In conclusione è andata bene, amico mio. In conclusione.
Ma lascia che ti racconti come è iniziata, questa cosa faticosissima, che mi ha costretto ad affrontare briganti sogghignanti di fuori e spadaccini incappucciati di dentro.
Non volevo farlo. Questo è semplice. Forse una piccola parte di me agognava l'idea del successo finale, ma tutte le altre non avrebbero mai scelto liberamente di muovere il primo passo in quella direzione. Non volevo.
L'idea di salire sul palco e parlare davanti a tutte quelle persone di un qualcosa da "grandi" mi metteva agitazione. In fondo a me i grandi non sono mai piaciuti. Sono prepotenti, empi, e soprattutto ipocriti. Del resto, spesso diventano grandi solo per arrogars il diritto di "essere grandi abbastanza per comportarsi come bambini". A questo punto, dico io, tanto vale restare bambini, dirlo chiaro e tondo e mettersi a cercare la strada per l'idola che non c'è.
Comunque alla fine l'ho fatto. Ci sono andato. Ho messo la sveglia che fuori ancora era notte, ho fatto pipì, mi sono lavato e ho mangiato un paio di biscotti cercando di fare ogni cosa come se fosse una giornata qualunque. Ma dopo le mutande e i calzini, ho dovuto fare i conti con la camicia e il vestito. So che hai ben presente la scena di "Into the wild" in cui Chris vede riflessa nello specchio l'immagine del suo io parallelo, o comunque di se stesso in un possibile futuro. Giacca e cravatta, sorriso impeccabile, a fare cin cin con altri uomini come lui. La prima volta che ho provato una sensazione del genere, è stata il primo giorno da agente immobiliare, un paio d'anni fa, quando alle nove di sera ho visto la mia immagine riflessa sul vetro appannato del 310.
Quella mattina, mentre fuori era ancora buio, ho avvertito ancora quella scomoda sensazione. Quel sentirsi non un attore qualunque, che può smettere di recitare e tornare a fare il se stesso di sempre, bensì un attore convinto, trasformatosi nello stesso personaggio per colpa di un incantesimo di cui ha smarrito la formula di annullamento.
Sul taxi, diverse parti di me hanno sperato di arrivare in ritardo e di perdere il volo. In aereo, le stesse hanno addirittura incrociato le dita affinché un qualunque problema mi impedisse di prendere parte all'evento. Inutile dirti che tra le altre parti, ce n'era una che guardava le restanti e pensava tra sé "ma perché tutta questa messinscena?".
Sul taxi, verso il luogo dell'evento, tutte le parti della mia anima e del mio corpo erano invece riunite e alleate tra loro, concentrate al massimo al fine di ordinare alla vescica di contenere la pipì ancora un istante, ancora uno solo, fino al primo bagno lurido di un bar di Milano di fronte l'ingresso per la fiera. Poi l'ho fatta. E da lì in seguito è stata tutta un'altra storia.
Il posto più futurista e digitale del mondo non era altro che l'evoluzione di un mercato rionale, in cui le pescivendole sapevano di chanel numerò 5, ed erano giovani, sexy e volevano venderti pubblicità online al posto della trota salmonata. Avevano gambe affusolate, calze, tacchi alti, e parevano tutte stra-convinte del loro ruolo. Le guardavo e pensavo che se ne avessi fermata una per parlare, non sarebbe stata capace di raccontarmi quale tocco personale aggiunge all'insalata mista.
Pazienza. Io ormai ci ero, ed ero diverso. O forse ero illuso di esserlo, al pari di tutti gli altri pinguini e le altre sexy pescivendole e fruttarole che erano lì.
Sorrisi e strette di mano. Conoscere gente da aggiungere su Linkedin. Rubare dei gadget. Impressionare. Valutare le agenzie in base ai colori dello stand, al numero di persone impiegate per gestirlo, a quello di gadget presenti, alla lunghezza delle gambe delle ragazze che ci lavorano.
Poi lo speech. Inutile che ti dica quante volte l'ho provato. Ogni volta andava bene, ma ogni volta aggiungevo qualcosa e toglievo qualcos'altro. Puoi mettermi anche giacca e cravatta ogni giorno della mia vita, ma non puoi mettermi la stessa espressione sul volto.
Quando è stato il momento della bella, mi sono accorto che non avrei avuto il tempo per cui avevo provato. I minuti erano agli sgoccioli, e l'ultima persona (la collega che avrebbe dovuto parlare dopo di me) non avrebbe avuto nemmeno modo di salire sul piedistallo.
Non dico che le cose stessero andando proprio a puttane, ma diciamo che era una notte un po' annoiata, la strada tirava e c'erano 50 euro nel portafogli...
Serviva un cambio di strategia. Un cambio in corsa.
Così al momento giusto sono salito sul piedistallo e ho cominciato:
"Salve a tutti mi chiamo Edoardo Sorani e in Ad Maiora mi occupo di PR Online. Sarò breve per lasciare spazio anche alla mia collega. Per qualunque domanda o chiarimento, però, resto a vostra disposizione fuori dell'aula al termine dell'esposizione".
Certe volte, prima di decidere quale attore vuoi essere, devi prima scegliere quale spettacolo fare.
Certe volte il massimo è che le cose vadano bene e che vadano come avevi previsto.
Altre volte, invece, le cose non vanno come avevi previsto, ma se vanno bene lo stesso allora hai spaccato di brutto.
domenica 14 ottobre 2012
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