Una telefonata, una persona cara che ci sta lasciando ed ecco l'accelerazione improvvisa nella corsa quotidiana.
Roma - Messina in poco meno di 5 ore. Una corsa contro il tempo per vederla un'ultima volta.
Raggiunto il "traguardo", mi attende un corpo di donna ridotto a nulla, ansimante e rantolante, il volto contrito in una smorfia di dolore irriconoscibile. Una persona che non è più una persona, con gli occhi consapevoli che la sua corsa sta per finire.
Ho smesso di correre anche io di fronte a lei, quasi paralizzato dall'evidenza della morte.
Mi sono chiesto che senso aveva avuto quella corsa per vedere una persona morire.
Forse sono stato colpito anche io dal sensazionalismo del mondo mediatico odierno e volevo vedere come si muore? volevo avere il mio momeno da real tv? O forse ho uno spiccato senso del macabro?
Ci ho pensato a lungo in quella notte passata su una scomoda sedia nella sala d'aspetto dell'ospedale.
L'unico motivo per cui vale la pena correre è l'amore per un altra persona, che sia un amico, un parente, un genitore, un fratello o sorella o la propria compagna o compagno.
Allora ho capito il senso della mia corsa quotidiana e il senso della corsa di quel giorno in particolare.
Ho capito che devo correre ancora tanto e che voglio correre tanto e per più tempo possibile. Da solo ma sopratutto in compagnia.
Quindi eccomi qui, accanto al tuo letto a tenerti la mano finchè la tua corsa non finisce per sempre, ma questo pezzetto lo corriamo insieme io e te e tutte queste persone che sono qui per te...
"Ciao zia, e se puoi da lassù fai il tifo per la mia corsa!"
Roma - Messina in poco meno di 5 ore. Una corsa contro il tempo per vederla un'ultima volta.
Raggiunto il "traguardo", mi attende un corpo di donna ridotto a nulla, ansimante e rantolante, il volto contrito in una smorfia di dolore irriconoscibile. Una persona che non è più una persona, con gli occhi consapevoli che la sua corsa sta per finire.
Ho smesso di correre anche io di fronte a lei, quasi paralizzato dall'evidenza della morte.
Mi sono chiesto che senso aveva avuto quella corsa per vedere una persona morire.
Forse sono stato colpito anche io dal sensazionalismo del mondo mediatico odierno e volevo vedere come si muore? volevo avere il mio momeno da real tv? O forse ho uno spiccato senso del macabro?
Ci ho pensato a lungo in quella notte passata su una scomoda sedia nella sala d'aspetto dell'ospedale.
L'unico motivo per cui vale la pena correre è l'amore per un altra persona, che sia un amico, un parente, un genitore, un fratello o sorella o la propria compagna o compagno.
Allora ho capito il senso della mia corsa quotidiana e il senso della corsa di quel giorno in particolare.
Ho capito che devo correre ancora tanto e che voglio correre tanto e per più tempo possibile. Da solo ma sopratutto in compagnia.
Quindi eccomi qui, accanto al tuo letto a tenerti la mano finchè la tua corsa non finisce per sempre, ma questo pezzetto lo corriamo insieme io e te e tutte queste persone che sono qui per te...
"Ciao zia, e se puoi da lassù fai il tifo per la mia corsa!"
domenica 10 luglio 2011
Zango Notes: Sull'errore
Fare sempre la cosa giusta non permette una progressione dell'Uomo, perchè riporta sempre ad una conferma di una regola decisa dalla COMUNITA', non dall'INDIVIDUO. Gli standard decisi da tutti ti dicono se stai seguendo o meno un percorso MEDIAMENTE corretto, ma sono ciechi sul rapporto tra quella determinata persona e quella determinata vita.
La cosa giusta si fa come GRUPPO; l'errore lo commette sempre e solo la PERSONA. Dall'insieme di questi errori, poi, il gruppo trarrà nuovi standard per un percorso corretto, e nuove regole per seguirlo.
Eppure non si andrebbe mai avanti se non si sbagliasse mai (perfino sbagliare sempre sarebbe più auspicabile)... ma allora, chi si prenderà la responsabilità dell'errore, visto come fallimento necessario? Forse gli "sbagliati" sono i martiri del nostro vivere?
Nessuna rivoluzione, nessun progresso, nessuna novità, nessuna creazione può nascere senza errore... forse quelli che portano avanti l'errore sono gli unici giusti in un mondo sbagliato?
La cosa giusta si fa come GRUPPO; l'errore lo commette sempre e solo la PERSONA. Dall'insieme di questi errori, poi, il gruppo trarrà nuovi standard per un percorso corretto, e nuove regole per seguirlo.
Eppure non si andrebbe mai avanti se non si sbagliasse mai (perfino sbagliare sempre sarebbe più auspicabile)... ma allora, chi si prenderà la responsabilità dell'errore, visto come fallimento necessario? Forse gli "sbagliati" sono i martiri del nostro vivere?
Nessuna rivoluzione, nessun progresso, nessuna novità, nessuna creazione può nascere senza errore... forse quelli che portano avanti l'errore sono gli unici giusti in un mondo sbagliato?
mercoledì 6 luglio 2011
So' tutti bravi co' i figli dell'artri
Ieri in metro c'era questa coppia di indiani/pakistani/"scusate ma non so riconoscere a vista la vostra nazionalità".
Sono saliti con me a Termini: la donna portava in braccio una bambina di - boh? - 3 anni, il marito invece si occupava del valigione alto quasi quanto lui e di un enorme zaino dove la figlioletta si sarebbe potuta perfino perdere. Naturalmente c'era anche un passeggino, con loro, così che l'uomo cercava di trasformarsi nella dea Kalì per avere abbastanza braccia e mani da occuparsi di tutto.
La metro è partita e una signora seduta si è alzata per lasciare il posto alla donna indiana/etc. Il marito si è spostato portato davanti al suo sedile con tutto l'ambaradam che aveva dietro. Ha fatto appena in tempo prima di finire, come tutti, schiacciato e immobilizzato dalla troppa gente.
A un certo punto la bambina ha iniziato a piangere e a gridare. Non lo faceva come un'ossessa, ma insomma riusciva da sola a dare filo da torcere ai timpani di tutte le seimilaquattrocentottantatre persone pressate nel vagone come fossero una balla di bottiglie di plastica pronte al riciclo. Ed è stato il pianto di quell'innocente a dar luogo a uno dei momenti più tragici della giornata.
Sulla stessa fila di sedili della "donna ormai sapete quale", alcuni tanto illustri quanto insospettabili esperti di "Crecita di infanti" specializzati in "Interpretazioni delle differenti sfaccettature tonali della voce di una bimba indiana o altro, in metro" hanno cominciato a fornire pareri. Non che nessuno glieli avesse chiesti.
È durato dieci minuti (il servizio era rallentato), per un totale di tre fermate. Dopo sono sceso.
Una valanga di osservazioni e consigli (più osservazioni che consigli) si è riversata sulla coppia di "indiani o come volete", soprattutto sulla donna. Una signora vestita di bianco, che non si era sognata di alzarsi per far posto alla "donna d'oriente" e che appena seduta si era copiosamente cosparsa le mani con almeno mezzo litro di amuchina, le ha osservato che la bambina "aveva sete".
Ora, anche se questa donna di bianco vestita era davvero una grande esperta di bambini, come dicevo poc'anzi, la realtà dei fatti è che la sete di quella bambina era palese già per sua madre, per me, insomma per tutti.
Non solo. Eravamo tutti terribilmente assetati, in quel vagone del cazzo con seimilaquattrocentottantatre persone schiacciate tra loro a una temperatura di circa un miliardo di gradi fahrenheit. Io ad esempio avevo una sete della madonna, roba che se solo avessi potuto muovermi in quel rovo di esseri umani e raggiungere la donna di bianco vestita, le avrei strappato la "borraccia" di amuchina e me la sarei scolata tutta d'un fiato di fronte ai suoi occhi, lasciandola preda di letali microbi sparsi un po' ovunque per la restante parte della giornata.
La pensavamo tutti, la storia della sete, ma lei, bianca e immune ai germi della terra come una creatura celeste, ha vinto la nostra omertà e ha dichiarato la sua deduzione. Parlava alla coppia con la candidezza e la freddezza di un angelo, ma loro erano comuni mortali - nonché davvero molto probabilmente stranieri - e non capivano le sue sante parole. Lei però ha insistito finché l'uomo non aperto lo zaino e ha tirato fuori una specie di biberon con dell'acqua dentro. In realtà ci sono rimasto un po' male, perché speravo estraesse un mitra e riempisse di piombo la donna-angelo, in barba alle dinamiche dell'amor cortese.
Così la mamma ha voltato la bambina sulla sua spalla e le ha messo il biberon in bocca, sotto lo sguardo empio e soddisfatto della donna angelo e di molti altri viaggiatori dei cui consigli si era fatta portavoce. Ma la bambina non voleva saperne di quel biberon, tantomeno dell'acqua, e così nonostante gli sforzi della madre è tornata a lagnarsi con la gola secca, non riuscendo tuttavia a spiazzare gli altri del vagone, che scuotevano la testa come a dire "no, non va". E per due fermate hanno continuato tutti a guardare e compatire la madre, tutti con la voglia di dire ancora qualcosa, di fare pressioni per un altro rimedio. Tutti che ognuno sapeva in realtà cosa fare.
Tutti, mentre io guardavo la bambina che a un certo punto ha incrociato il mio sguardo. La sua faccia ha perso ogni lamento, mi ha regalato un'espressione furbetta e ha smesso di piangere.
E per fortuna è arrivata anche la mia fermata e sono potuto scendere, aprendomi a spintoni la strada verso le porte. Mentre varcavo la soglia l'ho sentita riprendere a urlare, ma le porte si sono richiuse e sul mio viso sentivo già un'aria più fresca.
Sono saliti con me a Termini: la donna portava in braccio una bambina di - boh? - 3 anni, il marito invece si occupava del valigione alto quasi quanto lui e di un enorme zaino dove la figlioletta si sarebbe potuta perfino perdere. Naturalmente c'era anche un passeggino, con loro, così che l'uomo cercava di trasformarsi nella dea Kalì per avere abbastanza braccia e mani da occuparsi di tutto.
La metro è partita e una signora seduta si è alzata per lasciare il posto alla donna indiana/etc. Il marito si è spostato portato davanti al suo sedile con tutto l'ambaradam che aveva dietro. Ha fatto appena in tempo prima di finire, come tutti, schiacciato e immobilizzato dalla troppa gente.
A un certo punto la bambina ha iniziato a piangere e a gridare. Non lo faceva come un'ossessa, ma insomma riusciva da sola a dare filo da torcere ai timpani di tutte le seimilaquattrocentottantatre persone pressate nel vagone come fossero una balla di bottiglie di plastica pronte al riciclo. Ed è stato il pianto di quell'innocente a dar luogo a uno dei momenti più tragici della giornata.
Sulla stessa fila di sedili della "donna ormai sapete quale", alcuni tanto illustri quanto insospettabili esperti di "Crecita di infanti" specializzati in "Interpretazioni delle differenti sfaccettature tonali della voce di una bimba indiana o altro, in metro" hanno cominciato a fornire pareri. Non che nessuno glieli avesse chiesti.
È durato dieci minuti (il servizio era rallentato), per un totale di tre fermate. Dopo sono sceso.
Una valanga di osservazioni e consigli (più osservazioni che consigli) si è riversata sulla coppia di "indiani o come volete", soprattutto sulla donna. Una signora vestita di bianco, che non si era sognata di alzarsi per far posto alla "donna d'oriente" e che appena seduta si era copiosamente cosparsa le mani con almeno mezzo litro di amuchina, le ha osservato che la bambina "aveva sete".
Ora, anche se questa donna di bianco vestita era davvero una grande esperta di bambini, come dicevo poc'anzi, la realtà dei fatti è che la sete di quella bambina era palese già per sua madre, per me, insomma per tutti.
Non solo. Eravamo tutti terribilmente assetati, in quel vagone del cazzo con seimilaquattrocentottantatre persone schiacciate tra loro a una temperatura di circa un miliardo di gradi fahrenheit. Io ad esempio avevo una sete della madonna, roba che se solo avessi potuto muovermi in quel rovo di esseri umani e raggiungere la donna di bianco vestita, le avrei strappato la "borraccia" di amuchina e me la sarei scolata tutta d'un fiato di fronte ai suoi occhi, lasciandola preda di letali microbi sparsi un po' ovunque per la restante parte della giornata.
La pensavamo tutti, la storia della sete, ma lei, bianca e immune ai germi della terra come una creatura celeste, ha vinto la nostra omertà e ha dichiarato la sua deduzione. Parlava alla coppia con la candidezza e la freddezza di un angelo, ma loro erano comuni mortali - nonché davvero molto probabilmente stranieri - e non capivano le sue sante parole. Lei però ha insistito finché l'uomo non aperto lo zaino e ha tirato fuori una specie di biberon con dell'acqua dentro. In realtà ci sono rimasto un po' male, perché speravo estraesse un mitra e riempisse di piombo la donna-angelo, in barba alle dinamiche dell'amor cortese.
Così la mamma ha voltato la bambina sulla sua spalla e le ha messo il biberon in bocca, sotto lo sguardo empio e soddisfatto della donna angelo e di molti altri viaggiatori dei cui consigli si era fatta portavoce. Ma la bambina non voleva saperne di quel biberon, tantomeno dell'acqua, e così nonostante gli sforzi della madre è tornata a lagnarsi con la gola secca, non riuscendo tuttavia a spiazzare gli altri del vagone, che scuotevano la testa come a dire "no, non va". E per due fermate hanno continuato tutti a guardare e compatire la madre, tutti con la voglia di dire ancora qualcosa, di fare pressioni per un altro rimedio. Tutti che ognuno sapeva in realtà cosa fare.
Tutti, mentre io guardavo la bambina che a un certo punto ha incrociato il mio sguardo. La sua faccia ha perso ogni lamento, mi ha regalato un'espressione furbetta e ha smesso di piangere.
E per fortuna è arrivata anche la mia fermata e sono potuto scendere, aprendomi a spintoni la strada verso le porte. Mentre varcavo la soglia l'ho sentita riprendere a urlare, ma le porte si sono richiuse e sul mio viso sentivo già un'aria più fresca.
venerdì 1 luglio 2011
La vita senza problemi
il punto non è
le domande che mi fai
ma le risposte
che mi appicchi addosso
lo so, dico sempre
-è una lunga storia-
e con questo
intendo tutto
a quel punto
mi tuffo nel bicchiere
sperando di cogliere la visione
di com’è la vita
su una spider con altre persone
giugno, il mare
e occhiali da sole
-com’è, su quelle barche che
non saprei nemmeno portare
-com’è, in quelle teste
senza alcun pensiero
se non –prossimo pasto
prossima cagata
andare al lido venerdì sera-
-com’è, quando ti hanno sistemato
tutte le buche per strada
e devi decidere solo
con che auto correrci sopra
-com’è, in quei viaggi per pochi
quei locali per pochi
anche se poi siete tanti
troppi
-com’è, con una mano sulla coscia
di una che potrebbe essere tua figlia
-com’è, bere solo la migliore bumba
-com’è, lamentarti sotto il sole
col jet che sta per partire
-com’è, il lunedì mattina
senza pensare a cosa ne è stato
dei tuoi sogni di una volta
-com’è, quella festa continua
e il mondo diviso in
invitati e gente fuori
-com’è, il tornare a casa ancora
con le energie per ridere, scopare
leggere, scrivere
vivere ancora
-com’è, non dover fare conti alla rovescia
per due giorni di aria
-com’è, vedere i tuoi orgogliosi di te
che si parla come amici
come nei telefilm
-com’è, avere ancora abbronzatura
e niente gastriti
-com’è, girare calendari
senza angosce nè tormenti
-com’è, l’aria in quegli studi, quegli uffici
dove ci si dà del lei, ci si fa attendere
si perpetua un sistema
pensato solo per voi
-com’è, divertirti al tuo compleanno
-com’è, poter rispondere
a quel cazzo di -e tu che fai?-
-com’è, scandire la vita
con anniversari e cene
e qualcosa di buono
da portare con sè
-com’è, fare sempre la cosa giusta
conoscere le persone giuste
-com’è, fare solo quello che ci si aspetta da voi
senza mai dubbi
-com’è, sapere cosa succederà
vivere senza scoramenti
-com’è, far caso alle stagioni, al panorama
non farsi prendere dal traffico
-com’è, non fare file
-com’è, non doversi accontentare
-com’è
mi guardi
come uno che ha pensato
a voce alta
come uno che
dice quello che pensa
annego nel bicchiere
senza trovarci altro
che la mia vita
quando il ghiaccio in fondo
mi sbatte sui denti
penso che sarebbe bello
per una volta
avere i problemi
della gente senza problemi
e ne ordino
un altro.
le domande che mi fai
ma le risposte
che mi appicchi addosso
lo so, dico sempre
-è una lunga storia-
e con questo
intendo tutto
a quel punto
mi tuffo nel bicchiere
sperando di cogliere la visione
di com’è la vita
su una spider con altre persone
giugno, il mare
e occhiali da sole
-com’è, su quelle barche che
non saprei nemmeno portare
-com’è, in quelle teste
senza alcun pensiero
se non –prossimo pasto
prossima cagata
andare al lido venerdì sera-
-com’è, quando ti hanno sistemato
tutte le buche per strada
e devi decidere solo
con che auto correrci sopra
-com’è, in quei viaggi per pochi
quei locali per pochi
anche se poi siete tanti
troppi
-com’è, con una mano sulla coscia
di una che potrebbe essere tua figlia
-com’è, bere solo la migliore bumba
-com’è, lamentarti sotto il sole
col jet che sta per partire
-com’è, il lunedì mattina
senza pensare a cosa ne è stato
dei tuoi sogni di una volta
-com’è, quella festa continua
e il mondo diviso in
invitati e gente fuori
-com’è, il tornare a casa ancora
con le energie per ridere, scopare
leggere, scrivere
vivere ancora
-com’è, non dover fare conti alla rovescia
per due giorni di aria
-com’è, vedere i tuoi orgogliosi di te
che si parla come amici
come nei telefilm
-com’è, avere ancora abbronzatura
e niente gastriti
-com’è, girare calendari
senza angosce nè tormenti
-com’è, l’aria in quegli studi, quegli uffici
dove ci si dà del lei, ci si fa attendere
si perpetua un sistema
pensato solo per voi
-com’è, divertirti al tuo compleanno
-com’è, poter rispondere
a quel cazzo di -e tu che fai?-
-com’è, scandire la vita
con anniversari e cene
e qualcosa di buono
da portare con sè
-com’è, fare sempre la cosa giusta
conoscere le persone giuste
-com’è, fare solo quello che ci si aspetta da voi
senza mai dubbi
-com’è, sapere cosa succederà
vivere senza scoramenti
-com’è, far caso alle stagioni, al panorama
non farsi prendere dal traffico
-com’è, non fare file
-com’è, non doversi accontentare
-com’è
mi guardi
come uno che ha pensato
a voce alta
come uno che
dice quello che pensa
annego nel bicchiere
senza trovarci altro
che la mia vita
quando il ghiaccio in fondo
mi sbatte sui denti
penso che sarebbe bello
per una volta
avere i problemi
della gente senza problemi
e ne ordino
un altro.
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