mercoledì 4 agosto 2010

Isola



Durante i miei giorni sull’Isola ho scritto alcune poesie, e poi ho pensato una cosa: che in fondo non si smette mai di scrivere poesie. La poesia è meno eterea di quel che sembra. Vive dentro di te, o meglio, tu vivi attraverso la poesia. Pensandoci bene, non esiste altro modo di vivere.
Non ho mai smesso, e forse le uniche volte che mi sono fermato è stato proprio quando mi sono avvicinato alla forma-poesia, sapete, parole in fila, in versi, in paragrafi, quella struttura che per quanto vivace e moderna è sempre troppo poco per contenere tutta l’immensa vita, tutto quel mondo lontando dal mondo, tutta quella follia quella risata quel sesso all’aperto che una poesia di solito contiene. Ho scritto poesie proprio quando non ne stavo scrivendo nessuna. E continuo a pensare che sono le mie migliori.

Sull’Isola ho pensato che, in passato, ho scritto poesie per diversi motivi: per mettere su carta le parole che mi giravano dentro, per conquistare le ragazze, per darmi un tono, perchè mi andava, perchè una poesia era quello che mi veniva in mente in quel momento e nient’altro, perchè sarebbe stato carino quando qualcuno ti chiedeva che stavi facendo e tu dicevi stavo scrivendo una poesia e quello di solito faceva oh, perchè l’immagine romantica del poeta decadente-senza soldi-innamorato non corrisposto-sensibile e solitario ti ha sempre attirato, perchè scrivere poesie ti rendeva diverso da quella massa fuori dalla porta, perchè scrivere poesie ti aiutava a capire quello che ti stava succedendo, perchè cercavi quel giro di parole da guardare e dire eh però. Negli anni ho accumulato poesie tristi, allegre, eccitate, rabbiose, poesie che camminavano e sussurravano ed altre che correvano e urlavano.
Posso vantarmi di non aver mai scritto poesie d’amore, ma quella è una cosa mia.
Poi le poesie mi hanno abbandonato, o io ho abbandonato loro, non ricordo. Mi venivano a trovare all’alba, vestite di tutto punto fino all’ultimo verso, o al contrario nude, con vagine dal pelo folto e con in mano una parola, un concetto, un’immagine. Mi gridavano nelle orecchie nelle notti insonni, tra le lenzuola stropicciate, ma quando aprivo gli occhi, come uno scherzo che non si stancavano di farmi, non c’erano più.
L’altro giorno ne ho scritte un paio. Non mi sono sforzato, non ho assunto pose, non ho pensato a chi avrebbe letto. Non stavo cercando di salvarmi o di ficcarmi più in fondo nel mio Inferno. Stavo solo scrivendo una poesia, e quella poesia ero io.
Era tutto quello che mi serviva.

Sull’Isola ho pensato che, come con le poesie, in fondo non si smette mai del tutto di fare un sacco di cose. Non solo gli errori, che quelli lo sappiamo che ci siamo cascati, ci caschiamo e ci cascheremo sempre perchè così ci piace. Perchè così esaudiamo le nostre perversioni, ritroviamo la nostra identità, ci diciamo la verità che un secondo dopo abbiamo già seppellito.
No, non si smette di fare un sacco di cose. Di ridere, per esempio. Andando avanti si diventa più seri, i guai si sommano ad altri guai, ma la risata forse non è persa. È come scrivere poesie senza scriverle: ti resta dentro, ma c’è. Anche amore, o quello che chiamiamo tale, non si esaurisce dopo le prime dieci sveltine. L’amore da canzone alle due del mattino, l’amore da lettera, l’amore da quel dolore che fa male al petto, l’amore totale e annullante non finisce ai sedici anni, non resta confinato nelle prime settimane di una storia. L’amore c’è proprio quando non ci stavamo pensando. Solo che non ce ne rendiamo conto perchè siamo distratti. Abbiamo troppe cose a cui pensare, troppi casini, troppe facce, troppi appuntamenti. E quando capita un momento di silenzio, lo riempiamo subito con tv, telefoni, con computer, con la radio, col bere, con tutto quello che ci può evitare di trovarci davanti a noi stessi, a vederci nudi con disprezzo ma, come diceva qualcuno, senza magari perdere la tenerezza. Perchè accarezzarci l’anima con le dita, ogni tanto, può far bene. Capire che forse non ci siamo persi tutte quelle cose per strada, sono solo nascoste sotto strati di rumori e pagine di calendario. Che non siamo davvero diventati tutto quello che detestavamo. Che siamo ancora quelle persone che ci piace pensare, ogni tanto, di essere ancora.
Fatevi un giro sull’Isola, se potete, e sennò createvela. Sssh. Spegnete tutto. Nessuna cazzata new age: sentitevi e basta. Siate onesti. Ci troverete un sacco di merda, come lavarsi i denti la prima volta dopo vent’anni. Ma forse, dopo, il sorriso sarà più pulito, sempre ammesso che ne troviate uno.
Buona Isola.

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