giovedì 9 febbraio 2012

Helena (pt. I)

Il cielo limpido di un giovedì mattina di primavera stava sospeso sulle loro teste. Il Pergamon e gli altri musei accoglievano folle di turisti, il ponte del mercato era trafficato come sempre. E c'era lui, il violinista che con la sua triste musica cullava i suoi pensieri. Poteva sentire addosso gli sguardi dei passanti, i loro sorrisi a vederla così, seduta nella posizione del loto, a occhi chiusi, sul marciapiede accanto a quell'uomo. Lui suonava, sporco, povero e bello; sembrava giovane, aveva il volto e i capelli bruni, una barba ispida ma quasi curata che gli conferiva un'aria quantomeno affascinante, da musicante di strada maledetto. Helena non conosceva il pezzo da lui eseguito, né il suo nome né alcunché della sua vita; sapeva solo che riusciva a toccarle l'anima con quelle malinconiche melodie, e ogni volta che andava ad ascoltarlo riusciva a percepire la vera voce del mondo, agonizzante tra i rumori di un'umanità logora e marcia. Così, tra il frusciare del denaro, i clacson delle auto e gli echi delle bombe in decine di luoghi lontani, Helena ascoltava e assaporava ancora quel sentimento puro e solidale che è la tristezza. Erano le 11, non era ancora passata da Manuel; nulla, soprattutto quella merda, avrebbe dovuto violare il dialogo tra la sua anima e la vita. Lo Sprea conservava quel suo odore aspro, ma la bellezza degli alberi di nuovo in fiore sulle sue sponde purificava le viscere. Per qualche minuto, tutto sembrava bello e perfetto. Poi passava.

Decise di non tornare a casa a pranzo. Aveva un piccolo appartamento a Gropiusstadt, non poteva permettersi molto di più. Era una zona povera, ma non aveva mai avuto problemi. D'altra parte, non c'era di meglio da fare a casa. Decise di mangiare fuori. Contò i suoi risparmi: 22 euro e 70. Non bastavano neanche per un grammo. Decise che nel pomeriggio sarebbe passata da Bastian. Bastian era di Hagen, ma studiava medicina a Berlino. Aveva un appartamento nel suo stesso palazzo e, purtroppo, era anche follemente innamorato di lei. La sua carriera da medico avrebbe vacillato sotto il peso di una tale relazione, visto che Helena non aveva fama di ragazza modello; così Bastian soffocava i suoi gemiti d'amore tra i libri di anatomia e quelli di Nietzsche, mentre l'amata andava in giro a prostituirsi per qualche euro. Comunque non era il momento di pensare a Bastian. Decise di prendere solo un panino dal Siciliano ambulante, un conterraneo catanese che andava in giro con addosso la sua rosticceria. Lo trovò al ponte successivo, alla fine del marciapiede del Pergamon, intento a servire tre clienti.
"Ehi Salvo! Che dici, ci sta uno dei tuoi panini?"
"Signorina, a disposizione!"
Qualcuno rideva a sentirli, chissà perché. A lei non piaceva la gente, aveva sempre l'impressione che ridessero di lei, che sparlassero di lei, che non facessero altro che giudicarsi tra loro. Brutta razza, quella umana. Le persone oneste non bastavano mai, quasi bisognava risparmiar loro il supplizio di una vita pulita. Non c'era molto che l'umanità potesse offrire a Helena, o almeno lei la pensava così da molto tempo. Tuttavia non poteva dire di preferire la solitudine. Da troppo era costretta a sopportarsi senza potersi specchiare, farfalla sbocciata dal guscio, negli occhi di un amato uguale a lei. La polvere del tempo velava i suoi sentimenti, e non restava altro conforto che l'eroina. Terminò il suo panino camminando. Raggiunse la fermata della metro, e nel tiepido primo pomeriggio berlinese si recò, ormai decisa, allo Zoo.

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