mercoledì 15 dicembre 2010

Gentile Sig. XXX

Gentile Sig. XXX,
le scrivo questa email dopo aver ricevuto una telefonata di mio zio che mi ha dato il suo indirizzo. Mi ha detto che lei magari può trovarmi un lavoro.
Devo confessare che, nonostante la crisi di cui si sente parlare e nonostante quello che ho imparato nella mia tragica esperienza come giovane disoccupato in cerca, credo che lei possa trovarmi un'occupazione. Magari non c'è, ma chissà che allora non la tiri fuori dal suo cilindro come fosse un gioco di prestigio. Sono sicuro che un numero del genere è nelle sue corde. E questo mi fa anche un po' paura.
Ad essere sincero non mi sento affatto felice per questa cosa. Per questa lettera che le sto scrivendo, intendo. Mi sento imbarazzato, abbastanza a disagio. Mentre le scrivo, penso che forse non dovrei mandargliela questa lettera. Forse dovrei mandargliene una diversa, una di quelle che magari è abituato a ricevere. Una di quelle dove si saluta con calore una persona che non si conosce affatto, dove si cita l'influente persona in comune e dove si descrive brevemente le proprie caratteristiche, inonando il tutto con l'aggiunta di enormi qualità personali e l'orgoglio di essere un candidato imperdibile per qualunque azienda.

Già, ma quale orgoglio?

Mi viene in mente, Sig. XXX, che se in fondo io devo ricorrere a lei forse il lavoro non me lo sono meritato. Per qualcuno potrebbe essere un ragionamento stupido, e lei forse penserà che sono un grandissimo idiota. Be' guardi, non sarò io a dire di no.
Ma alcune considerazioni mi portano a riflettere.

Ho messo annunci sul web, ho stampato volantini, ho chiesto agli amici, ma lei non c'entra nulla con tutto questo. Lei è entrato nella mia vita come un fulmine a ciel sereno, come un regalo di Natale che però non era nella mia lista di richieste. E non è che ci siamo imbattuti casualmente per strada, il nostro incontro non è frutto nemmeno della sorte. Il nostro incontro, non se ne abbia perché lei appunto non c'entra niente con tutto questo, NON HA NULLA A CHE VEDERE CON ME.
Certo è che di un lavoro io ne ho bisogno, e lei rappresenta una potenziale risorsa.  Ecco perché mi genera una non indifferente lotta interiore. Dovrei cogliere l'attimo, dare un calcio alle palle all'orgoglio, annientare quel senso di decenza che mi appartiene. Fatto questo, io sarei a sua completa disposizione. Eppure non le nascondo che ho qualche difficoltà, a farlo. Non mi riesce facile leccare il culo a qualcuno, figuriamoci a uno sconosciuto come lei.
Già, perché io non la conosco. Io non so proprio un bel niente di lei. Non so cosa fa la domenica dopo pranzo o per quale squadra tifa, non so che faccia abbia, se sia un cinquantenne calvo e rugoso con l'alito cattivo o se invece è un sessantenne strafigo che non dimostra più di quarant'anni. Ma lei, sig. XXX, ce l'ha dei figli? E che lavoro fanno? Gliel'ha trovato lei nell'azienda di famiglia? No, non ci trovo nulla di male. Cazzo, sono i suoi figli! E se vogliono lavorare nell'azienda di famiglia buon per loro.
Ma il punto è proprio questo: io non sono suo figlio. Io non la conosco. Non conosco il suo aspetto, il suo carattere, le sue imprese, E lei non conosce me. Forse non ha nemmeno sentito mai parlare di me. Forse mio zio mi ha dato i suoi contatti ma non l'ha ancora avvertita. Funziona così, tra managerZ...
Non sono stato nemmeno io a cercarla. Nemmeno indirettamente. Non ho chiesto a mio zio di aiutarmi. Non gli ho detto niente, a mio zio. E benché la mia situazione non sia top secret agli occhi della mia famiglia, non mi sono rivolto a nessuno dei miei parenti.

Qui forse è il caso di darle una spiegazione veloce.
Se cerco lavoro è solo perché voglio andare via da qui. Non dico "per diventare autosufficiente", io voglio un lavoro e dei soldi per "poter andare via e non guardarmi più indietro se non quando lo vorrò io". Non so se è chiaro. E allora immagini che il lavoro, l'anello mancante tra la mia realtà disagiata e la realizzazione del primo di una lunga serie di sogni, me lo trovi qualcuno che fa parte di persone con cui non vorrei più avere a che fare. Bella roba, eh?
Magari lei potrebbe. Magari lei pensa di consigliarmi di fare buon viso a cattivo gioco, di prendere e mettere in banca che qualcosa torna utile comunque.
No, non ci siamo capiti. Io non ne sono capace. Credo che nella vita di ognuno ci siano cose che si possono tralasciare e cose che devono essere nette, perché hanno a che fare coi bisogni primari. E quello di andarmene da qui, di chiudere e -al limite- riaprire alle mie condizioni, è il più primario dei bisogni. Viene assieme alla fame e alla sete, all'impellenza di svuotarmi l'intestino o la vescica.

Insomma Sig. XXX, io questa email non volevo nemmeno mandargliela; che senso ha avuto scriverla? Forse gliene scriverò una versione più "sobria", o più "falsa", faccia lei che in questo caso è lo stesso. Le scriverò un'email dove a parlare non sarò io, e le parlerò di un'altra persona ancora. Un tipo che è la migliore risorsa del mondo, solo che il mondo ancora non lo sa.
Magari da quell'email arriverà un'occupazione, e crederemo di essere tutti felici. Magari, chissà, saremo felici davvero. Magari ci incontreremo per un colloquio informale in un bistrot a Milano, con la scusa di un aperitivo. Magari mi piacerà moltissimo e diventeremo grandi amici. Potrei addirittura pensare di sposare una sua figliuola, se ce l'ha, e -perché no- entrare anch'io nell'azienda di famiglia. Potrebbe nascere di tutto, dall'email sobria che comincerò a scriverle non appena avrò finito di scrivere questa.

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