lunedì 14 novembre 2011

Parla con me

Parla con me – 24-09-2008

La ragazza col bicchiere d'acqua...
Si?..
Se sta un pò di lato è forse perchè sta pensando a qualcuno..
Mh..a qualcuno del quadro..
No.. piuttosto a un ragazzo incontrato altrove..ma...lei ha l'impressione di essere un pò simile a lui..
In altri termini lei preferisce immaginare un rapporto con qualcuno che non c'è piuttosto che creare un legame con quelli che sono li con lei..
Magari è il contrario...si fa in quattro per risolvere i pasticci della vita degli altri.
Si, MA LEI? dei pasticci della sua vita chi e che se ne occupa?
Si ma... è meglio consacrarsi agli altri che a un nano da giardino..


Sette anni fa circa, in un giorno di ottobre mi pare di ricordare, la nuova professoressa di italiano ci portò i compiti che avevamo fatto la settimana prima, corretti. Era tutta un'emozione perché era nuova e aveva una delle peggiori reputazioni della scuola: severa, rispettabile, tostissima. La tensione era palpabile, arrivava al limite del terrore per alcuni, quelli che di scrivere non ne volevano sentir parlare; gli altri, quelli che un po’ se la cavavano, stavano in quella condizione psicologica nota come “ansia da prestazione”. Ci dicevamo: "Sta tizia ha letto i nostri scritti passati, ha letto le nostre pagelle, un'idea se la sarà fatta e avrà agito di conseguenza". O almeno è quello che si sperava.
Le mie mani sudavano mentre il compito, partito dall'ultima fila, di mani in mani, sudate quanto le mie, arrivava finalmente, un po’ più umido di quando era partito, sul mio orgoglioso primo banco.
Mai stata secchiona io. Per questo mi ero imposta di mettermi al primo banco. Per autolimitarmi. Per autodisciplinarmi. Perché la mia attenzione sarebbe dovuta essere costante dalle 8,10 alle 13,30 (intervallo escluso).
Il mio compito dunque arrivò, piegato a metà. Non c'era scritto nulla, dovevo solo girarlo e, accanto al mio nome e cognome, avrei trovato il voto scritto con la penna rossa.
Le facce attorno a me iniziavano a scurirsi, come se un'onda gelida da quell'ultimo banco ci avesse investiti tutti, fino al primo banco.
Respiro profondo. Aspetta aspetta. Non posso guardare. Altro respiro profondo...

...

...

3.

...

Tre?

Che significa tre? Sai quando ti cade in testa un punto interrogativo che sa più di un'incudine da 100 tonnellate alla Willie Coyote? Ehi scusa tu...professoressa dei miei coglioni! Tu non sai chi sono io! Io avevo 9 in italiano sai?

...

Poi rifletto... avevamo fatto andare via la vecchia prof. di Lettere perché secondo noi era ignorante. Mh...rifletto ancora... Ma se lei era ignorante...i nostri giudizi saranno stati mica falsati dalla sua ignoranza...Nooooo!

Allora mi alzo di scatto diretta alla cattedra, supero gli zaini a terra, mi divincolo dalla mano che cerca di afferrarmi la spalla (era la mia amica paura), arrivo davanti a lei e...

Sorrido.

Cara, amatissima professoressa, per quale cazzo d motivo (no, questo non l’ho detto) mi ha messo 3 al compito di italiano, avendo inoltre avuto il coraggio di rovinare l'arte grafica del mio tema su TUTTE le facciate e TUTTE le righe con la sua preziosissima penna rossa? Eh?! Mi dia una motivazione plausibile, oltre ogni RAGIONEVOLE DUBBIO.

Noemi, mi dice. Mi chiama per nome lei.

"Noemi, tu non hai il minimo senso della sintassi, non c'è mai un soggetto definito nelle tue frasi, è illogico, completamente evanescente, capirei questo scritto solo se ti leggessi nella mente.
In altre parole, tu SCRIVI COME PENSI"
.

Un groviglio senza né capo né coda, io che mi faccio 10 miliardi di pensieri al nanosecondo, scrivo di immagini senza volto, di luoghi senza colore, di emozioni senza cuore, di pensieri senza logica.

Ho continuato a scrivere così per parecchio tempo, nonostante fossi diventata col tempo e l'esercizio abile maestra nell'analisi del testo, tanto che all'esame di stato mi ero avventurata in una solitaria strada alberata che portava a un cantico del paradiso di Sua Santità Dante Alighieri. Nonostante la stessa amatissima prof, avesse sconsigliato a tutti di avventurarsi per quella strada, specie senza suggerimenti, libri, dizionari o supporti orali.

Uno scontro con la lingua italiana in persona.

Quindicisuquindici.

Probabilmente scrivo così ancora adesso. Ma il blog mi da la possibilità di fare meglio.

Questo post è dedicato ai miei compagni di viaggio.

Qual è la REALE ragione che ci spinge a scrivere su un blog? A scrivere delle nostre vite, dei nostri pensieri sul mondo, su una monetina, su una pietra che saltella sull'acqua, sul suicidio cellulare, su una vecchietta che si sente male in chiesa, sui nostri genitori, sui viaggi, gli anfibi, le matite, le serate alcoliche.

Qual è lo stimolo che ci spinge a condividere?

Cos'è la condivisione? Cosa l'ermetismo?

Abbiamo bisogno di farlo uscire, di palesarlo ai nostri occhi per palesarlo alla nostra coscienza, come quando diciamo qualcosa a qualcuno per ammetterla a noi stessi.
Abbiamo bisogno di leggere il commento sotto, per ampliare il concetto, per trovarne nuove chiavi di lettura, per trovare lo scontro, l'opinione opposta e integrarla nel pensiero finale, per tirare le somme.
Per trovare approvazione.
Per trovare calore.
Per trovare un sorriso che ci immaginiamo fatto ad un monitor, un battito di cuore accelerato non udibile se non al nostro petto.
Per superare le nostre privatissime solitudini.
Per tentare l'esperimento della comunicazione con il filtro del monitor quando quella nel mondo reale è stata fallimentare o non del tutto completa. E non perché siamo dei disadattati. Forse qualcuno si. Magari perché ci siamo sempre crogiolati nella nostra solitudine mentale, nel nostro sentirci diversi. E per chi non è riuscito a porre rimedio a questa condizione, costruendo dei rapporti di vera comunicazione nella vita privata, il dialogo, col tempo, è diventato monologo.

E il cuore diventa secco e fragile, direbbe l'uomo di vetro.

Abbiamo bisogno di scriverlo per rileggerlo, emozionarci dell'emozione, del ricordo, imprimerlo su carta o lanciarlo spedito nell'etere, come a conservare quell'attimo preciso, quell'emozione precisa, quella lacrima precisa, quella risata precisa. Quella, non un'altra presa a caso nell'infinità dei nostri ricordi.

Perché poi è tutto un incedere, una cavalcata di minuti che passano, e mentre sei nell'autobus e hai il lampo di una considerazione inizi a sorridere, inizi a pensarla come già scritta, inizi a pensare come scrivi.

E quella carissima e amatissima prof. dalla penna rossa la vado a trovare tutti gli anni a settembre e a maggio, tutti gli anni, nella mia vecchia scuola. Ci raccontiamo i progressi, conosce la mia vita. E l'altro giorno mi ha detto che quello che ho fatto e che sono diventata è straordinario e che farò cose grandi nella vita. Quasi piangevo.

P.S. Questo post l'ho scritto come l'ho pensato. Mi sono presa questa libertà. Non me ne vogliate.


Nuovo P.S. Questo post è datato 2008, è una edizione re-mastered. E io? Io sono Morgana. E sono rimasta dieci minuti col mouse sul pulsante "Pubblica post" prima di pubblicarlo davvero.

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