domenica 30 agosto 2009

Antartide

Me lo immaginavo peggio, l'Antartide.
Quello scoperto dopo uno dei viaggi della vita, di quelli che se hai forza e fortuna ne fai un paio.
Certo non è che sia una meraviglia, ma scoprire un posto così dentro di sè lascia pensar, in primis agli altri che potrebbero esserci.

Me lo immaginavo più solitario, isolato. E invece sono riuscito a portarci le persone care, gli amici, che mi tengono caldo e mi fanno sentire che la casa, la vera casa, è sempre vicina. Ma io resto lì per scelta. A godermi il silenzio, le lunghe notti.
Le voci degli amici arrivano con l'eco. Sono chissà dove. Vicini, ma chissà dove. Un muro di ghiaccio mi separa dal loro vero contatto, ma questo in fondo è ciò che stavo cercando. Ciò per cui ho intrapreso i primi passi, ciò per cui adesso ha senso stare qui.
Nonostante qualcuno mi manchi, perché l'ho lasciato volontariamente indietro.
Mi basta sapere di non poter evitare di portarlo nel cuore.


Qui in camera c'è una luce forte ma piccola, e oltre alla mia ombra vegliano su di me Phoenix e Andromeda, che nel caldo mese di Agosto indossano ancora e sempre le loro brillanti armature.


In Antartide l'unica cosa che puoi fare è far passare il tempo. Finché non muori, o non finiscono le provviste. Finché il freddo o la fame ti cacciano, finché ti stufi. Finché qualcuno non viene e ti trascina di nuovo a casa, ovunque essa sia. Finchè una nuova voce, tra quelle ovattate, ti spinge a muoverti ancora, per cercarla.

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