martedì 10 maggio 2011

L'ARIA DI CASA E DELLA MONTAGNA

Sono le 17.42
di una domenica di maggio. Sono finalmente a letto dopo 18 kilometri "a spasso" tra i monti.
Non è stato facile. Non è mai facile quando non sei allenato. L'unica cosa che puoi fare è contare i danni e notare nonostante tutto di essere ancora intero. In grado di partire di nuovo.



Sono le 17.46
e la luce filtra sempre più opaca dalla finestra. La prima cosa a cui penso, mentre faccio un po' di stretching, sono i tuoi occhi illuminati dalla stessa intensità di luce. Li ricordo così, vivi e sorridenti mentre ti bacio il collo risalendo verso la bocca. Intendiamoci, la luce è l'unica cosa uguale a quel giorno. Per il resto la serranda NON è nello stesso punto (è molto più giù), l'orario NON è lo stesso (è ben prima) e io NON sono appena tornato, ma anzi entrambi aspettiamo un treno per andare via.
Abbiamo discusso per ore. Abbiamo discusso da ieri notte. Abbiamo discusso anche con gli occhi, quando sembrava che con le parole non lo stavamo facendo.
Io ho dato il peggio di me. All'inizio non me ne sono accorto, ma anche quando l'ho notato non sono riuscito a invertire la rotta.
Però poi ti ho chiesto scusa. Però poi ho provato a chiarirmi e a recuperare.
Ti ho detto che anche se ho scoperto di colpo che sai mandarmi in bestia come pochi, io ti voglio e ti voglio bene lo stesso. Ti voglio strana, ti voglio improvvisamente timida senza riuscire a capire ancora oggi il perché. Ti voglio con quella tua risata libera, con quella luce negli occhi. Ti voglio che sussurri il mio nome mentre facciamo l'amore.
Ti ho detto, tra le altre cose, che sono innamorato di te. E tu lo sai, anche se fai di tutto pur di non crederci. Lo sai e sotto sotto mi ascolti. Non continui a scappare e apri le braccia per accogliere me. E così a poco a poco ti sei fatta raggiungere, accarezzare. A poco a poco ti sono vicino e poi siamo sul setto e facciamo l'amore. Eccoli i tuoi occhi, rischiarati dalla luce delle tre del secondo giorno dell'anno.



Sono le 18 passate
e sarà il caso che vada a farmi la doccia. Rovisto nell'armadio sopra il letto in cerca di un cambio, e la prima cosa che incontro è la maglietta arancione che ti ho prestato.
Non avevi vestiti per stare in casa, mi hai detto, ma solo la camicia da notte. Io quasi non ci credevo che tu eri con me in quella casa. Averti in pigiama, o in gonnella, in giacca, in vestito da sera o nuda in cappotto per me non cambiava niente. Avrei fatto l'amore con te tutto il giorno ogni giorno, finché per staccarmi non mi avessi sparato. Avrei fatto l'amore a costo della fame, o del freddo, o della febbre che alla fine ci ha colto, ma non di certo fermato.
Ti avrei cucinato ogni ben di Dio, pur di non veder finire i tuoi baci, avrei comprato e lavato altre mille lenzuola pur di sognare ancora lì sotto. Avrei camminato sulle mani, pur di vederti ancora tirar su la maglietta e scoprire il tuo magnifico seno.
Ho preso in mano quella maglietta, e l'ho annusata. Sapeva ancora di te.

Ti volevo così tanto da annullare chilometri e sognarti già roseo futuro.
Poi di colpo siamo diventati passato senza quasi essere stati nemmeno presente.
Ho perso te e poi la testa. Ma le lenzuola e il tuo odore sono ancora con me.



E' quasi ora di cena,
ma non credo che mangerò. Ti mando un messaggio e ti dico TI PENSAVO. TI VOGLIO BENE. GRAZIE DI TUTTO.

Salvarsi, a costo di soffrire anche tanto.
Salvarsi, e poter partire di nuovo.

1 commenti:

stanza117 ha detto...

ti ciedo scusa Edoardo perchè mentre leggevo il tuo post me ne sono appropriato...ho sostituito i personaggi del "tuo film" e ho messo quelli del "mio film" ma la trama non l'ho toccata tranquillo, purtroppo, sono stato fedele alla tua..
Per farmi perdonare ti offro un giro di moijto al bar della hall... ti aspetto per brindare a noi, ai nostri film e a quegli occhi che ci portiamo dentro!
V (stanza117)