martedì 23 febbraio 2016
"Rituali quotidiani" - Mason Currey
Sei quel che sei, non sei Fitzgerald e nemmeno Thomas Wolfe. Se vuoi scrivere, ti siedi e scrivi. Non c’è un luogo o un’ora particolare, ti adatti a te stesso, alla tua natura. Posto che uno sia disciplinato, il modo in cui lavora non ha importanza. Se non si è disciplinati, non c’è magico alleato che tenga. Il trucco è crearsi il tempo, non rubarlo, e produrre narrativa. Se le storie arrivano, le scrivi e sei sulla strada giusta. Alla fine ognuno trova la via migliore per sé. Il vero mistero da risolvere sei tu.
Bernard Malamud
Ho scoperto per puro caso questo “Rituali quotidiani” (Vallardi), e me ne sono appassionato al punto tale da bermelo in un pomeriggio. Un pomeriggio nel quale avevo, come sempre, una rigida tabella di marcia, che ho finito per non rispettare per l’ennesima volta.
Ed ecco perché mi sono appassionato tanto a questo libro.
“Rituali quotidiani” è una raccolta, a cura di Mason Currey (con delle aggiunte per l’edizione italiana sugli scrittori nostrani, da Eco a Calvino) delle abitudini di lavoro di più di 150 tra artisti, filosofi e scienziati. Non si tratta del contenuto delle loro opere, ma solo ed esclusivamente della loro “metodologia”, se così vogliamo chiamarla.
Questo libro mi ha colpito al punto tale che ne ho scritto già una lunga riflessione sulla Yellow House (la potete leggere qui), che prende in esame anche alcuni punti di questa raccolta –in particolare il fatto che molte di queste storie, a prescindere dalla diversità temperamentale ed artistica, sembrano mostrare tanti punti in comune.
In “Rituali quotidiani” non si da, infatti, troppo peso alla stranezza, non si scade mai nel gossip. Currey è cosciente del fatto che sappiamo già quasi tutto da quel punto di vista. E anche quando si accenna alla sessualità iperattiva di un Simenon, ad esempio, che si vantava di aver avuto diecimila amanti (ma la moglie lo ridimensionò ad un “semplice” 1200), lo si fa per far capire meglio il loro approccio alla creazione (Simenon era infatti così energico che riusciva a concludere un romanzo e cominciarne subito uno nuovo, durante la stessa sessione).
Non mancano le stranezze, come le ossessioni-compulsioni di Truman Capote, che poteva scrivere solo in certi giorni o avere un massimo di tre sigarette nel posacenere, o le nudità di Victor Hugo. Per il resto, però, troviamo persone che svolgono quasi un orario da ufficio, cercando di portare a compimento le tante idee che sorgono nella loro mente.
“Non esisteva un impiegato di città più metodico e ordinato di lui; nemmeno l’attività più monotona, tediosa e ordinaria poteva essere svolta con maggiore puntualità e regolare efficienza di quella che lui riservava al lavoro creativo della sua fantasia”.
Così l’autore di “Oliver Twist” e tanti altri classici, Charles Dickens, veniva descritto dal figlio.
Storie simili sono molto frequenti all’interno del libro, tanto da far riflettere su quanto doveva essere complicato vivere accanto a questi uomini di genio (dalla moglie del compositore austriaco Mahler, che doveva attenderlo in silenzio per ore se lui veniva colto dall’ispirazione durante le loro passeggiate nella foresta, ai familiari di Picasso che si ritrovavano a pranzare con un uomo silenzioso e di pessimo umore, tutto preso dal quadro in corso).
Molti di loro si svegliavano presto al mattino, facevano colazione con la famiglia, facevano qualche esercizio fisico e poi iniziavano la loro attività. Chi scriveva in piedi come Hemingway, chi si drogava di caffè come Balzac, ognuno di loro aveva i propri rituali.
La lettura procede con una uniformità che è quasi ipnotica, priva di picchi di rilievo, e che in qualche modo riesce a farti entrare dentro le routine di questi personaggi.
Ho già spiegato ampiamento, sempre nel post della Yellow House, il perché questo libro mi abbia attirato. Al di là della curiosità da groupie, per me è stato un modo di vedere come altri e più grandi avevano risolto una della mie battaglie ricorrenti, quella contro il tempo. Da sempre faccio piani che non rispetto, vivendo di eterni lunedì dove mi riprometto mille cose che non arrivano mai a vedere sorgere il sole del mercoledì.
Questo libro può quindi dare qualche dritta a chi vuole sapere come persone di ingegno hanno risolto (se l’hanno risolto) il loro problema col tempo, a prescindere che si tratti di un’attività creativa o semplicemente della gestione delle proprie ore, sempre più soffocate da impegni, tecnologia e cazzeggio.
Ognuno di loro ha affrontato la propria balena bianca. Ognuno si è dato un orario per combattere contro i propri demoni, per portare avanti la propria opera.
E in fondo anche trovare la propria abitudine era un modo per trovare se stessi, come diceva Malamud.
Perché era una lotta ma poteva dare i suoi frutti, e loro non lo dimenticavano mai.
“Tutto sommato, il lavoro è sempre il modo migliore per fuggire dalla vita!”, scriveva Flaubert.
E come dargli torto?
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