martedì 15 novembre 2016
"Sono il guardiano del faro" - Éric Faye
Telefono muto, buca delle lettere vuota, quanto al fax, da tempo non batteva ciglio. Il mondo dispiegava un cordone sanitario attorno a quelli che avevano avuto la forza di volere.
Nel mio consueto, annuale pomeriggio di follia (soprattutto finanziaria) alla Feltrinelli di via del Corso a Roma, investo sempre qualche sudato euro in nuove uscite e nuovi autori, ai quali arrivo per sentito dire, perché hanno copertine o titoli intriganti (sì, a volte sono anch’io un prodotto del becero marketing), o per ispirazione divina (se il libro è bello) o puro cazzeggio (se non lo è).
Nel caso di “Sono il guardiano del faro” di Eric Faye, ho deciso di investire nella casa editrice, la Racconti Edizioni, nata proprio quest’anno con l’intento di pubblicare… beh, di sicuro non saggistica! Ho apprezzato il tentativo di puntare su un mercato, quello appunto dei racconti, che sembra, per qualche ragione oscura, perennemente in crisi in Italia, nonostante vada più o meno a gonfie vele altrove –in America, ad esempio, dove la tradizione del racconto è solida e può vantare delle vere punte di diamante, dal buon vecchio Hemingway fino a sua maestà Raymond Carver.
Dal momento, quindi, che ho sempre apprezzato i racconti, che ne ho recensito delle raccolte anche qui, che amo moltissimo scriverne (e tra poco ci sarà una sorpresina a tal riguardo…), ho deciso dunque di avventurarmi in questo “Sono il guardiano del faro”.
Il libro, una raccolta di racconti cronologicamente sparpagliati nell’ultimo ventennio o giù di lì, parte molto bene. Lo stile di Faye è da subito pulito, scorrevole ma non semplicistico. Al contrario, le storie sono intricate, soprattutto inquietanti. Compaiono panorami vacui, indefiniti, tanto misteriosi quanto angoscianti. È inevitabile il pensiero a Buzzati, autore che (come già saprete) amo particolarmente, e che peraltro viene citato dallo stesso Faye in uno dei racconti, come una sorta di omaggio. Racconti come “Mentre viaggia il treno” e “Frontiere” non possono non far pensare a Buzzati, e li ho apprezzati proprio per questo motivo. Sebbene mi abbiano dato un senso di al confine tra deja-vù e citazione, mi sono piaciute quelle frasi secche, quello stile asciutto e un senso incombente di minaccia e solitudine dietro ogni paragrafo.
Mi è piaciuto meno il lungo racconto che dà il titolo al libro. “Sono il guardiano del faro”, che chiude la raccolta, sembra un po’ la summa degli altri racconti, e sicuramente la storia in cui Faye ha potuto sperimentare di più a livello stilistico –riprendendo però temi che già aveva toccato. Purtroppo, dopo un po’ ho risentito della fatica. Non ho mai avuto particolare interesse per i racconti troppo lunghi, perché ho sempre visto la forma-racconto come congeniale ad una brevità (e incisività) che il romanzo non può permettersi. Una storia lunga va bene solo se sostenuta da una trama adeguata e da personaggi interessanti. Qui ci si trova davanti ad un soliloquio che, per quanto interessante e carico di simbologie e significati e tutto il resto, alla lunga fa smarrire. Il che, probabilmente, era uno degli scopi dell’autore, ma in questa maniera si rischia anche di perdere il messaggio stesso della storia.
In definitiva, una raccolta elegante, curata e ben scritta, ma senza slanci particolari. Adatta ai fan puri e duri del racconto (e del racconto lungo).
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