martedì 3 gennaio 2012

Due storie di sesso e una notte di capodanno

I

Diana stava sdraiata sul letto. Solo l'abat-jour illuminava flebile le pareti ocra della grande stanza da letto. Il trucco le scivolava sulla guancia, trascinato da lacrime amare, di quelle cariche d'orgoglio ferito. Era il primo appuntamento cui riceveva buca. Non aveva un uomo da quasi un anno. Si sentiva vecchia, finita. Sempre meno uomini ricambiavano i suoi flirt, e l'unico che sembrava starci l'aveva bidonata. Nonostante avesse promesso di offrire lei la cena. Nonostante avesse promesso molto altro ancora con i suoi occhi ardenti. E così piangeva, pensando alla fine dei suoi giorni di gloria e masturbandosi il clitoride per assaporare il dolore, nonostante tutto.

Suonò il campanello. Diana, un po' intontita dal dormiveglia, si alzò e osservò fuori dallo spioncino. Era lui, l'uomo del'appuntamento. Non sapeva come comportarsi.
Si erano conosciuti solo qualche settimana prima. Lei vomitava l'anima nel bagno del Carillon, il must di ogni operaio della zona. Lui era lì, beh, chissà perché. Insomma, si sa come vanno queste cose, le chiese come stava, se era ok e qualche minuto dopo già si erano superati i convenevoli tra un bacio e una mano sull'uccello. Probabilmente l'acido non contribuì alla bella figura del nostro, che comunque strappò un appuntamento per il giorno successivo. Prometteva bene, pensò Diana quella notte, e il suo bellissimo vibratore super 500 aveva il volto di quell'uomo, le braccia di quell'uomo e addirittura l'odore di muffa bagnata di quell'uomo. Quella notte per Diana fu memorabile, provò un orgasmo unico ma paradisiaco, sporco proprio come piaceva a lei.

<< Che cazzo vuoi? Non metti piede a casa mia figlio di puttana! >>
<< Tesoro perdonami, ho dovuto lavorare tutta la sera per comprarti questi fiori! >>
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<< Ti prego, è la verità! >>
<< Fammi vedere quei fiori. >>
L'appuntamento era stato piacevole. Diana ripeté a memoria la parte della donna depressa, frustrata, la nichilista per la quale tutto fa schifo e nulla vale una cicca se non è nero. Raccontò del suo lavoro come cameriera sottopagata in un ristorante col quale pagava l'affitto, del suo sogno di fare l'interprete, dei suoi numerosi viaggi e della sua passione per il punk cosiddetto, senza troppi dettagli. Dal canto suo Riccardo udiva suoni indistinti nel disperato tentativo di non affogare nei di lei occhi da cagna ferita, nella sua pelle segnata dall'acne ma ancora fresca, nel suo collo elegante. Diana aveva lisci capelli rossi (tinti, a quanto pareva), il naso a patata e una graziosa, larga bocca da pompino. I denti erano leggermente ingialliti dal fumo e dall'alcool, ma conferivano una certa grazia peccaminosa e oscura a quel volto così bene incorniciato nel suo oblio. Dal canto suo, Riccardo era un povero disgraziato privo di qualsivoglia istruzione e alquanto stupido, e di sé seppe dire soltanto che lavorava giù all'acciaieria da pochi mesi e che gli piaceva l'ultimo CD di Nino Fiorello. Era brutto, ma aveva dei bei muscoli e la sensazione di abbondanza lasciata in ricordo alla corteggiata la sera prima dalla sua parte. Insomma, finì con uno scambio di numeri e le solite promesse. Anche quel pomeriggio Diana si divertì molto. Si sentiva meno sola adesso con il suo giocattolo.

<< Senti Diana, io mi sono innamorato di te dal primo giorno che ti ho vista, sei bellissima e i tuoi occhi brillano come stelle nel cielo, ho bisogno di te stellina mia! >>
<< Oh tesoro, ero disperata e ora grazie a te ho ricominciato a sognare... >>
Mi piacerebbe che certe porcate fossero solo mia invenzione, eppure le ho lette davvero. I nostri piccioncini si dedicavano a riscaldare l'atmosfera, a bruciare promesse e tante altre cose che distraggono la mente dallo squallore. E, amici miei, dopo solo qualche settimana di messaggini poetici i due già si amavano! E si amavano follemente, in barba a chi dice che non ci si può innamorare via chat! Si desideravano, sognavano la loro vita insieme e aspettavano che l'altro si decidesse a formulare un qualche invito a cena. Un giorno quell'invito arrivò davvero: Riccardo cuor di leone proclamò la sua intenzione di portare al Lunigiana la sua dolce cara Diana, ed ella acconsentì e di gran corsa si vestì! Impaziente, Riccardo l'aveva invitata per quella sera stessa in un impeto di commozione, dimenticando suo malgrado il turno pomeridiano in fabbrica. Poco importa miei cari, adesso viene il bello! La questione è già risolta e i nostri stanno già liberando i loro corpi di quegli inutili ingombranti vestiti che tanto disturbano le nostre fantasie. Ecco infatti il buon Riccardo stringere forte i turgidi capezzoli della sua amata, ecco lei sospirare impaziente, già inghiottita nel risveglio del contatto umano, ecco il suo piatto ventre rasato cercare avidamente il diletto agognato!
Certo, non sembra il ritratto dell'estasi, e dire che lui si da' da fare. S'impegna con tutte le sue forze, si dimena e barcamena come un dannato su di lei, la stringe con le possenti braccia ma nulla, nemmeno una ruga di piacere solca il suo volto.
Che pian piano si trasforma in una maschera di terrore.
<< Tesoro, non sento nulla... tesoro, non sento nulla... >>
Riccardo si accasciò al suo fianco. Mai aveva subìto una tale onta, lui che certo non era un'usignolo, piuttosto un largo pinguino (strano uccello, vero? Chissà a quante di voi piacerebbe...)
E proprio nell'agonia di questi interrogativi egli posò il suo sguardo sul rivale: tranquillo sul comodino, di un fucsia appariscente e dimensioni da pornohorror, fu la risposta che mai avrebbe voluto intuire.
<< Tesoro, non riuscirò mai a competere con lui, non sarò mai in grado di soddisfarti... >>
<< Non so cosa fare... >>
<< Non far nulla. Però dobbiamo dirci addio. Addio, Diana. >>
<< Non puoi lasciarmi così! Non puoi lasciarmi per questo! >>
Riccardo, per sempre ferito nella sua virilità, stava lasciando l'appartamento.
Diana passò la notte peggiore della sua vita, sola e innamorata, a realizzare che si era privata della possibilità di godere con l'uomo che amava.
Riccardo provava a odiare Diana perché l'aveva fatto.
Diana accese per l'ultima volta il suo supergiocattolo, ma non provò la stessa dolorosa estasi di sempre. Fu ancora più bello.



II

“Abbiamo dunque scoperto i geni che codificano l'anima.”

Supponiamo che qualche non-tempo fa Dio, che non aveva molto da fare, abbia visto Universo. Universo era allora una splendida fanciulla concentrata in pochi centimetri di materia; chiunque l'avrebbe desiderata. Dio non resistette, decise di possedere Universo. E Universo partorì se stessa. Dio la ripudiò, scappò terrorizzato. I cromosomi di Dio fecero sì che Universo generasse un universo con un'anima, e alcuni casi particolari ereditarono da padre Dio anche la percezione dell'ego. Abbiamo ereditato da Dio l'egoismo. Universo non perdonò Dio e decise che mai si sarebbe conosciuto dentro di sé. Così quei soggetti venuti fuori con anima ed ego parlarono lingue diverse, idolatrarono alienazioni di se stessi. E quando chiedevano a madre Universo chi era il loro padre, essa si chiudeva nello sprezzante mutismo delle leggi del caos. Dio si accorse che Universo aveva un'anima, adesso la amava e amava il frutto di quell'unione e quanto gli sarebbe piaciuto essere l'oggetto dell'amore di quelle strane creature! Ma adesso non poteva più tornare indietro.
Dio è solo.
Dio ci ha ripudiati, e adesso è solo.
Non esiste inferno, non esiste paradiso. Non singole anime, ma una sola, infinita anima, preservata da madre Universo in stringhe di luce. Così anima è corpo, e la nostra unicità una spiacevole sensazione che offusca le nostre menti. La vita eterna ci appartiene già, Universo ci stringe al suo seno, mai l'abbandoneremo, sempre vivremo protetti in esso, sempre saremo luce.
Sempre saremo
luce
anche quando
smetteremo
di avvitare lampadine.

DIO E' SOLO.


III

Bevvi un altro sorso di Jack. Andava tutto alla grande e lo sentivo. Pensavo a Marco giù in Australia, pensavo alla leggerezza, alle voci, e osservavo serenamente il suo viso. Ero innamorato, lo sono ancora certo. Ho tante cose da dire ma non mi va di dirle adesso. Sto esattamente in quel luogo descritto dal buon vecchio Chinaski, un luogo inutile e tedioso in cui stare a non far altro che esistere. E mi piaceva. Certo, amare ci aliena da una totale pura esistenza. Ma c'è il sesso a combinare le due cose, e allora può andare benissimo. Stavo lì a buttar giù altro whiskey, le guardavo entrambe. Mariaelena, splendida coi suoi ricci, quella pelle morbidissima e quel sorriso bello da racchiudere in sé tutte le gioie del creato; e Marina, che muoveva un fisico da cubista di punta di un night in pieno centro a Milano, due tette memorabili e un sedere non da meno. Marina è tante altre cose, ma in quel momento non è che riuscissi a metterle insieme. Le guardavo e come al solito immaginavo e speravo si baciassero. Chissà perché mi attira così tanto questa cosa. Immaginavo un contatto tipo Betty e Rita in Mulholland Drive, una cosa così. Leggera e paurosamente erotica. Poi mio malgrado decisi di aggiungerci lo stono e la notte diventò fumosa, sfocata. Non ricordo se sono riuscito a dormire o meno, ricordo il suo abbraccio, le voci di altre persone, il mio vomito d'arachidi e poi improvvisamente giorno. Ricordo che è stata una notte psichedelica. Ricordo che non pensavo nulla e proprio questo la rendeva fantastica. Non ho fatto altro che fantasticare il cazzo che volevo, abbracciato a lei. Una gran voglia di scopare e pazienza se Marina doveva guardare, magari le piaceva. Da una notte del genere un bravo scrittore tirerebbe fuori un capitolo. In culo ai bravi scrittori, io avevo solo voglia di ubriacarmi, farmi e scopare. Ma le tre cose non vanno d'accordo. Alla fine mi sono accontentato di carezzarle il viso. E sapete, va bene così.
Buon anno brutti stronzi, sarà la solita merda condita con spezie, ma qualcuno riuscirà a vivere come si deve.
Marco, ti penzo sempre.

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