giovedì 6 ottobre 2011

A noi ce rode sempre un po’ er culo, ma finisce sempre che ce ne famo ‘na ragione.

IL 769 non ha tardato. Ci salgo con un attenzione e un po’ di spensieratezza. Questa volta sì, dopo tempo immemorabile in cui salirci significava aver atteso decine di minuti. Significava essere in ritardo. Significava essere incazzata, perché in fondo non ci si abitua mai ai disguidi giornalieri.

Ora che lo prendo mi sembra che ogni singola strada sia lì, per dare un ordine al caos dei romani. Le strade sono i soli punti fissi dei vortici quotidiani. Sopravviverci significa anche sapervi districare.

I romani sembrano sempre incazzati. In realtà sono solo arresi. Al traffico. Alla confusione di giovani che schiamazzano sugli autobus e agli stronzi che superano chi sta in fila davanti a loro. Alla gente distratta che si ferma in mezzo alla strada. Alle macchine che non si fermano davanti alle strisce pedonali. Sono arresi alle regole a cui non si attiene nessuno. Alle stronzate legalizzate. Ai cambi di programma imprevisti, che le circostanze li portano ad accettare. Alle imprecazioni di chi è incazzato come e più di loro. Al postino che suona solo per portar loro le multe salatissime del Comune di Roma. Al tizio che vuole vendergli il folletto, ancora in giacca e cravatta, per darsi un tono, quando appare più mediocre di qualsiasi precario sottopagato.

L’autobus si ferma ad ogni fermata, dove sale sempre qualcuno, ma spesso non scende nessuno. Si riempie lentamente, sovraccaricandosi, tra l’altro, di umori, impazienze e odori.

I romani rivolgono gli occhi al cielo quando stanno male. Spesso trovano la luce. Il cielo sereno, aperto, azzurro. Spesso scorgono l’orizzonte, perché Roma è anche piena di parchi e strade immense che si fanno spazio tra quei grovigli di quartieri popolari. Spesso si dissetano, fermandosi in una dei numerosissimi nasoni, da cui sgorga sempre acqua fresca e buona. Più buona di qualsiasi acqua minerale buona. Si rinfrescano il viso e sospirano. A volte poi si guardano attorno con occhi diversi, come capita di fare a me, che qui ci vengo solo di passaggio ultimamente. C’è tanta vita intorno a loro, anzi è pieno di vita. C’è sempre un rumore di sottofondo. Un passante che fuma. Un passante che ti rivolge la parola. Che sorride o grida al telefono.

Scendo dall’autobus alla fermata della metro S.Paolo. Attendo un’amica davanti all’edicola. Il giornalaio canta. Col tono di chi è arreso ma, in fondo in fondo, gli va bene pure così. E mi guarda come a dire "tanto che dobbiamo fa?".

A noi ce rode sempre un po’ er culo, ma finisce sempre che ce ne famo ‘na ragione.

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