lunedì 8 agosto 2011

Zango Notes: Verso Sydney



Aeroporto di Catania. Stordito. L'altoparlante sopra le nostre teste dice qualcosa alla folla eccitata, triste, emozionata, ci dice che questa e' la nostra vita, e ogni passo crea un grosso solco in avanti e indietro, a destra e sinistra.

Siamo vitelli che piangono se vengono mandati al macello, e piangono se non ci vanno.

Arriva sempre quel momento in cui il viaggio mi risveglia qualcosa, particelle sopite che vengono a galla e mi fissano incredule come a dire, ma come cazzo hai fatto a stare senza di noi TUTTO QUESTO TEMPO? Non si tratta di felicita' o star bene, e' piu' un fatto di ritrovarsi in un elemento familiare. Ritrovo la gente al suo top, prendo note mentali di deliri e banalita'. Mi sento piu' giovane, come se avessi tra le mani un elemento vitale capace di dare un valore diverso al tempo.
I sobborghi squallidi fuori Roma, le case come abbandonate, e poi attraversi un campo di girasoli sotto i raggi gialli e sorridenti, e ti parla delle persone che ti sei lasciato dietro. Ti chiedi cosa stanno facendo adesso. Per loro e' tempo di pranzo, forse.
Per me, e' tempo di viaggiare.

Quando viaggi, il tempo si fa fisarmonica, dove le pieghe si allargano e contraggono in maniera esagerata per farci entrare tutto, le date si confondono e alla fine resti con una sinfonia un po' malinconica e vitale di facce luoghi risate brevi follie chilometri di strade e altri cieli.

Siamo tutti professionisti in queste notti romane, a mandare giu' birre e shottini restando piantati sulle nostre gambe, a ridere di tutto e tutti, a meravigliarci in silenzio, a lasciarci passare da arcobaleni di ragazze, a prendere la notte a braccetto fino alla prossima birreria, a farci benedire dai vicoli.
C'e' un'energia incredibile, le frasi tenute in gola durante il giorno che ora vengono fuori tutte assieme, frenetiche e sudate. Ogni notte, qui, e' la prima e l'ultima della serie. Sussurriamo porcate alla luna, passando rasenti a muri pieni di storia e graffiti, e la prossima meta e' solo un prurito che la strada risolve per te.

Roma mi ha fatto cambiare idea su di lei 3 o 4 volte, come una donna che devi veder passare ripetutamente prima di capire le sue magie e le sue trappole, come un ex che ogni volta viene fuori con qualcosa di nuovo che ti affascina come non ha mai fatto quando stavate insieme.

Dubai, 7 di mattina. Sempre piu' convinto che l'aeroporto e' luogo di solitudini portate a spasso: chi le condivide, chi le fugge, chi le ricerca. Ma le facce che incontri parlano da se'. Strappati alle abitudini e alle nostre storie, siamo quello che siamo -e quello che siamo, preferiamo spesso non saperlo.
L'aeroporto e' un posto a meta', e forse lo odio per questo. Lo odio perche' e' come me.

A Bangkok la temperatura esterna e' di 32 gradi (sono le sette di sera), ma anche quella interna non scherza. Evaporiamo piano in una sera che per noi e' notte fonda, in uno scalo fatto quasi di nascosto. Sudiamo tra i murales improbabili dall'aria di kamasutra e i finti tempietti buddisti -che ancora non hanno nessun paragone con le navicelle UFO appese sul soffitto dell'aeroporto di Dubai senza nessun motivo al mondo.
A Dubai quelli che ci lavoravano sembravano scazzati, arrabbiati per qualcosa che sembravamo aver fatto noi. Forse era colpa dell'ora, o perche' eravamo demoni occidentali, chissa'.
A Bangkok va un po' meglio, e meno male perche', dopo averci fatto uscire inutilmente dall'aereo che poi ci portera' a Sydney solo per poterlo rifornire, dobbiamo ripassare dal check-in dove un tizio untuoso ci rispiega come passare la roba nella macchina a raggi-x, come se fosse la nostra prima volta. Chissa', magari per qualcuno lo e'. Io ormai conosco bene questo aeroporto, e sono stufo di vedere l'Asia da un vetro. E' la prossima tappa per me, lo so, lo sento.
Siamo stanchi in queste sette di sera che sanno di tre di notte. All'ennesimo controllo al gate, una thailandese sui 27 non riesce a trovare la mia foto nel passaporto, si sfoglia il libretto pagina per pagina.
"Mi nascondo bene, eh?" le dico in inglese. Lei sorride come fanno loro, come se la risata le dovesse scivolare sul collo e da li' al petto. La saluto e lei mi fa "Buon viaggio, mister Marco", con un gran sorriso.
Questo salva la sosta in terra d'Asia.
Ora restano "solo" altri 7.500 km fino a Sydney.

Che la Notte d'Asia sia buona con me
Che abbia la pazienza di starmi ad aspettare
in questa orgia di partenze e continui ritorni
Che la hostess venga presto
a sculettare un'altra ordinazione

"Film divertente, non e' vero?" dice il ciccione accanto a me, indicando il mio schermo.
"Neanche un po'", penso, ma il ciccione ha voglia di parlare, e io ho voglia di ascoltare qualcosa che non siano queste fregnacce hollywoodiane. Mi dice che e' un kiwi (Nuova Zelanda), mi racconta di lui, della moglie, dei figli. Mi dice di scommettere sull'Australia, alla prossima Coppa del Mondo di rugby. Sapevo forse che c'era la Coppa del Mondo tra poco?
"Mi spiace" dico io, "ma da italiano, di Coppa del Mondo ne conosco solo una"
Lui ride e ordina un Jack Daniel's. Faccio il paio con lui e brindiamo a questo mondo piccolo e senza fine.

La prima volta che sono andato in Australia, nel 2007, era il giorno dopo il primo V-Day organizzato dal Grillo, con migliaia di gente in piazza. Adesso sullo schermo dell'aereo appare la notizia che l'Italia e' sull'orlo del default economico.
Dopotutto, sono stati loro a mandarci affanculo.

Accanto, dall'altra parte, c'e' una donna italiana con la figlia, entrambe esauste per i due giorni di viaggio. Mi dice che va a vedere i suoi, dopo 7 anni che non li vede. Col marito si sono conosciuti in Australia, e poi mesi e mesi di lontananza finche' lei ha detto, o ci sposiamo o ci lasciamo. E' andata la prima. Nella sua faccia pallida non trovo ne' conferme ne' smentite alla bonta' di quella scelta. Il neozelandese mi augura tutto il meglio, e io gli auguro di vincere la Coppa del Mondo, quale che sia. Lo schermo indica che il nostro aereo ha esaurito la sua corsa. La linea gialla del tragitto copre mezzo globo. Siamo arrivati, anche se siamo troppo stanchi per ammetterlo.
La porta si apre. Uscendo, vado a lavare i denti al bagno, e lo trovo pulitissimo. Fuori e' pieno di cartelli con su scritto cosa e' vietato fare. Sorrido. Sono tornato.
Il tizio ai passaporti, mi chiama anche lui mister Marco.
Ma la thailandese era meglio.

1 commenti:

Anonimo ha detto...

UNO DEI TUOI MIGLIORI POST.
GRAZIE MARCO.
LAURA