lunedì 21 maggio 2012

La notte in cui cominciammo a perdere




Mercoledi’ saranno trascorsi 20 anni esatti dall’attentato a Giovanni Falcone e la sua scorta. Sono sicuro che per il ventennale tutti tireranno fuori i fazzoletti e qualche frase retorica, un piccolo ricordo, una banalita’ loffia e due e tre promesse dal sapore di cazzata che si perderanno nel vuoto dei prossimi 20 anni.
Immagino che le foto di Falcone siano dappertutto, trasformate in gadget e magliette e foto ricordo –che suonano un po’ strane, visto che a noi italiani non piace ricordare. O meglio, ci piace ricordare a modo nostro.
Non sono un fan degli anniversari. Primo, non me li ricordo mai, e secondo, non ho ancora ben capito a cosa servano. Eppure questo ventennale mi da’ un’idea atroce e potente del tempo che e’ passato, molto piu’ di altre morti, altri anniversari, altri ricordi. Non so bene come mai. Forse perche’, nel caso di Falcone, ti rendi conto di quanto tempo puo’ passare senza che niente cambi davvero. Di come te lo possano cambiare quel tempo, come te lo possano deviare. Come te lo possano rubare, in ultima analisi, e tu che ancora cerchi di capire come hanno fatto.

Potevano essere diversi questi 20 anni. Ora possiamo solo guardare a quello che non e’ stato.
20 anni fa ero nella mia stanzetta di Big Sur, calda serata di maggio, e avevo solo qualche vaga idea di chi fosse questo Falcone. Per me, appena 12enne, era solo uno dei tanti nomi che senti al telegiornale, tra un pasto e l’altro. Poi quel giorno i telegiornali impazzirono e quel nome venne ripetuto mille volte.
Io ne sapevo poco, dico la verita’. Sapevo quello che dovevo sapere, e tanto mi bastava. Mi chiedo quanti sono rimasti cosi’, in questi 20 anni.

Ricordo una cosa di quella sera, una sensazione molto vaga: quella di fare parte, per la prima volta, di un’isola piena di ombre. Il sole lo vedevamo tutti, ogni giorno –e quel 23 maggio sembrava gia’ estate. Ma delle ombre non sapevo che quello che vedevo in tv. Poi la tv si era aperta ed era diventata la nostra realta’, squarciata dal tritolo, dai commenti, dai pianti in diretta, dalle edizioni straordinarie.

Bene, ho pensato, ci siamo tutti su questa barca. Non e’ solo un tizio lontano saltato per aria. Questa cosa, lo sentivo, ci riguardava tutti, in qualche modo che non riguardava solo il ’92 o la lotta alla mafia. C’era di mezzo l’Isola che ride e uccide, che ti fa innamorare ma non perdona. Di qualcosa di pulito, che ormai non lo era piu’.
Qualcosa cominciava a finire, quella sera. Nell’aria la minaccia era che l’avremmo pagata cara per quello che era successo. Avremmo smesso di sentirci cosi’ fortunati, cosi’ immortali. Qualcuno avrebbe sempre messo un ostacolo ai nostri sogni. O con noi o contro di noi, ci dicevano quella sera.

I conti sarebbero arrivati, in quell’Isola dalla quale a volte si deve partire, senza poi essere cosi’ sicuri che esista un posto al quale tornare. Quei conti li avrebbero pagati sempre quelli sbagliati. Gli altri, per 20 anni sono rimasti dov’erano.
Da quella sera avremmo continuato a provarci e a farci il culo per questa terra perche’ qualcosa ci univa, come un trauma in comune che non avremmo mai superato.
C’erano delle lezioni, in quello che era successo quella sera, ma nessuno di noi aveva voglia di imparare.
Il tempo, poi, ci ha bocciato in tanti.
E non parlo solo di bombe, di morti: parlo di tutto quello che ci siamo lasciati fare, in nome di una cultura, di una mentalita’, di un silenzio che non sono mai stati i nostri, ma che abbiamo ingoiato e poi ci siamo fatti una granita che ne lavasse via il sapore.

Ci siamo sempre vantati di essere diversi da tutti, di essere speciali, di vivere tra la Bellezza. Abbiamo pure chiuso il cratere a Capaci e ci abbiamo messo sopra una bella targa, per dimenticare piu’ in fretta.
Come se niente fosse mai successo.
Come se niente succedesse mai.

Al ventennale diranno tante cose, perlopiu’ vuote e stupide, ma non diranno quello che noi sentiamo da allora: e cioe’ che quella bomba non ha mai smesso di fare rumore, nelle nostre orecchie.
C’era della speranza che finiva, quella sera di maggio.
Pochi mesi dopo tocco’ a Borsellino.
Ma questa, come si dice, e’ un’altra storia.


2 commenti:

Neveesogno ha detto...

vent'anni... l'anno scorso scrissi già dov'ero io...
e..se anche quella bomba non la ricordo...faccio parte di quella generazione che a quella bomba è particolarmente legata... l'ho sempre vista anche come un punto di partenza, illudendomi che da quel boato potessimo uscire vincitori... ma non è così. siamo un'Isola che non è mai stata pronta ad esserci... ci crogioliamo nella Bellezza che deturpiamo con il nostro stesso pensiero... mi hanno sempre detto che bisogna estirpare quella cultura lì, ma crescendo ho capito che quella cultura lì e il modo stesso di vivere di quest'Isola... volgere lo sguardo alla bellezza e spegnersi... percorro spesso quella strada... e a dir la verità non guardo quasi mai quella targa...
è più che altro sentire quella strada sotto le ruote, stringere le mani sul volante così forte da volerlo staccare...
nonostante i vent'anni quella strada è ancora densa di sangue e ricordi e ceneri e polveri... l'asfalto nuovo non copre nulla... le migliaia di macchine non riescono a grattare via l'inquietudine...

mercoledì sarò a casa, non penso che andrò al corteo, sarò lontana dal centro, lontana da quell'albero...sarò in camera a studiare per realizzare il sogno di continuare il suo, il loro lavoro.. le commemorazioni ipocrite non mi importano... Palermo ha già le sue lenzuola bianche ai balconi.. e questo basta.
è la più giusta, silenziosa, onesta commemorazione...

sono passati vent'anni eppure molti fascicoli sono rimasti segreti.

sono passati vent'anni eppure questo popolo non ha capito.

sono passati vent'anni eppure oggi in piazza due signori anziani hanno detto "io i prodotti che vengono dalle terre confiscate non li mangio con gusto..."

sono passati vent'anni eppure il tempo ha solo sorvolato quest'Isola.

sono passati vent'anni e, per fortuna, sta crescendo la generazione di chi non ha paura di dire quella parola, non ha paura di ammettere di essere un popolo asservito alla cultura mafiosa; non ha paura di trasformare la Sicilia nella terra dell'antimafia; non ha paura di dire che da quel 23maggio1992 non è cambiato niente...eppure bisogna fare qualcosa... ma forse non siamo ancora la generazione del fare.

tieni botta...

Laura ha detto...

Mentre ti leggo ho le lacrime agli occhi. Grazie.