lunedì 24 gennaio 2011

Amici miei




Proverò a spiegartelo, perchè per me è tutto chiaro, ma so che per te non è così.

Io sono quello che vive tra le pagine. Che quando torna a casa con un libro nuovo, ha ancora quella curiosità che ha perso per tante altre cose. Che un libro nuovo, per me, è quello che per te può essere il telefonino, la tv al plasma, il computer.

Io sono quello che in libreria può passarci le ore. Nonostante stiano diventando anch’essi dei puttanai, nonostante tutta quella carta sprecata in pessimi libri mi faccia sentire più ambientalista di Greenpeace, lì dentro perdo la nozione del tempo. Tu vai pure al cinema, fai un giro al centro commerciale, vai per negozi. A me, però, lasciami qui.

Per me, quei nomi sulle copertine erano persone vere. Li immaginavo tridimensionali, con la loro stupenda follia, i loro abissi, i loro problemi, il loro vivere, in un modo più vero delle persone vere –così come la voce della tua radio preferita sembra più precisa, più pulita, più credibile.
Loro parlavano, ed io li stavo ad ascoltare affascinato. Ero un giovane vecchio, e in quei momenti rivivevo un’altra infanzia. Imparavo cose che nessuno mi avrebbe mai insegnato. Scoprivo che c’erano dimensioni diverse, persone diverse, diversi cieli e mondi. Capivo che non era tutto lì.
Sognavo, in una parola.

Per me, Fante e Bukowski sono stati degli amici. Kerouac, un ottimo compagno di viaggio. Dostoevskij, un maestro geniale che sapeva sorridere.
Salinger, una persona a cui ho voluto bene.
Gli altri andavano a ballare ed io leggevo i racconti di Carver. C’era l’inaugurazione di quel locale, ed io mi perdevo nelle magnifiche chiacchiere di Miller.
Sentivo in giro discorsi banali, stupidi, poi tornavo a casa e leggevo Cèline, leggevo Kafka, leggevo Pirandello, e mi sentivo bene.
Sentivo che non ero solo.

Io sono quello che trovava eccitante il periodo dei Beat, quando ancora erano dei ragazzi sconosciuti che volevano cambiare il mondo con le parole. Che trovava una spinta nei vagabondaggi parigini di Hemingway, nei chilometri macinati a piedi da Rimbaud, nelle parole affamate di Hamsun. Tutte cose che mi facevano esaltare di più della partita della tua squadra, dell’elezione del tuo partito, delle tue vittorie di mezz’ora.
Non capisco il tuo gossip, ma ho sempre capito cosa volevano dirmi Cechov, Turgenev e gli altri russi.
Tondelli e Buzzati mi hanno fatto essere orgoglioso di essere italiano più delle vittorie della tua Nazionale. Kerouac e Baudelaire mi hanno fatto venire voglia di andare.
Orwell e Camus mi hanno fatto riflettere più del tuo giornale.
Fante mi ha fatto ridere più del tuo film di Natale.

Questi nomi, per me, hanno voluto dire qualcosa. Hanno voluto dire tanto. Continuano a farlo.
Ho bisogno di pensare che c’è stato qualcuno di Grande, perchè mi permette di respirare sotto questo cielo. Mi permette di sognare. Mi permette di pensare alla prossima evasione.
Perchè per me la vita senza quelle parole, quelle pagine, quella poesia, quel dolore e quelle risate, non so se si potrebbe ancora chiamare vita.
Per me non erano solo cose da mettere sul comodino, da sfoggiare, da usare per rimorchiare. Lo capisci?
Capisci perchè non mi rassegnerò, perchè non mi accontenterò mai, perchè non sarò mai come gli altri?
Capisci perchè voglio provare anch’io ad essere su quelle copertine?
No, probabilmente no. Allora ti chiedo uno sforzo. Cerca di capire il più possibile, e di accettarlo per com’è.
Tutto quello che non riesci a capire, fallo rientrare nel grande mistero dell’essere Uomo. Ognuno ha il suo modo di esserlo.
Questo è il mio.

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