mercoledì 1 febbraio 2012

Quando

Quando Giovanni s'innamorò, molte cose cambiarono nella sua vita. E non parlo solo delle abitudini, che in fondo sono sempre le stesse, al massimo cambiano sfumatura, si trasfigurano.
Anzitutto era cambiata la percezione di sé. Quel senso di inutilità che lo accompagnava da sempre (pur senza turbarlo troppo) diventò addirittura una ragion d'essere, qualcosa da tutelare. L'inutilità l'aveva gettato tra le sue braccia, l'inutilità garantiva tempo e serenità per restarci senza grattacapi. Consapevole che quella situazione non poteva durare, tuttavia ne godeva senza troppe domande. Sentiva di avere un solo talento: cavarsela, in qualche modo. E questo talento, secondo lui confermato da quel 30 al primo e unico esame del primo semestre universitario oltre che da mille altri eventi, bastava a diradare la paura di un futuro da clochard. Non è che avesse esattamente paura di questo, di una vita priva di sicurezze. Aveva piuttosto paura di perdere quell'illusione a lui cara di tornare a casa un giorno lontano, trovarci una moglie amorevole e dei marmocchi cui raccontare della bellavita a vent'anni. Sembrava volesse vivere mille esperienze solo per poterle raccontare a loro. Eh si, purtroppo i buoni sentimenti erano un tarlo vivo nella sua anima.
Comunque non importava, il futuro serviva unicamente a costruire il presente, e probabilmente l'inutilità era lo specchio giusto del futuro.
Era cambiata anche la percezione di sé nel mondo: il caos era padrone, ma era un padrone buono, quasi si scusasse di tutto ciò che per lui succedeva al mondo. Il suo, di mondo, era un caos in cui ogni cosa conosceva perfettamente il ruolo da svolgere, la parte da recitare; le stagioni si confondevano nell'orizzonte milazzese, nel cielo stellato, nelle maniche corte nonostante il freddo, nelle foglie secche che come un acquerello macchiavano la campagna. Ogni giorno sembrava disegnato da un caos "umano", a guardarlo affogare nel passato. E così il susseguirsi del tempo non conosceva deviazioni, piuttosto segnava un encefalogramma che ballava nervoso sullo sfondo di una linea standard. Quella linea, solo e soltanto quella linea preoccupava la sua anima. Andava preservata ad ogni costo.
Era ancora convinto che non ci fosse un senso valido, ma Lei faceva sì che non avesse alcuna importanza.
Lei era la Bellezza, Lei era tempo e stagioni, pioggia sul viso e colori dell'Africa, sapeva di Mediterraneo, sconvolgeva i suoi sensi ogni volta e ancora e ancora e mai ci si poteva abituare alla vista di quelle spalle da dea, di quel seno levigato e timido, di quei fianchi armonici. Un'armonia che nel tempo suonava una melodia.
A volte Giovanni aveva paura. Perché in fondo sapeva bene che senza lei sarebbe stato preda di se stesso, e si conosceva abbastanza da terrorizzarsi. E aveva paura di terrorizzare lei.
Ma lei, con devozione, restava lì, accettava i suoi sbalzi d'umore come se fosse suo dovere, lo stringeva in mille modi, era solida e presente.
Era tutto ciò di cui aveva bisogno, e molto di più.
Così, ritrovando ancora una volta quei riccioli dorati, Giovanni scrisse parole d'amore, certo meno poetiche di un tempo ma, e questo lo ammise a se stesso, mai così sincere.

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