mercoledì 6 gennaio 2016
"Anna", Niccolo' Ammaniti
Cosa si ottiene a mettere insieme “Il signore delle Mosche” di Golding, le solite atmosfere post-apocalittiche, e uno degli scrittori più sopravvalutati del panorama letterario nostrano?
Un successo commerciale del 2015, of course.
Sento parlare di crisi editoriale praticamente da quando ho imparato a leggere. Immagino ci siano una serie di cause (non ultime quelle sociali e culturali) che siano difficili da isolare, e che fanno tutte parte del problema.
Di sicuro c’è che, fintanto che continueremo a comprare libri solo affidandoci ai grandi nomi (che ormai, sempre più spesso sono di persone famose per altri motivi, dall’ultimo Grande Fratello alla relazione con il calciatore del momento) solo per il bisogno di rassicurarci, di sapere che stiamo spendendo bene i nostri 10 euro, difficilmente cambieranno le cose.
Ammaniti ha scritto dei libri onesti in passato. Ha saputo raccontare delle storie puntando sul quotidiano (a volte esasperato fino al grottesco), sul pop, perfino sul pulp. Sono arrivate le copie vendute, sono arrivati i film. E’ cominciata la mancanza di elasticità nelle gambe.
E alla fine è arrivato questo “Anna”, super reclamizzato e pompato, importante ancor prima di essere messo in vendita.
Anna è la protagonista della storia, ambientata in una Sicilia di un futuro prossimo nel quale gli adulti, a causa della solita epidemia sconosciuta, sono tutti deceduti. Sono quindi i bambini, adesso, a popolare un mondo dal destino incerto –perché il misterioso morbo continua ad uccidere tutti i ragazzini che arrivano alla pubertà.
In questo contesto, Anna cerca di salvare se stessa e il fratellino Astor puntando all’illusoria speranza che forse, oltre lo Stretto, qualcuno sia sopravvissuto ed abbia trovato la cura al misterioso morbo.
Al di là dell’implicazione simbolica di un morbo che uccide chiunque varchi la soglia dell’età adulta, lasciando vivi solo i bambini, la storia apocalittica sa troppo di deja-vù, in un periodo dove questo tipo di storie, da “The last man on earth” a “The walking dead” (per citarne solo due), abbondano su libri e tv.
La storia di Anna, poi, viene narrata sotto gli standard di altri lavori precedenti dell’autore. Ammaniti sembra ispirarsi, tra gli altri, a Stephen King, specie nelle parti “horror”, ma non riesce a far trovare ai suoi personaggi la profondità e la credibilità che il Re di Bangor dà ai suoi. Le storie sembrano appiccicate insieme, senza molta forza, non riuscendo ad evocare nessun sentimento particolare per il mondo appena finito, o per quello che prova disperatamente a sopravvivere. Per il resto, come detto, i personaggi non aggiungono niente: Anna è una bambina cazzuta come una cinquantenne, il cane che la segue è un personaggio da fumetto, e il ragazzino Pietro è una creatura di carta.
Da siculo, poi, ho trovato particolarmente poco riuscita l’ambientazione. La Sicilia post-apocalittica nella quale si muovono i protagonisti sembra uno sfondo di cartapesta, qualcosa messo insieme da chi quei luoghi non li conosce e prova a mescola panorami turistici e particolari da fiction. Il risultato è che Anna e gli altri si muovono in una Sicilia di cartone.
Lo stile è sempre scorrevole, il ritmo abbastanza veloce –e nonostante questo, ho trovato comunque difficile arrivare fino al (prevedibile) finale.
E con questa, possiamo prepararci agli altri luminosi successi editoriali del 2016.
E che il morbo abbia pietà di noi.
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