giovedì 19 marzo 2015

"L'idiota", Fedor Dostoevskij

C’è anche chi mi crede un idiota, non ho mai scoperto perché. In verità, sono stato talmente malato da non essere molto diverso da un idiota; ma com’è possibile che sia idiota anche adesso, quando, io per primo, mi accorgo che la gente mi considera tale? Io entro e penso: “Mi credono idiota, ma io sono intelligente, e loro non lo sospettano nemmeno.

Qualcuno di voi dava per spacciate le solite, non richieste recensioni, o pensava (sperava) che avessi deciso di rinunciare. La realtà è che ero alle prese con le 840 pagine de L’idiota di Dostoevskij (Mondadori).
Se, recensendo Bukowski, ero in imbarazzo perchè ad un compagno di sbronze vuoi bene a prescindere, senza stare troppo ad analizzarlo, con Dosto tutto questo è amplificato all’ennesima potenza. Io che scrivo di Dostoevskij è come un bambino che sa disegnare solo omini stilizzati e case col camino che fuma, che si mette a disquisire di Caravaggio. Siamo nel fantascientifico qui, e non lo dichiaro per complesso di inferiorità, ma come un puro semplice dato di fatto, che possa spiegare lo spirito con il quale mi appresto a questa ardua recensione.

Intanto, le basi. Visto che, come sanno tutti gli amici del Morgana, sono uno con cronici problemi di tempo (non ne ho mai abbastanza da sprecare come vorrei), perchè un tomo del genere?
Leggevo tantissimo Dostoevskij all’università. Adesso, provo a dilazionare i libri suoi che mi sono rimasti. Perchè questo è importante? Perchè Dostoevskij non è uno scrittore che si legge sempre, e non solo per la lunghezza e la (vera o presunta) difficoltà del testo. Per leggere e soprattutto apprezzare Dosto, vi sono momenti particolari. In questo, mi sono perfettamente rivisto nel saggio che Herman Hesse ha dedicato a questo libro: “(...) Dobbiamo leggere Dostoevskij quando ci sentiamo a terra, quando abbiamo sofferto sino ai limiti del tollerabile e tutta la vita ci duole come un’unica piaga bruciante e cocente, quando respiriamo la disperazione e siamo morti di mille morti sconsolate. Allora, nel momento in cui –soli e paralizzati in mezzo allo squallore- volgiamo lo sguardo alla vita e non la comprendiamo nella sua splendida, selvaggia crudeltà e non ne vogliamo più sapere, allora, ecco, siamo maturi per la musica di questo terribile e magnifico poeta (...)
Ecco, direi che ho scelto il momento giusto.
E questo spiega anche come mai ho letto tanto Dosto nei mie vent’anni –ma questa, come si dice, è un’altra storia...
Questo passaggio rivela uno dei punti di forza della scrittura di quest’autore: il coraggio, l’intuizione, la potenza con cui, attraverso le sue parole, ci fa discendere in un inferno che è allo stesso tempo estremamente personale e del tutto universale. E’ una forza che ti cattura, pagina dopo pagina, e che ti attira facendo appello ad un livello ben al di sotto della coscienza. Qualcuno ha detto che è incredibile come uno scrittore che, a prima vista, scrive così male –con le sue iperdescrizioni, i suoi tempi lenti e dilatati, la sua mania per i dettagli- poi abbia in sè tutto quello che serve.
E Dostoevskij, indubbiamente, ce l’ha.

Tornando all’ “Idiota”, è importante, come spesso nella sua produzione, dare un’occhiata anche al percorso biografico che l’ha portato a maturare quest’opera. Il Dosto pre-Idiota è uno scrittore che ha già pubblicato quelli che diverranno capolavori assoluti come “Delitto e castigo” (della serie: e scusate se è poco), ma lo stesso è attanagliato dai debiti. La sua vita personale è stata costellata da fughe, ritorni, amanti, dalla sua passione per la roulette, e soprattutto dall’esperienza del carcere in Siberia e della quasi-fucilazione (era già stato messo al muro, col plotone pronto a sparare, quando era arrivata la notizia del tramutamento della pena di morte in quella carceraria). Insomma, roba da riempirci libri interi solo con le sue memorie. Il buon vecchio Dosto avrebbe avuto di storie da raccontarne, al bar del Morgana...
Immerso nei debiti e con l’epilessia che andava aggravandosi, Dosto si preparò a scrivere questo romanzo. Lo fece come sempre nella sua vita: aveva bene in mente il messaggio di fondo, ma sapeva poco e niente dello sviluppo della trama. Semplicemente, cercava di mettere insieme più pagine possibili (come da contratto) da mandare alle riviste che l’avrebbero pubblicato (il che spiega anche parzialmente il perchè di tanti passaggi che sembrano allungare inutilmente). Nel frattempo, si giocava alla roulette l’anticipo che gli era stato dato dalle riviste, sperando di vincere abbastanza per non dover sottostare alle regole del contratto. Ovviamente, non faceva che perdere ed invischiarsi sempre più, con le scadenze vicine e nessuna idea sul come andare avanti.
Dosto aveva diversi demoni, come tutti noi, e li conosceva anche parecchio bene, anche se spesso faceva finta di non saperne niente. Non riusciva a scrivere se non sotto quella pressione, con la spinta di adrenalina (ma ve lo immaginate Dostoevskij con l’adrenalina a mille?) che gli dava il trovarsi con le spalle al muro. Forse perchè ci si era già trovato, con i fucili puntati addosso, e tutto quello che ne era seguito sembrava sempre smorzato, poco importante. Forse perchè, semplicemente, era un modo per incastrare i suoi demoni e permettergli di fare quello che voleva. Per arrivare alla libertà, doveva trovarsi incatenato nelle sue più profonde prigioni. Per gustarsi un cielo limpido, doveva sempre partire da un sottosuolo.
Così Dosto decise di scrivere “L’idiota” in sei mesi, un tempo che sembrerebbe folle per un lavoro di questo genere. Avrebbe potuto prendersi tutto il tempo che voleva, eppure faceva sempre in modo, incosciamente, di trovarsi in queste situazioni (dovrei imparare da lui...).
“L’idiota” segue le vicissitudini del principe Myskin dopo il suo arrivo a Pietroburgo in seguito ad una misteriosa malattia che lo riduceva, appunto, ad un idiota. In una tipica giornata da romanzo dostoevskijano, che dura qualcosa come 450 pagine (meno di 24 ore!), incontra una serie di personaggi, dal suo “rivale” Rogozin, alla bella Nastassja, alle Epancin... Nel dramma di Dosto entrano tantissime figure, che spesso sembrano meno che marginali all’inizio, ma una alla volta prendono il centro del palcoscenico mostrando quello che l’autore vuole farci vedere: i loro sogni infranti, le loro aspirazioni fuorvianti, i loro demoni. Nelle oltre ottocento pagine incontriamo un circo intero di persone che vorticano intorno alla figura del principe-idiota, tra lunghi dialoghi e improvvisi colpi di scena. L’azione, a dire la verità abbastanza statica per gran parte del libro, diventa frenetica nelle ultime 80 pagine, fino ad una conclusione in sè non difficile da immaginare, ma che lascia aperte mille porte su tutto quello a cui abbiamo assistito fin lì. Chi era davvero il principe? Qual era il suo rapporto con Rogozin? Che ruolo aveva la bella Aglaja?
Se pensate che starò ad ad avventurarmi nell’analisi del significato dei personaggi e dei vari passaggi del libro, siete decisamente fuori strada. Questo non è un saggio, e in fondo nemmeno una recensione, ma qualche pensiero in libertà su quello che, indubbiamente, è un libro ricco e carico di significati come qualunque cosa che abbia scritto quest’uomo, pace all’anima sua e alla sua barba. Sulla figura del principe-idiota, l’intento di Dostoevskij era quello di dare una vita ad un personaggio “assolutamente buono”. Tra i suoi appunti, lo indica come una rappresentazione del Cristo –come spesso indicato nelle varie analisi del romanzo. Il compito che si era preposto era, quindi, ambizioso e per niente semplice. Posso solo dire che il Cristo di Dosto, un Cristo al quale arriva dopo essere quasi morto, dopo aver guardato l’abisso fino a poterlo descrivere, dopo aver sfidato costantemente i suoi limiti, è un Cristo interessante come pochi, e che si lascia ascoltare con piacere.
Come faccio ad uscirmene da questa recensione, accidenti? Mmm... proviamo a chiuderla... Cosa ho pensato di questo libro, dite (come se ve ne fregasse qualcosa)?
Non l’ho amato particolarmente, e non credo sia al livello di altre sue opere. Non è ricco come I fratelli Karamazov (il mio preferito, di una complessità tale che lo rende uno dei libri che dovreste portarvi su un’isola deserta insieme alla vostra Playstation), non ha la carica sociale dei Demoni, nè la poesia estrema delle Memorie dal sottosuolo. Si lascia leggere, ma meno di un Delitto e castigo, e per lunghi tratti ci sono personaggi e situazioni che non rivestono, a mio parere, particolare interesse. Alcuni personaggi sono molto riusciti, altri meno. Il principe, che era il compito più difficile da realizzare, credo sia uno dei personaggi più azzeccati tra tutti quelli creati da Dosto, seppur immerso in un libro dove non si parteggia per qualcuno come si faceva nei Karamazov o altrove. Abbiamo la sensazione di scoprire insieme all’autore cosa succederà, le varie svolte della trama, e questo da un bel senso di freschezza. Lo stesso autore abbatte spesso la “quarta parete”, rivolgendosi direttamente al lettore, come se entrambi stessero assistendo allo stesso spettacolo. Inoltre ci sono dei passaggi notevoli. L’idiota è uno dei romanzi più autobiografici di Dosto. Non per niente il protagonista soffre di disturbi simili all’epilessia e si trovava all’estero come Dosto mentre scriveva il libro (per fuggire dai debiti, finì poi il manoscritto a Firenze). Il pezzo in cui descrive la sensazione che prova un condannato a morte che si avvicina al patibolo è monumentale, soprattutto perchè sappiamo che non si tratta, nel suo caso, di fiction.
In ultima, un libro che, nonostante i difetti, dà sicuramente parecchie piste a molti classici dell’epoca (e non solo). Non lo sceglierei come primo libro se vi state accostando a Dosto, e sicuramente è importante che le corde della vostra anima vibrino ad una frequenza simile a quella evocata dall’autore (che stiate passando un periodo un po’ di merda, insomma).
Ok, basta così. Chiedo umilmente scusa, Maestro, ed esco a capo chino e pronto a inginocchiarmi sui ceci e a scrivere ancora le mie storielle sconce e le mie recensioni sottosopra.
Abbia pietà per noi che non siamo degni, Maestro, e ci metta una buona parolina se può.
Distinti saluti,
Zango

Consigliato a:
chi ama Dostoevskij, i grandi scrittori dell’Ottocento, specie i russi; chi non si stanca mai dei grandi classici; chi si trova in un umore “da Dostoevskij”



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