mercoledì 23 dicembre 2015

Mamma li turchi

Scendo dal jet della Pegasus Airline e un bus ci porta all'entrata dell’aeroporto di Fiumicino, dove un gruppo di guardie di finanza con alcuni cani al guinzaglio ci accolgono con un calore assai poco romano. Perlustrano i nostri bagagli prima di poter accedere al controllo passaporti. Guardo l’orologio e mi accorgo che è passata mezz'ora. Mi volto alla mia destra e dalla vetrata scorgo uno splendido tramonto rosso-fuoco, una delle innumerevoli peculiarità che chi viene in Italia per la prima volta apprezza con piacevole stupore. Questo cielo azzurro non è da tutti.
Sono appena tornata dalla Turchia e ripenso alla pelle olivastra tipica dei mediorientali; quella pelle matura capace di rendere lo sguardo o il sorriso di un giovane più adulto del previsto. Ali a venticinque anni pare dimostrarne dieci di più. Ed ecco, se sei un uomo nessun problema, anzi, ma se non lo sei il fatto di avere trent'anni diventa una questione piuttosto imbarazzante, perché qualsiasi occidentale ti potrebbe considerare già vecchia. Penso anche alla mia di pelle che pure è olivastra ed emetto un sospiro di sollievo perché, sebbene i primi segni del tempo si vedano, posso ritenermi ancora decisamente fortunata. Penso anche al fatto che una volta presero mio padre per un iraniano; devo dire che l’idea che le mie origini possano essere ottomane non mi dispiace affatto.
Ripensando alla Turchia, inoltre, mi rendo conto di quanto bere decine di tè al giorno faccia bene allo spirito, così ora nella mia casa italianissima mi accenderò un narghilè e sorseggerò a piccoli sorsi un tè orientale. Quantomeno distenderò i nervi tesi e chiudendo gli occhi potrò immaginare di ritrovarmi nella terra dei melograni e dei noccioli, dove la gente va fiera delle acciughe del proprio mare, quello Nero che si mostra sempre quieto e assai più dolce del mare che conosciamo.
Ripenso alla Turchia e rifletto sul concetto di libertà come a una questione politica più che morale. In Turchia ho scoperto che nei Paesi laici, in cui l’islam non è religione di stato, non esistono donne che devono portare il velo, non esistono uomini che non possono bere alcolici, come siamo soliti pensare. Scopro che la religione può essere concepita davvero come l’oppio di un popolo solo nel momento in cui diventa un’imposizione statale. Solo così infatti limita il progresso e la creatività di una comunità.
Ripenso alla Turchia, ma anche all'Azerbaijan, Paesi dove la mentalità degli islamici sembra più aperta di quella dei cattolici. Mi hanno detto che le paure sono armi politiche; che le scelte personali sono sempre condizionate dagli obiettivi macroscopici di un Paese; che siamo soliti seguire le strade che sono già state asfaltate perché le altre ci hanno insegnato a guardarle con diffidenza.

Prima di avere al controllo passaporti elettronico, due uomini mi osservano il passaporto e ricevo il primo sorriso romano dall'atterraggio. Eccola qua la strada asfaltata, quella di casa. 

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