martedì 20 ottobre 2015
"Numero zero", Umberto Eco
Ci sono dei vantaggi nell’avere un blog. Uno è che puoi definirti CEO, SEO, Fondatore e MegaDirettoreGalattico del blog sul tuo profilo Linkedin e sui vari social (come se qualcuno sotto i 55 anni potesse prenderle minimamente sul serio).
Un’altra è che ti puoi inventare delle specie di rubriche, tipo questa delle Recensioni del Morgana, e auto-appuntarti, appunto, recensore, senza averne nessuna qualifica –e forse questo fa di te un recensore abbastanza affidabile.
Puoi fare un sacco di cose da recensore. Per esempio, puoi permetterti, tu, di criticare Umberto Eco e il suo ultimo romanzo “Numero zero”. Nella nostra stanzetta siamo tutti geni, in fondo.
Così, per questa recensione che sono sicuro il buon Umberto valuterà a fondo e di cui farà tesoro, non mi viene nemmeno una citazione d’apertura. Vorrei solo sapere, se possibile, com’è venuto in mente, al buon Eco, di scrivere un romanzo del genere.
E dire che “Il cimitero di Praga” mi era molto piaciuto. Avevo sentito che anche questo era, a suo modo, una sorta di romanzo storico –anche se principalmente incentrato sul mondo della stampa e dell’informazione. In realtà con il “Cimitero” non c’entra assolutamente nulla.
La storia è quella di un giornalista fallito che viene assoldato per partecipare alla stesura di un giornale che non verrà mai pubblicato. Intorno a questo giornale gravitano alcuni personaggi particolari, tra cui il complottista Braggadocio, che introduce delle (lunghissime) digressioni su Mussolini, i servizi segreti, la CIA e tutto quello che di losco e dietrologico esiste nella nostra storia recente.
Sinceramente non me n’è importato molto, né di queste digressioni, né di come viene dipinta la stampa. Dopo essere passati dal ventennio berlusconiano, ormai sappiamo tutti di tutte (o quasi) le manipolazioni di cui l’informazione è soggetta ogni giorno. Quello che scrive Eco, quindi, risulta ridondante.
I riferimenti al berlusconismo (lo stesso Commendatore a capo del giornale è un ovvio rimando all’ex Primo Ministro) suonano di stantio e risaputo.
Le congetture storiche, poi, portano a cose già sentite e risentite, che rinviano allo stesso messaggio di fondo: l’Italia è una Repubblica delle banane e gli italiani sono dei coglioni che non sanno che farsene della democrazia.
Neanche questo è chissà che messaggio rivoluzionario.
Il libro scorre velocemente, lo stile è brillante e leggero (anche se parecchie battute vanno a vuoto), e la nota positiva è che, se vi capitasse mai di iniziarlo, lo finirete presto, e probabilmente non ci penserete più.
(Professore, non se la prenda per questa stroncatura. So quanto ci tiene all’opinione del Morgana, ma oggi è andata così, si faccia coraggio. Ha delle capacità, si impegni, vedrà che la prossima andrà meglio)
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