venerdì 2 ottobre 2015

"L'Italiano", Sebastiano Vassalli


Bisogna dire a chi ancora non se ne fosse accorto che l’Italia è un Paese vecchio, anzi vecchissimo, dove tutto è già accaduto e dove non accade più niente di veramente nuovo e veramente importante da circa cinquecento anni. È un paese vecchio e tendenzialmente immobile. Qui non ci sono la Nuova Frontiera, l’Eldorado e nemmeno il Sogno Americano o l’Oriente Radioso della nuova Cina. Qui il Sole dell’Avvenire è sempre al tramonto. L’unico sogno ricorrente, da più di due secoli, è quello di una rivoluzione che mandi tutto all’aria: ma non ha mai portato a niente di buono.

Ho scoperto Vassalli molto tardi, e devo la scoperta alla mia amica Laura e alle nostre passeggiate per le strade bagnate dalla pioggia di San Lorenzo. In bocca ancora il sapore di birra rossa, quasi rischiavamo di essere messi sotto mentre discutevamo dei nostri eroi letterari. Io in quel periodo facevo una testa così a tutti sui racconti di Carver, mentre Laura parlava, per l’appunto, di Vassalli.
Dovresti provare i suoi racconti, mi diceva sempre.
Così, dopo aver letto allora “La morte di Marx”, eccomi qui a (troppi) anni di distanza con “L’Italiano” (Einaudi), una raccolta di racconti del 2007.
Come suggerisce il titolo, Vassalli ha tentato, in questo libro, di illustrare (ma forse sarebbe più giusto dire: “mettere a nudo”), pregi e (soprattutto) difetti che fanno parte del carattere italiano. Per farlo, compie una carrellata storica di eventi e personaggi solo apparentemente distanti e diversi tra loro, che parte da Ludovico Manin, ultimo doge di Venezia, per arrivare fino a Berlusconi. I racconti sono la scelta giusta, perché, come lo stesso Vassalli ha confermato alla mia amica Laura in una bella intervista avvenuta qualche anno fa (e che potete rileggere qui), la realtà di oggi è così frantumata che la struttura del romanzo non funzionerebbe.
Con un linguaggio sempre limpido, incisivo, Vassalli ci guida attraverso epoche diverse, sottolineando corsi e ricorsi storici, mettendo in evidenza alcune costanti del carattere italiano, che tornano fuori regolarmente. Nei vari racconti, l’Italiano ne viene fuori al peggio e al meglio. Tutti i racconti si fondano su fatti storici reali e personaggi realmente esistiti –talvolta famosi, come Crispi, Craxi, Togliatti e così via- altri meno, come il carabiniere Orazio Petruccelli e il trasformista Saverio Polito. Proprio questi due sembrano essere gli estremi che segnano il carattere italiano: il primo decide infatti di morire eroicamente a Cefalonia per mano dei nazisti, laddove il secondo riesce a reinventarsi a seconda del momento sociale e politico, attraversando con successo la fine del fascismo di cui anche era stato responsabile. Eroi o traditori, solari o bigotti –Vassalli non lascia fuori niente, fino ad arrivare a Berlusconi, definito non a caso “l’Arcitaliano”. Per lo scrittore, infatti, l’allora Primo Ministro sembrava incarnare idealmente tutti i difetti tipici del carattere italiano, presentandone al tempo stesso altri tratti distintivi come la giovalità, l’allegria, la flessibilità.
Fa certo un po’ strano rileggere adesso di quel periodo –più che altro sembra passato molti più tempo di quello che in realtà è trascorso. Ma questo esula dal libro, che si fa leggere bene e ti lascia il desiderio di approfondire la conoscenza di alcuni di questi personaggi, anche quelli che sembravano già noti –e questo è già un gran risultato. Ho un debole per la letteratura storica, e racconti come “I due rivoluzionari”, che parla dello scontro tra Togliatti e Adriano Sofri, incontrano assolutamente il mio gusto.
Non ho apprezzato allo stesso modo tutti i racconti, e ogni tanto sembra quasi che si manchi il punto o ci sia qualche stereotipo di troppo. Ma Vassalli sa fare il suo, e lo sa fare bene. “L’Italiano” è un libro non banale, che va giù molto facilmente –quasi quanto una birra rossa in una fredda sera di gennaio.

0 commenti: