Ci sono le cose che ti vengono bene e poi ci sono i capolavori. Ci sono i concerti, con un tizio lassù che canta, e poi attimi di pura magia, un’alchimia che chissà come cazzo è venuta fuori, ma c’è stata e il cielo si è aperto solo per quello.
Non so quante volte, da ragazzi, abbiamo ascoltato l’Unplugged a New York dei Nirvana. L’ultimo album della band. Una gemma da conservare accanto al rock dei Settanta, le suonate per archi di Mozart, certe poesie di Fabrizio. Uno di quei momenti lì, quando il cielo si apre.
E l’Unplugged, nelle nostre teste matte sedicenni, era più di tutto “Where did you sleep last night”, cover di un vecchio brano blues che tutti conoscevamo familiarmente con le prime parole della canzone “My girl, my girl”.
Ed eccolo Kurt in video che annuncia il pezzo, eccolo che fa ridere il pubblico (ma come, non era quello sempre triste lui?), ecco che attacca con la sua chitarra mancina. E ogni volta che lo fa, è come se fosse ieri.
Strano, ma non ho mai pensato a Kurt Cobain come un mito. Nessuno di noi lo ha fatto. Anche se ognuno dopo ha fatto i soliti accostamenti, lui non c’entrava niente con quei nomi lì.
Kurt suona ancora il suo pezzo, ispirato come non lo è stato in tutta la serata. Riesce a mantenersi intonato anche nelle parti più acute. Regge che è una bellezza. I muri dell’auditorio respirano con lui.
E tu vorresti dirgli non fermarti per nessun motivo, Kurt.
Quella è stata l’ultima canzone. Nessuno lo sapeva. Dopo, però, tutti sapevano tutto. Dopo quel giorno di aprile, tutti avevano capito ogni cosa. Tutti avevano la loro verità. Tutti avevano in tasca i loro ma chi cazzo te l’ha fatto fare, i loro era solo un tossico, i loro no no da padri che non ci sono mai stati.
Non fermarti, Kurt. Non farli cominciare con le loro stronzate.
Kurt Cobain non era un mito. Ci avrebbe fatto ridere solo l’idea.
Tutti lo ricordano per una quel giorno di aprile. Io invece me lo ricordo per questo aneddoto sulla sua vita che ho letto da qualche parte.
Un giorno Kurt si trovava ad Aberdeen, la città di taglialegna alcolizzati nella quale si trovava bene come un onesto in Parlamento. Cosa non rara, si era trovato coinvolto in una discussione con uno dei suddetti taglialegna in un pub. Il taglialegna aveva cominciato a menarlo. Era una montagna. Kurt invece pesava quanto un bambino, viveva nel giardino degli amici e mangiava quando capitava.
Ovviamente il taglialegna l’aveva pestato a sangue. Kurt però non reagiva. Non faceva niente.
Quando il taglialegna si stancò di menarlo e fece per allontanarsi, Kurt da terra dove si trovava ebbe la forza di sollevare il braccio e mostrare il dito medio, con un sorriso tumefatto. Il taglialegna gli diede ancora addosso. Si stancò nuovamente. La scena del dito si ripetè. Il taglialegna ricominciò a dargliele.
Per tutto il tempo Kurt non reagì. Quando l’energumeno si stancava lui alzava il dito medio e sorrideva.
Alla fine il taglialegna si stancò e lasciò perdere.
Ecco perchè volevamo bene a quel figlio di puttana.
Siamo alla fine della canzone. Eccolo che prende la rincorsa finale. Respira a fondo. Guarda appena il pubblico, e poi si lancia nell’urlo finale. Quell’ultimo verso.
Tu sei ancora lì a chiedergli no, fanne un’altra dai, fanne altre cento. Ma sai che non è così.
All’inizio della canzone Kurt aveva detto, “Fuck you all, this is the last song”.
Aveva ragione.
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