Ho tardato a scrivere questo post perchè quando inizia qualcosa di nuovo
si ha bisogno di tempo per comprenderla, farla propria e dargli una
forma. Ho dovuto capire dov'ero, qual è il mio ruolo; in pratica, chi
sono. Ma soprattutto se mi ci trovo a fare quello che faccio.
Iniziare a lavorare è traumatico. Diciamocelo. Non fingiamo che non lo sia.
Non
voglio dire che non sia una fortuna cominciare a dare un peso alla
propria vita_riuscire a poter cominciare a fare dei progetti_avere dei
soldi propri in tasca_iniziare a ricevere delle soddisfazioni in un
campo in cui ci si è formati per anni. E' un diritto e oggigiorno è
diventato quasi assurdamente una "fortuna". Purtroppo, questo lo so
bene.
Voglio anche ammettere però che quando si comincia a lavorare,
ci si assume una molteplicità di responsabilità, che proprio perchè si è
all'inizio pesano. E sembrano pesare come quando si sollevano per la
prima volta più Kg di quanto il corpo sia abituato a sostenere. Il
muscolo si strappa e poi si ricostruisce più forte di prima. Fatto il
primo sforzo, piano piano, il muscolo si prepara a sollevare un peso
maggiore.
Ecco, a mio avviso, anche la coscienza di un uomo, quando
comincia ad avere sulle spalle delle responsabilità, in qualche modo "si
strappa".
Sono stata abituata per anni, parliamoci chiaro, ad
organizzarmi le giornate, i mesi, secondo un criterio dettato
esclusivamente (o quasi) dalla mia coscienza.
Ora, queste 8 ore al giorno di lavoro dettano al mio essere un sistema di regole, che non ero abituata a sentire.
Quando
avevo bisogno di percepire la bellezza nella mia vita quotidiana, mi
bastava, spesso, anche prendermi un cappuccino seduta al tavolino di un
bar.
Il semplice fatto di sapere di non poterlo fare,
nell'eventualità in cui ne abbia bisogno durante le ore lavorative, mi
ha un po' scombussolata.
Per ritrovarmi qui a parlare della nuova Cles c'è voluto tempo. Quasi 2 mesi di lavoro.
Quest'ultima
settimana ho cominciato ad accettare le piccole, prime responsabilità
che ora mi ritrovo ad avere. Ed è stato un sollievo.
Ieri sono uscita dal lavoro con uno strano sorriso sulle labbra. Ho messo in moto, destinazione: casa del mio ragazzo.
E mi sono sentita serena.
Certo,
evidentemente perchè era venerdì e avevo il week-end davanti, ma non
solo. E' stata una serenità molto più profonda. Di una complessità molto
più incisiva. Al di là di quello che comporti entrare nel mondo del
lavoro (è un discorso questo che merita sicuramente un post di diverso
stampo), la mia percezione di serenità era strettamente connessa alla
percezione di utilità che ho sentito di aver prestato.
Resta certo che rimango dell'idea che vivere con soddisfazione dipenda da mille altri fattori.
Godersi la vita nel proprio intimo, al di là del ruolo che si ha in società, resta la cosa più preziosa che esista.
Questa società (italiana) sta per collassare. Io me lo sento. Lo sento nell'aria e lo vedo perchè ogni causa produce un effetto.
Molti
italiani hanno perso la vita in questi ultimi mesi perchè hanno perso o
non hanno ottenuto un ruolo in società e quindi un reddito.
Ora il discorso prenderebbe una piega ben diversa e non ho il tempo per poterlo fare.
Perchè devo uscire. Perchè le responsabilità quando non si riesce a sostenerle ci uccidono.
Per salvaguardarci, per sopravvivere, bisogna continuare ad avere una
coscienza individuale. Sia pure sotto un ponte. Se la società non
funziona, pur con amarezza bisognerebbe trovare il coraggio di farsi
sentire.
Le rivoluzioni nascono dai singoli individui.
Le libertà sono nate dalle singole rivoluzioni.
giovedì 26 aprile 2012
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