Ieri mi stavo riprendendo da un massiccio doposbronza post-compleanno e mi sono trovato a leggere questa bellissima storia.
Hank è un ragazzo che beve, non ha un lavoro, nessuno scopo nella vita a parte scrivere. Passa le giornate alla biblioteca pubblica insieme agli altri barboni, a leggere per non badare alla fame. Lì, fra pagine e pagine che non gli dicono niente, gli capita tra le mani un libro di cui non aveva mai sentito parlare, di un autore completamente sconosciuto. Il libro si chiamava “Chiedi alla polvere”, lo scrittore John Fante. Quel libro, per il giovane Hank, fu come “trovare l’oro nella discarica”. Qualcosa che (parole sue) ti aiuta ad arrivare sano e salvo fino a sera.
Più di 30 anni –e molte sbronze- dopo, Hank è diventato Charles Bukowski, scrittore abbastanza conosciuto in America e amato visceralmente in Europa. Trovandosi a parlare con il suo editore, questi gli chiede chi è mai questo Fante che Buk ogni tanto cita nei suoi libri. È forse un nome che ti sei inventato tu?
No no, risponde Buk, è tutto vero. Vai a controllare nella biblioteca pubblica di L.A., se non mi credi.
L’editore controlla, scova “Chiedi alla polvere” e gli piace così tanto che decide di ripubblicarlo insieme ai vecchi libri di Fante.
John non aveva avuto molta fortuna con la scrittura. Il suo “Chiedi alla polvere” aveva venduto poco più di 600 copie. Così gli era sembrato un enorme colpo di fortuna essere assunto da una major di Hollywood come sceneggiatore. Aveva cominciato comprando macchine, nuove mazze da golf, una villa, e aveva finito per restarsene in un ufficio a bere e a vedere quello che scriveva fatto a pezzi da perfetti imbecilli. Aveva messo da parte la scrittura per 30 anni, e ora questa affiorava per pungerlo e riempirlo di amarezza. Non bastava, a John, la villa che aveva comprato con quei soldi che aveva guadagnato vendendo il culo, perchè ora non poteva più godersela. Si era beccato il diabete, per ironia la stessa malattia di cui era morto il padre che odiava e di cui aveva scritto così tanto.
Quando l’editore aveva contattato John, lui era già cieco e gli erano state amputate buona parte delle gambe. Entrava e usciva dall’ospedale. Il mondo non sapeva chi fosse, i film a cui aveva partecipato era scomparsi nell’ombra e lui se ne restava lì, con la moglie ad accudirlo.
L’intervento di Bukowski cambiò tutto. I libri vennero ripubblicati ed ebbero un grande successo. I critici si chiesero come avevano fatto ad ignorare qualcosa del genere per 30 anni (i critici arrivano sempre un pochino dopo, anche se piace loro pensare di esserci arrivati molto prima degli altri). Questo diede un nuovo motivo alle giornate tutte uguali di John. La gente lo stava scoprendo, seppure in clamoroso ritardo. le cose stavano tornando al loro posto. Stava addirittura dettando un nuovo romanzo alla moglie, dal suo letto d’ospedale.
Adesso era il momento dei ringraziamenti.
Hank era molto nervoso all’idea di incontrare John. Sapeva che gli doveva tantissimo, che il suo stile era lo stesso di John, e sapeva che, in quelle giornate affamate di 30 anni prima, John Fante era stato il suo dio.
L’incontro fu molto disteso. Hank, nonostante l’aria da duro, si scioglieva in queste occasioni. John, nonostante la malattia, era sempre rimasto un figlio di puttana combattivo. Dopo i convenevoli Hank attaccò a dire come lo stile di John fosse stato per lui l’ispirazione più grande, come, per quanto provasse, non sarebbe mai riuscito lontanamente ad eguagliarlo. Poco ci mancava che gli chiedesse un autografo prima di un accesso isterico.
John sorrise. Non vedeva Hank in faccia, ma la sua voce gli piaceva. Disse alla moglie di dare vino, tanto vino a Hank. Sapeva con chi aveva a che fare. John era un uomo che aveva sbagliato vita, che si era sputtanato per poi ritrovarsi in mano rimpianti e conti da pagare, che aveva messo da parte la cosa che sapeva fare meglio, e quella che più gli dava un senso.
E adesso era lì, con uno dei più grandi scrittori del tempo che gli diceva come lui gli avesse cambiato la vita. Forse a John venne in mente che non tutto era stato perso.
Fu allora che prese la mano della ragazza di Hank e gli sussurrò, prenditi cura di lui, ne ha bisogno.
Non ci furono lacrime. John si fece un paio di bicchieri insieme a Hank, parlando di quello che era stato, di Los Angeles, di scrittori, di posti dove andare a bere. Hank chiese a John che fine avesse fatto la Camilla del libro. Era davvero scomparsa nel deserto?
Macchè. Era lesbica, alla fine, aveva ridacchiato John.
Poi John dovette andare a letto. Da lì ad una settimana gli avrebbero amputato un altra porzione di gambe. La mattina dopo però si sarebbe svegliato e avrebbe continuato a dettare a sua moglie “Sogni di Bunker Hill”, uno dei suoi libri più divertenti.
John era un uomo molto coraggioso.
Hank salutò e andò via con la sua ragazza. In macchina non parlarono. Hank aprì una bottiglia di vino e cominciò a sorseggiare, piano. Pensava.
John Fante morì qualche tempo dopo. Gli avevano amputato completamente le gambe, e per pagare le amputazioni aveva dovuto vendere la stessa casa che aveva comprato facendo un lavoro che non voleva. Così va la vita.
Hank andò al funerale. Gli avevano chiesto di tenere un discorso, ma disse che sarebbe scoppiato a piangere –lui, il duro Chinaski. Così il discorso lo fece qualcun altro. Lui tornò a casa e scrisse la storia che vi ho appena raccontato. L’aveva intitolata “Incontro il Maestro”. Il racconto finiva così: “Avevo incontrato il mio idolo. Capita a pochissimi”.
E’ proprio vero.
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