giovedì 18 novembre 2010

Ciao, maledetto ciao

Ciao piccola,

in questo momento sei di là e... in questo momento sei di là, basta questo. Basta, perchè non lo potrò dire più per un bel pezzo. Basta e avanza.

In questo momento sei di là, e siamo già alla fase dell’isteria, quella in cui ridiamo per tutto, soprattutto cose che non fanno ridere –che oggi sembrano includere praticamente tutto. È sempre così, man mano che l’ora si avvicina. Lo so, lo sai, lo sappiamo. Sentiamo l’agitazione nell’aria, e cerchiamo di pensare che sia qualcosa di positivo, quando in fondo di positivo non c’è niente, assolutamente niente.

Non è la fase dell’isteria che mi spaventa, e nemmeno quella in cui guardo fuori dal finestrino andando verso l’aereoporto, dando un addio mentale alla mia seconda casa. Non è la fase del check-in mano nella mano, ma è quella subito dopo, quando quella mano resta vuota.

Il momento in cui entri agli imbarchi è terribile. È come se tutto quel tempo ti fossi detto una bugia ininterrotta –non è vero, non può essere vero, non sta succedendo a me, questa partenza non è reale- e adesso capisci che è tutto vero, che non sta capitando a qualcun altro.

La cosa che ti fa realizzare tutto questo, in maniera istantanea e dolorosa, è la tua mancanza. Da quel momento in poi, tu non ci sei più. È questo che mi fa sentire solo, mi fa sentire straniero, mi fa sentire a metà –tutte cose che ho già provato, specie quel sentirmi sempre a mezz’aria, ma qui tutto è amplificato. Le orecchie mi risuonano delle tue parole, delle nostre risate, e intorno si crea il silenzio anche se sono circondato da gente. In quell’attimo lì mi sento intontito, perso. In quell’attimo ritrovo tutti i ricordi di questi mesi, che improvvisamente si fanno lontanissimi ma abbastanza vicini da fare male. In quell’attimo il respiro si fa difficile, e mi viene anche una vaga voglia di vomitare. In quell’attimo, tu non ci sei per la prima volta, e questa è una cosa che non riesco mai a sopportare.

Poi salgo sull’aereo, dopo essermi trascinato come un fantasma per i corridoi dell’aereoporto. Mi faccio trasportare. Non m’importa. Non è la mia vita, questa. Sono di nuovo uscito da me stesso. Mi vedo ordinare un drink, che non farà nessun effetto. Mi vedo evitare il finestrino. Mi vedo sospirare. Mi vedo immerso nei miei progetti a metà, nelle mie rincorse verso il niente, nella mia follia piena di amarezza. Mi vedo solo, come sarò per un pezzo. Mi vedo con le mani che cercano una penna per buttare fuori qualcosa, perchè tenermi tutto questo dentro vuol dire una morte al secondo. Mi vedo chiudere gli occhi, non per dormire, ma solo per non vedere.

Ed è allora che ti vedo a casa, con ancora gli occhi rossi, con le persone intorno a te che sono tornate più o meno alla loro vita, mentre noi non possiamo, mentre anche le cose più semplici si fanno per noi incredibilmente difficili, quasi impossibili, e ti vedo che stai leggendo tutto questo, e forse non ti farà stare granchè meglio, lo ammetto, ma anche il solo pensarti lì col tuo dolore fa sentire meno solo il mio dolore, saperti lì fa avere a tutto questo un senso, saperti viva fa sentire vivo anche me, saperti nel mio cuore mi fa sentire di averne uno, saperti che leggerai tutto questo e forse piangerai ma poi capirai quello che cercavo di dirti mi fa sentire come se posso ancora respirare bene, perchè quello che cerco di dirti, amore mio, è che non c’è un cazzo di problema, è che prima o poi tutti questi addii saranno solo brutti ricordi, e questo sarà solo un post su un blog che solo pochi riescono a raggiungere, e allora asciuga le lacrime, amore mio, perchè domani andrà meglio, perchè oggi è solo orrore ma anche oggi dovrà finire, e noi saremo ancora lì, in attesa di un’alba nuovo, di un nuovo anno, un nuovo giorno.

L’hostess si avvicina. È tempo di un altro drink. Facciamolo finire presto, questo oggi.

Ciao piccola.

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