giovedì 26 aprile 2012

Ahi, quanto è duro il passo verso la coscienza sociale!

Ho tardato a scrivere questo post perchè quando inizia qualcosa di nuovo si ha bisogno di tempo per comprenderla, farla propria e dargli una forma. Ho dovuto capire dov'ero, qual è il mio ruolo; in pratica, chi sono. Ma soprattutto se mi ci trovo a fare quello che faccio.
Iniziare a lavorare è traumatico. Diciamocelo. Non fingiamo che non lo sia.
Non voglio dire che non sia una fortuna cominciare a dare un peso alla propria vita_riuscire a poter cominciare a fare dei progetti_avere dei soldi propri in tasca_iniziare a ricevere delle soddisfazioni in un campo in cui ci si è formati per anni. E' un diritto e oggigiorno è diventato quasi assurdamente una "fortuna". Purtroppo, questo lo so bene.
Voglio anche ammettere però che quando si comincia a lavorare, ci si assume una molteplicità di responsabilità, che proprio perchè si è all'inizio pesano. E sembrano pesare come quando si sollevano per la prima volta più Kg di quanto il corpo sia abituato a sostenere. Il muscolo si strappa e poi si ricostruisce più forte di prima. Fatto il primo sforzo, piano piano, il muscolo si prepara a sollevare un peso maggiore.
Ecco, a mio avviso, anche la coscienza di un uomo, quando comincia ad avere sulle spalle delle responsabilità, in qualche modo "si strappa".

Sono stata abituata per anni, parliamoci chiaro, ad organizzarmi le giornate, i mesi, secondo un criterio dettato esclusivamente (o quasi) dalla mia coscienza.
Ora, queste 8 ore al giorno di lavoro dettano al mio essere un sistema di regole, che non ero abituata a sentire.
Quando avevo bisogno di percepire la bellezza nella mia vita quotidiana, mi bastava, spesso, anche prendermi un cappuccino seduta al tavolino di un bar.
Il semplice fatto di sapere di non poterlo fare, nell'eventualità in cui ne abbia bisogno durante le ore lavorative, mi ha un po' scombussolata.
Per ritrovarmi qui a parlare della nuova Cles c'è voluto tempo. Quasi 2 mesi di lavoro.
Quest'ultima settimana ho cominciato ad accettare le piccole, prime responsabilità che ora mi ritrovo ad avere. Ed è stato un sollievo.
Ieri sono uscita dal lavoro con uno strano sorriso sulle labbra. Ho messo in moto, destinazione: casa del mio ragazzo.
E mi sono sentita serena.
Certo, evidentemente perchè era venerdì e avevo il week-end davanti, ma non solo. E' stata una serenità molto più profonda. Di una complessità molto più incisiva. Al di là di quello che comporti entrare nel mondo del lavoro (è un discorso questo che merita sicuramente un post di diverso stampo), la mia percezione di serenità era strettamente connessa alla percezione di utilità che ho sentito di aver prestato.

Resta certo che rimango dell'idea che vivere con soddisfazione dipenda da mille altri fattori.
Godersi la vita nel proprio intimo, al di là del ruolo che si ha in società, resta la cosa più preziosa che esista.
Questa società (italiana) sta per collassare. Io me lo sento. Lo sento nell'aria e lo vedo perchè ogni causa produce un effetto.
Molti italiani hanno perso la vita in questi ultimi mesi perchè hanno perso o non hanno ottenuto un ruolo in società e quindi un reddito.
Ora il discorso prenderebbe una piega ben diversa e non ho il tempo per poterlo fare.
Perchè devo uscire. Perchè le responsabilità quando non si riesce a sostenerle ci uccidono.
Per salvaguardarci, per sopravvivere, bisogna continuare ad avere una coscienza individuale. Sia pure sotto un ponte. Se la società non funziona, pur con amarezza bisognerebbe trovare il coraggio di farsi sentire.
Le rivoluzioni nascono dai singoli individui.
Le libertà sono nate dalle singole rivoluzioni.

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