domenica 26 aprile 2015

"Il senso di una fine", Julian Barnes

Che ne sapevo io della vita, io che ero sempre vissuto con tanta cautela? Che non avevo mai nè vinto nè perso, ma che avevo lasciato che la vita mi succedesse? Io che avevo avuto le ambizioni di tanti, ma che mi ero ben presto rassegnato a non vederle realizzate? Che avevo evitato il dolore e l’avevo chiamato attitudine alla sopravvivenza? Che avevo pagato conti e bollette, che ero rimasto in buoni rapporti con tutti il più a lungo possibile; io, per cui estasi e disperazione erano diventati da molto tempo giusto parole lette una volta nei libri? Uno i cui rimproveri a se stesso non lasciavano mai il segno?

Gran parte delle mie letture ha un filo conduttore. Qualcosa in comune tra gli autori, un certo modo di scrivere, una certa irrequietezza di fondo. Il vantaggio è che si cade sempre in piedi, il rischio è quello di finire per rileggere sempre le stesse cose e rivedere le stesse facce. Per questo ogni tanto decido di andare a caso, infilando una mano nel mucchio e vedendo quello che ne viene fuori.
Capitano spesso piccole gemme sconosciute, e proprio per questo ancora più apprezzabili. E poi capitano libri come questo “Il senso di una fine” di Julian Barnes (Einaudi) che sconosciuto non è, dal momento che potrete trovare online decine di recensioni dedicate e scritte in maniera sicuramente più professionale e completa di questa. Non sono qui per analizzare un bel niente, ma solo per dire se qualcosa mi è piaciuta o no, e questa mi è decisamente piaciuta.
Sì, dopo qualche tentativo a vuoto, finalmente un bel libro (uno di quelli che consiglierei alla mamma di G., per intenderci). E te ne accorgi subito, perchè dopo qualche pagina non riesci più a mollarlo.
La storia è intrigante, anche se ben lontana dai ritmi serrati di un thriller: il protagonista, Tony Webster, un uomo sulla sessantina ormai in pensione dopo una vita senza infamia nè lode, un giorno riceve una lettera. La madre di una sua vecchia ex è morta, e gli ha lasciato in eredità il diario di un vecchio amico di Tony, Adrian, che si era suicidato ai tempi del college. Tony non ha nessuna idea del perchè quella donna avesse il diario del suo amico, nè perchè volesse lasciarglielo, e decide di indagare. La storia del diario servirà a scuotere dalle fondamenta quel confortevole equilibrio fatto di toni di mezzo nel quale Tony si è rifugiato da tempo, cosciente o meno. Lo porterà a ricordare una vecchia storia d’amore e poi il se stesso di allora, sollevando domande a cui pensava di aver già risposto e portandolo, piano piano, a risolvere quest’ultimo mistero.
La storia si fa leggere e riserva anche un paio di colpi di scena niente male, fino all’ultima pagina. Ma non è (solo) questo che vi terrà attaccati alle pagine di questo libro.
Barnes opta per un tono molto semplice, quasi dimesso –molto quieto, in qualche modo. La sua è la voce di uno che non deve gridare o stupire per farsi comprendere. Pagina dopo pagina, inserisce ragionamenti molto sensati sulla vita, sull’amore, sull’invecchiare, sul tempo, sulla morte, senza mai eccedere, bilanciando anche i momenti più drammatici con un po’ di humor inglese. E’ molto bravo nel costruire un personaggio nel quale molti potranno rivedersi con facilità, ed in tal modo portarli a riflettere sulla loro esistenza passata: ne è valsa la pena? Hanno rischiato o si sono mantenuti neutrali? Sono andati fino in fondo alle cose, o hanno lasciato che accadessero?
“Il senso di una fine” è un libro dalla prosa aggraziata e pulita, che vi terrà buona compagnia, che finirete troppo presto, e che vi ricorderà che la differenza tra vivere e sopravvivere la fa, a volte, il saper rischiare.
Rischiate anche voi di andare a caso, ogni tanto, e date un’occhiata a questo libro.

Consigliato a:
chi ama le storie di riflessione; chi cerca un libro ironico e forte allo stesso tempo; chi ha voglia di farsi catturare per il tempo di un pomeriggio.

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